L'Occidente si è svegliato tardi: servono più armi
Investire negli armamenti, per quanto impopolare, è diventato urgente: Cina e Russia incombono su metà del mondo. Negli Usa i generali chiedono soldi e la Nato da sola non può contrastare le altre superpotenze
Aumentano le richieste di maggiori fondi per le spese militari in ambito Usa e Nato, e nonostante i governi siano sempre in difficoltà nell'approvare queste spese, la situazione geopolitica attuale è tale da rendere necessari questi interventi. Per esempio, le forze militari di Cina e Russia incombono sulle operazioni aeree di routine in tutto il mondo, lo sanno bene i piloti del 354° Fighter Wing e del 168° Wing della Guradia aerea nazionale americana, che si stanno schierando sulla base di Eielson, in Alaska. Il clima, già meteorologicamente rigido, ora assomiglia a quello della Guerra fredda, sia per quanto accade nel teatro Asiatico-Pacifico, sia per le tensioni ucraine, e infine a causa del reimpiego delle forze che fino a un mese fa erano schierate in Afghanistan.
In questo quadro complesso la Russia sta imponendo sempre più la sua presenza nelle zone artiche vicine agli Stati Uniti sfruttando rotte aeree e marittime intorno ad Alaska, Canada, Groenlandia e Islanda, regioni nelle quali nel solo 2020 erano stati intercettati oltre 60 velivoli sconfinanti. Le azioni di polizia aerea, alle quali ha partecipato anche l'Italia, continuano quindi a essere necessarie e a coinvolgere anche le forze dei Paesi europei che però da soli non riescono ancora a contrastare la Russia. Ma spostare le risorse nell'area nordica implica un adattamento costoso e complesso di uomini e mezzi, specialmente per passare da climi tropicali come quello di Guam ai -40 °C della base di Thule, in Groenlandia. Vero è che tra gli effetti della pandemia c'è stata la concentrazione delle risorse militari anche nel teatro nazionale per fornire assistenza al sistema sanitario senza abbassare la guardia contro possibili attacchi di ogni natura in un momento di particolare instabilità e vulnerabilità sociale, dovendo anche mobilitarsi per soccorrere le regioni colpite da uragani e incendi. E la protezione delle popolazioni è un incarico che sta coinvolgendo le forze armate di decine di nazioni.
"Siamo la potenza militare dominante fino a quando non ci si avvicina a circa 1.000 miglia dalla Cina, poi la situazione inizia a cambiare", ha detto il 13 agosto scorso il segretario dell'Air Force Frank Kendall, spiegando: "La Cina è stata molto efficace nel tenerci fuori dalla loro parte del mondo, e lo hanno fatto sul piano diplomatico mettendo alla prova i partenariati internazionali degli Usa e assumendo un peso in zone del pianeta dove prima eravamo l'unico interlocutore di forza, come Africa, Asia e Medioriente". Kendall si dice preoccupato e alla testata Defene News ha dichiarato: "La domanda che mi tiene sveglio la notte è cosa accadrà quando i nostri diplomatici non avranno più la potenza militare o della nostra economia a loro sostegno." Per queste ragioni i vertici dell'aviazione Usa chiedono maggiori finanziamenti a cominciare per le forze schierate nel Pacifico, ovvero quasi 26 miliardi di dollari e altri 40 da investire nella ricerca e sviluppo, in modo da rendere l'Air Force più forte e dominante in caso di conflitto armato con altri eserciti definiti "avanzati".
Oltre al rafforzamento militare, a favorire l'avanzata della Cina nel Sudest asiatico, e fino ai confini delle acque territoriali delle nazioni oceaniche, sono anche le tensioni sociali, la povertà e l'insicurezza che pervadono diversi Paesi, dalla Birmania, fino alle Isole Salomone. Questo per la Difesa Usa (e non soltanto), comporta un'attenta e continua analisi di come la presenza cinese influenzi la politica di Pechino nell'emisfero australe, con impiego di maggiori mezzi per intelligence, sorveglianza e ricognizione. Preoccupano le offerte di istruzione militare professionale, supporto infrastrutturale ed economico che vengono instaurate da Pechino in cambio dello sfruttamento delle risorse ittiche e minerarie a scapito delle ormai vetuste partnership statunitensi. Ma anche gli accordi che i cinesi fanno con criminali e bande dedite alla pirateria per evitare che la loro gigantesca flotta di pescherecci armati (Milizia marina) sia attaccata. Il coinvolgimento cinese rende più difficile anche alla Nato la comprensione di come si sviluppano le situazioni internazionali, come accaduto quando migliaia di cubani hanno partecipato alle proteste antigovernative, nel luglio scorso, e la capacità delle forze armate Usa di tenere traccia degli eventi è stata ostacolata dall'infrastruttura per le telecomunicazioni costruita dalla Cina che ha limitato la diffusione delle informazioni.
In un altro scacchiere, quello iracheno e siriano, le truppe americane e russe collaborano strettamente nell'operazione Inherent Resolve contro l'Isis, ma la Russia sostiene il regime di Assad mentre gli Usa hanno aiutato i ribelli antigovernativi. Situazioni come queste, ovvero le guerre per procura tra Stati Uniti e Russia, hanno alimentato i conflitti nella regione per decenni contribuendo a creare le condizioni che hanno portato all'ascesa dei talebani negli anni '90. Nonostante il ritiro dall'Afghanistan, seguito dall'Iraq alla fine dell'anno, i militari affermano che gli attacchi aerei continueranno secondo necessità da altre installazioni nell'area per respingere i talebani, al-Qaeda e lo Stato islamico. Il Dipartimento della Difesa ha infatti ammesso che gli aerei americani e della coalizione hanno condotto circa 400 attacchi nei primi sette mesi del 2021, un netto calo rispetto allo stesso periodo degli ultimi anni ma ancora un numero notevole di operazioni offensive in un contesto operativo in mutazione, con minacce che stanno cambiando e che dagli attacchi diretti ai convogli ora prediligono i droni economici dotati di esplosivi, missili terra-aria e segnali elettronici di disturbo, oltre a tattiche come gli attentati suicidi come quello che ha ucciso 13 soldati americani all'aeroporto internazionale Hamid Karzai di Kabul il 26 agosto.
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