Argentina: Milei non è mica tanto pazzo
(Ansa)
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Argentina: Milei non è mica tanto pazzo

L’hanno chiamato così, «pazzo», ma la cura-shock di Javier Milei, presidente di un’Argentina sull’orlo del baratro, sta funzionando. A costo di sacrifici, rivitalizza l’economia e attrae capitali esteri. E anche i suoi detrattori adesso si ricredono.

Durante tutto il 2023, nella lunga campagna per le presidenziali argentine, aveva promesso una rivoluzione politica ed economica «a colpi di motosega». Comizio dopo comizio, dall’alto delle sue basette, aveva lanciato un programma che pareva una stramba miscela di ricette liberiste e di pulsioni anti-sistema, un mix di anarchia e destra estrema. Poi, a fine novembre, aveva surclassato con il 55,7 per cento dei voti il candidato favorito, l’ex ministro peronista dell’Economia Sergio Massa. E oltre un anno fa s’era insediato alla Casa Rosada.

Era il 10 dicembre 2023, e dopo oltre vent’anni di semi-ininterrotto peronismo, Javier Milei ereditava un Paese che pareva irrimediabilmente votato all’ennesimo disastro. In quel solo mese, l’inflazione aveva fatto l’ennesimo balzo del 25,5 per cento, portando il tasso annuale al 260. L’interesse pagato dai titoli del debito pubblico argentino era di mille punti superiore a quello dei Bot americani. La bilancia commerciale era in rosso per sei miliardi di dollari; il bilancio statale era dissestato e la credibilità internazionale di Buenos Aires era sottozero; 42 abitanti su 100 vivevano in condizioni di povertà.Un quadro disperato, insomma, che avrebbe fatto tremare i polsi a chiunque. Infatti ben pochi, allora, avrebbero scommesso un solo, svalutatissimo peso sulle sorti di Milei.

Oggi, a 54 anni, l’economista-presidente, ribattezzato ecumenicamente «El Loco» da sostenitori e nemici, s’è trasformato invece in uno dei fenomeni della politica globale. Dopo un anno, al suo «primo miglio» di strada, il governo Milei può presentare risultati che stupiscono istituzioni finanziarie, centri studi e osservatori d’ogni fatta. Perché le sue liberalizzazioni selvagge hanno rivitalizzato l’economia, dalla pesca all’energia, dai trasporti alle miniere. E perché l’Argentina, sinistrata da decenni di politiche sconclusionate e demagogiche, prosciugata da uno Stato ipertrofico e bloccata dalla super-inflazione, oggi è irriconoscibile.

Già nel suo primo discorso Milei aveva avvisato gli argentini che sarebbero arrivati tempi duri. Nei 12 mesi seguenti la frase «no hay plata», non ci sono più soldi, è divenuta il suo refrain, quasi un mantra, e in effetti una vera terapia d’urto s’è abbattuta sui conti pubblici. Per Milei, economista ultraliberista cresciuto alla scuola austriaca di Ludwig von Mises, lo Stato è il nemico da battere, la Bestia da affamare. E in un anno i suoi tagli hanno ridimensionato non soltanto i ministeri, dimezzati da venti a nove, ma soprattutto le aziende pubbliche (oltre 40 sono state privatizzate) e i dipendenti statali, colpiti fin qui da 34 mila licenziamenti e dal congelamento di stipendi e assunzioni. «I dipendenti dello Stato», ha teorizzato Milei a ogni taglio, «non sono esseri superiori: sono al servizio di chi paga le tasse». Fedele alla consegna (oltre che al proprio nome) Fede Sturzenegger, il ministro della Deregulation e della trasformazione, ha spiegato che «l’unico modo sostenibile per abbassare il carico fiscale è ridurre la spesa pubblica».

E la cura non è ancora finita. Anzi. A fine ottobre, il governo ha deciso il nuovo pre-pensionamento di diecimila statali e ha annunciato che altri 40 mila, legati da contratti a tempo determinato, dovranno sottoporsi a una serie di esami «per valutare se possano rimanere al loro posto». La medicina è amarissima, insomma; ma in soli 12 mesi ha permesso di ridurre del 28 per cento il costo della macchina statale: un risultato non solo inedito, ma di fatto impensabile in un Paese abituato a usare le assunzioni nella pubblica amministrazione come primo strumento di consenso per il governo di turno. L’altro peggiore nemico di Milei era l’inflazione.

