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Tutti i guai dell’Atac a Roma

Tutti i guai dell’Atac a Roma

Disservizi cronici, personale con mestieri paralleli o dai comportamenti inaccettabili e poi un record di mezzi in fiamme. I trasporti nella capitale affondano. Ma al Comune va bene così.


Vendeva online amuleti artigianali di sua produzione, partecipava a fiere e mercatini e si presentava indossando abiti esotici e gioielli vistosi. Un’attività originale e apparentemente legittima. Se non fosse che la «fatina» era una dipendente dell’Atac, l’azienda del traporto locale di Roma, con il ruolo di controllore sui bus. E mentre si dedicava alla realizzazione e alla commercializzazione dei suoi amuleti, risultava in malattia. Tenuta sotto controllo per vari mesi dagli ispettori dell’aziende municipalizzata, la signora è stata licenziata.

Un caso di assenteismo che ha dell’incredibile. Ma non per i romani, abituati da anni a sopportare i disservizi di un’azienda funestata da tassi di assenza di oltre il 13 per cento, da bilanci in perdita perenne, da un parco vetture invecchiato e da un personale troppo spesso inadeguato al ruolo. Eppure il Comune di Roma guidato da Roberto Gualtieri ha deciso di prorogare il contratto con l’Atac per altri quattro anni, dal 2024 al 2027, dribblando per l’ennesima volta la gara prevista dalla normativa europea.

Ma voi rinnovereste la fornitura di un servizio a un’impresa che ha dovuto affrontare il concordato preventivo per abbattere un debito di 1,3 miliardi, ha chiuso il bilancio 2022 con un perdita di 50,8 milioni, ha 2.140 autobus e filobus con un’età media rispettivamente di 13 e 17 anni (circa sette in più rispetto alle medie europee)? «Troppi soldi negli anni sono stati spesi per i costi operativi, in particolare quelli del personale, e pochi per gli investimenti» spiega Andrea Giuricin, economista dei traporti presso l’Università Bicocca di Milano, «e questo ha portato all’incapacità di raggiungere gli obiettivi del contratto di servizio. La flotta ha un’età media troppo elevata e le manutenzioni necessarie tengono fuori servizio diversi mezzi».

Il risultato è che «negli ultimi 14 anni, il costo di Atac per la collettività, tra contributi e perdite, è stato di circa 11 miliardi di euro. Questa situazione di contribuzione elevata per il servizio continua da tempo, ma il Comune di Roma capitale non ha mai deciso di fare una gara trasparente per l’assegnazione del servizio». E intanto le cronache registrano le quotidiane follie del mondo Atac: dalla dipendente in malattia da un anno e mezzo che in realtà gestiva un bed and breakfast alle Canarie, all’autista della linea 64 che abbandona la guida dell’autobus pieno di passeggeri per minacciare un automobilista urlando «Te sfonno, io te sfonno».

C’è quello che viene sanzionato con la sospensione dal lavoro e dallo stipendio perché accusato di guidare mentre guardava la partita della Lazio e quell’altro che di notte mette le quattro frecce, scende dal bus e va a comprarsi il cornetto. Un conducente è stato pizzicato mentre era all’estero e svolgeva il lavoro di chauffeur di limousine. C’è chi fuma in servizio, chi telefona mentre è al volante e chi, grazie ai benefici della legge 104 ottenuta per i genitori malati, se ne va a pescare. Nella stazione della metro di San Giovanni un passeggero ha ascoltato questo messaggio trasmesso dagli altoparlanti: «Te, in direzione Anagnina, la buttamo ’sta sigaretta o te la devo ficca’ nel…?». E pare che non sia un caso isolato di insulti lanciati tra gli utenti attoniti della metro romana. Passeggeri che, val la pena ricordarlo, hanno dovuto sorbirsi quattro anni fa la chiusura di un’intera stazione, quella di Repubblica, per ben 246 giorni in seguito alla rottura di una scala mobile. E poi ci sono gli incendi, straordinariamente frequenti, che negli ultimi sette anni hanno coinvolto 250 mezzi.

