Ancora qualcosa su donne, tacchi e violenza
FLORENCE E LE ALTRE – Torno sulla questione contingentemente sollevata da Oliviero Toscani ma, secondo me, filo conduttore di accusa (e autogiustificazione) per certa parte della popolazione maschile e, purtroppo, talvolta anche femminile. Riesco sempre a essere irritata da chi …Leggi tutto
FLORENCE E LE ALTRE – Torno sulla questione contingentemente sollevata da Oliviero Toscani ma, secondo me, filo conduttore di accusa (e autogiustificazione) per certa parte della popolazione maschile e, purtroppo, talvolta anche femminile. Riesco sempre a essere irritata da chi solleva la questione legata alla provocazione di genere.
Mi spiego: se una donna o una ragazza “gioca” con la propria capacità di sedurre (e occorrerebbe chiedersi quanta parte ha la contemporanea cultura dell’apparire, dominante in questo nostro secolo, nel riconoscere quasi come valori assoluti la “bellezza” e la “seduttività”?), allora è lei colpevole di scatenare la violenza di cui, poi, è vittima. Insomma, vittima… fino a un certo punto.
Intanto, sottolineerei il fatto che buona parte dei femminicidi e delle violenze avvengono in ambienti familiari conosciuti. Ora, vero che i magazine femminili consigliano di presentarsi sempre curate ed eleganti anche nella quotidianità, meglio se con tacchi alti e guêpière, ma sfido qualsiasi donna al ritorno da una giornata di lavoro, magari alle prese con qualche marmocchio che richiede attenzione e la cena da preparare, a non essersi presentata (almeno qualche volta!) con ciabatte e tuta…
Ma continuiamo con la tesi che mi sta a cuore. Credo che la voglia di sedurre nel senso più lato del termine appartenga a ogni essere umano, per il lapalissiano assunto che è meglio piacere che non piacere. Ci hanno spiegato che i bambini piccoli sono stati programmati dalla natura con gli occhioni e le guanciotte per intenerire, in epoche (speriamo passate per sempre), eventuali nemici. Lo stesso è per le donne, la cui anatomia morbida e curvilinea è stata “escogitata” per continuare la razza. E sono anche d’accordo con Toscani che le donne dovrebbero essere più sicure di sè e della propria fisicità (ma si drovrebbe tornare a considerarae la continua influenza culturale di cui sopra). Perché, dobbiamo ammetterlo, è vero che chiunque di noi femminucce, di umor mutevole perché “multitasking”, ha giornate in cui si vorrebbe chiudere in un barile e gettarsi a mare. E non è che il proprio aspetto cambi a seconda che ci sia il sole o la pioggia. Ma, credo, anche questo sia il bello della femminilità.
Però non riesco ad accettare che un uomo, qualsiasi uomo in primis, ma anche certe donne, si permettano di entrare in aspetti psicologici e comportamentali personali – prima di tutto – perché legati al genere, poi perché attinenti alla sensibilità di ciascun individuo. Insomma, se mi sento più sicura di me là fuori nel branco con tacco dodici e rossetto rosso fuoco, perché qualcuno dovrebbe arrogarsi il diritto di dire che sbaglio? E quindi giustificare chi, prendendo alla lettera l’eventuale provocazione, si sente per questo in diritto di stringermi in un angolo buio e ottenere quello che ancora attiene solo ed esclusivamente alla mia intimità, cioé sesso?
Che ne sa un uomo di come mi sento, di come mi voglio sentire? Della fatica di farsi prendere sul serio, di farmi riconoscere come affidabile indipendentemente da come sono vestita o truccata? In ambito lavorativo, per esempio, noi siamo quelle che stanno a casa in maternità, quindi già con un’ipoteca sulla carriera professionale (e meno male, per gli ometti, che c’è ancora chi, a dispetto di qualsiasi valutazione puramente razionale, decide di procreare!).
Insomma, trovo assolutamente insopportabile e inaccettabile qualsiasi giudizio a priori e di genere. Perché nessuno si permetterebbe di contestare un certo tipo di abbigliamento a un uomo. O se si siede a cosce divaricate sul tram. È lo stesso trattamento che esigo per me, le mie amiche, le mie figlie, le mie compagne di genere. A meno che non si riconosca unimamente di esser tonati alla legge della giungla, per così dire. Ed è triste che una tale differenza di trattamento arrivi anche da un maestro della provocazione (secondo me, di successo e “storico”) come Oliviero Toscani. Segno che la parità di trattamento è ancora, purtroppo, purtroppissimo, lontana da venire.
Certo, rimane la questione del buon gusto, ma questa è, davvero, un’altra faccenda!