La scommessa del presidente-economista è che gli argentini siano disposti a sopportare tagli e sacrifici pur di liberarsi dalla disastrosa corsa dei prezzi, che da decenni affossa l’economia e grava sulle classi più deboli. E anche qui Milei ha colpito duro. Nei primissimi mesi del suo governo l’inflazione è rimasta alta, ma poi ha preso a calare fino al 2,4 per cento dello scorso novembre, il livello più basso degli ultimi quattro anni.

È un successo notevole per l’Argentina, un Paese i cui 47 milioni di abitanti, da decenni, si sono abituati a spendere subito stipendi, incassi e rendite varie, per evitarne l’evaporazione. L’ultima stima governativa per l’intero 2024 riduce l’aumento medio dei prezzi al 119-120 per cento, meno della metà del 2023. E il Fondo monetario internazionale prevede tre anni di continui dimezzamenti: al 45 per cento nel 2025, al 25 nel 2026 e al 12 nel 2027.I salariati, in compenso, hanno subìto una perdita del potere d’acquisto del 6,8 per cento, con un picco del 16 tra i dipendenti pubblici colpiti dalla legge che ha bloccato gli scatti in busta paga. Non passa quasi giorno senza che Milei chieda agli argentini di «stringere i denti».

El Loco promette loro che le cose cambieranno in meglio dal 2025, anche perché un’Argentina divenuta molto più attraente prevede una pioggia d’investimenti stranieri. «Bisogna finire di mettere in ordine i conti e sistemare la casa», giura il presidente, «e poi ci apriremo al mondo, ma la ripresa è già iniziata». Gli dà ragione lo stesso Fmi. Dopo una serie di anni di Pil in ritirata (-1,6 per cento nel 2023 e -3,5 per cento nel 2024), il Fondo di Washington stima che nel 2025 la crescita argentina dovrebbe rimbalzare al 5 per cento, per restare al 4,7 anche nel 2026. Nel frattempo, anche la bilancia commerciale s’è ribaltata: se il 2023 s’era chiuso con una perdita di sei miliardi di dollari, il 2024 segna un attivo di 18. Non basta.

Per la prima volta dal 2015 i bilanci pubblici segnano un attivo primario, gli introiti sono maggiori dei costi della spesa statale assieme agli interessi del debito estero. E lo spread con gli Stati Uniti è crollato a 677 punti base. Tutto questo ha indotto il Fondo monetario internazionale a negoziare un nuovo calendario per il rientro del debito contratto dall’Argentina, oltre 44 miliardi di dollari.

Certo, il peso del rilancio s’è fatto sentire soprattutto sulla classe media argentina e sui ceti più umili, con un aumento dell’indigenza. L’Osservatorio sulla povertà dell’Università cattolica di Buenos Aires stima che la popolazione sotto la «soglia vitale» - la disponibilità in un semestre di 237 mila pesos, circa 240 dollari - fosse salita al 54 per cento nel primo semestre 2024. Oggi è un po’ migliorata, ma è comunque al 51: un argentino su due non ce la fa a sbarcare il lunario. Per questo l’esperimento Milei piace alle destre e ai liberisti di mezzo mondo, ma in patria, quasi ogni giorno, accende la protesta dei sindacati e spinge in piazza l’opposizione di sinistra.

El Loco ha conquistato comunque anche la Banca Mondiale: William Maloney, suo responsabile per l’America Latina e i Caraibi, è convinto che «non ci siano alternative ai progetti del governo argentino per raggiungere l’equilibrio fiscale». A sorpresa perfino parte della sinistra accademica mostra interesse per la rivoluzione mileiana, anche in Italia. A fine novembre gli economisti di LaVoce.info, tutt’altro che una banda di ultra-liberisti, hanno decretato che, al netto dei suoi costi sociali, «il piano di Milei funziona». I più convinti, peraltro, sembrano gli argentini: nei sondaggi di dicembre, malgrado tutto, 51 su 100 continuano a essere con lui. E per El Loco non è poco.

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Maurizio Tortorella

Maurizio Tortorella è vicedirettore del settimanale Panorama. Da inviato speciale, a partire dai primi anni Novanta ha seguito tutte le grandi inchieste di Mani pulite e i principali processi che ne sono derivati. Ha iniziato nel 1981 al Sole 24 Ore. È stato anche caporedattore centrale del settimanale Mondo Economico e del mensile Fortune Italia, nonché condirettore del settimanale Panorama Economy. Ha pubblicato L’ultimo dei Gucci, con Angelo Pergolini (Marco Tropea Editore, 1997, Mondadori, 2005), Rapita dalla Giustizia, con Angela Lucanto e Caterina Guarneri (Rizzoli, 2009), e La Gogna: come i processi mediatici hanno ucciso il garantismo in Italia (Boroli editore, 2011). Il suo accounto twitter è @mautortorella

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