Atac non è un campione di efficienza e i romani meriterebbero di più. Se si facessero le gare come nel Regno Unito, nella capitale si potrebbero creare dei pacchetti di linee da cedere al miglior offerente. A Londra, si legge in un’indagine condotta nel 2016 dall’Antitrust sul traporto pubblico locale, «gli affidamenti sono per linee (di regola, ogni linea è un lotto), con contratti di durata pari a cinque anni, estendibili al massimo per altri due anni. Il programma delle gare è continuo, per cui in media ogni anno viene messo a gara il 15-20 per cento dei servizi della rete di Londra (circa 90-120 linee), il che significa che ogni due-quattro settimane si svolge una procedura di gara». E naturalmente le società che gestiscono le linee sono private. Del resto il Regno Unito è uno dei primi Paesi che hanno aperto il mercato del trasporto pubblico locale, insieme a Svezia, Finlandia, Nuova Zelanda, in parte l’Australia, mentre un certo grado di liberalizzazione è stato introdotto anche in Olanda, Germania e, in misura inferiore, in Francia.

L’Italia invece è rimasta indietro e Roma non è l’unico esempio. Come sottolinea l’Antitrust, «nei quasi 20 anni trascorsi dalla legge di riforma del 1997, che si proponeva di avviare la liberalizzazione del settore, si è assistito ad un’iperproduzione normativa (che ha reso oltremodo complessa l’analisi del settore), a cui si è però accompagnata una sostanziale stasi negli assetti di mercato». E il guaio è che rispetto ad altri Paesi comparabili per dimensione, «in Italia si è assistito a un progressivo ed inesorabile scadimento dell’offerta e dell’efficienza dei servizi di traporto pubblico locale, che, in alcuni casi noti alle cronache, ha assunto connotati patologici anche sotto il profilo dell’accumularsi di perdite di bilancio e di debiti».

E dire che l’introduzione delle gare avrebbe una serie di effetti positivi, secondo l’Antitrust: «Un significativo aumento dell’efficienza nella gestione dei servizi, che genera importanti risparmi di costi, di almeno il 20-30 per cento nel trasporto ferroviario ed anche più elevati nel trasporto locale su gomma; tali risparmi si traducono in minori sussidi e le risorse pubbliche risparmiate possono essere utilizzate altrove (in particolare, nella spesa per investimenti)»; ai risparmi si aggiungerebbero «una maggiore innovazione e il miglioramento della qualità e della disponibilità dei servizi che fanno aumentare il grado di soddisfazione dei passeggeri».

Ma perché non si riescono a fare le gare? «La spiegazione più ovvia» è la risposta dell’economista dei trasporti Marco Ponti su Lavoce.info «è in un diffuso fenomeno di “cattura del regolatore”, cioè del prevalere di interessi aziendali su quelli della collettività. Il fenomeno è basato essenzialmente sul “voto di scambio” con gli addetti. Per quanto protetti contrattualmente, dirigenti di nomina politica potrebbero trovarsi una proprietà meno benevola e meno condizionabile politicamente. Altre resistenze potrebbero venire dai fornitori: una cosa è contrattare con soggetti pubblici che politicamente non possono fallire, un’altra è farlo con soggetti privati che abbiano l’obiettivo di fare profitti. Prorogare un regime di monopolio ha anche effetti di lungo periodo: il monopolista ha spazio per consolidare le sue posizioni, ergendo difese sia sul piano politico sia informativo per rafforzare il messaggio che mettere in gara i servizi costituirebbe un danno per la collettività».

Giuricin aggiunge che da parte dei Comuni «l’interesse è quello di avere un controllo diretto dell’azienda, con la convinzione sbagliata che così facendo si possa dare un servizio migliore a i cittadini. Ovviamente non è cosi, perché come insegnano le stesse aziende italiane che vanno all’estero a partecipare a delle gare, fare dei processi di assegnazione del servizio trasparenti è essenziale per ridurre gli sprechi di soldi pubblici e migliorare la qualità del trasporto. A Copenaghen, ad esempio, la gara per fare il servizio della metro è stato vinto da Atm, azienda di trasporto pubblico a Milano, e ci guadagna». In teoria, conclude Giuricin, la stessa Atm potrebbe partecipare ad una gara per il trasporto pubblico di Roma. Ma affinché la concorrenza superi il Rubicone ci vorranno anni. E piegare la resistenza dei 10.500 dipendenti dell’Atac sarà più duro che sconfiggere il Senato ai tempi di Cesare.

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