Dalle banlieue incendiarie d’Oltralpe alle «zone proibite» nelle città della Svezia, Paese multiculturale. Dalle spinte integraliste in Spagna al radicalismo islamico nei quartieri di Bruxelles. Alcune aree in moltissime metropoli europee sono fuori il controllo dello Stato. E l’allarme sta crescendo anche in Italia.
È il 18 settembre 1989. In una scuola di Roubaix, antica città industriale della Francia settentrionale, si presentano due ragazze con il velo islamico. Sono di origine araba e musulmane. È la prima volta che accade una cosa del genere. Il preside non sa come comportarsi, e le ferma sulla porta: «Nessun simbolo religioso è ammesso a scuola» dice. «È una conquista della Rivoluzione francese» si giustifica. Ne segue un dibattito che presto supera i confini e diviene il primo grande scandalo europeo sul tema immigratorio. L’eco è così grande che anche il lungimirante re del Marocco interviene per chiedere alle ragazze di togliere il velo, in segno di rispetto per lo Stato francese. Un gesto importante, cui sarebbe stato bene prestare più attenzione col senno di poi.
Ma la storia va diversamente. Nonostante politici come il primo ministro Raymond Barre avessero messo in guardia già negli anni Settanta sul fatto che le periferie francesi presto si sarebbero trasformate in ghetti, il politicamente corretto e l’inclusività portate all’estremo producono nei decenni seguenti scandali e, soprattutto, proteste sociali sempre più violente. Tutte partono immancabilmente dai quartieri suburbani delle metropoli, dove nel frattempo si stanno riversando milioni d’immigrati, la maggior parte di origine nordafricana e mediorientale. Francia, Belgio, ma anche Regno Unito e Germania approcciano così per la prima volta il malessere nelle seconde e terze generazioni d’immigrati dalle ex colonie, la maggior parte dei quali fedeli all’Islam, che finiscono per creare nel cuore della futura Unione dei veri e propri ghetti identitari e refrattari all’accettazione dello stile di vita europeo (Spagna e Italia ci arriveranno con 15 anni di ritardo).
Gli Stati non fanno niente per evitare che queste «zone speciali» siano inglobate nel tessuto urbano e gli investimenti per dotare di infrastrutture i nuovi quartieri inizialmente latitano. Perciò, poiché a queste latitudini la scuola pubblica e il lavoro regolare mancano, sono il traffico di droga e l’affiliazione alle frange più fanatiche dell’Islam a diventare lo sbocco più veloce ed efficace cui affidarsi per chi vuole campare. Le gang criminali e le scuole coraniche creano qui una sorta di welfare proprio, spesso finanziato dai Paesi di origine, e hanno gioco facile nel reclutare i «nuovi europei», che poi europei non si sentono affatto (oggi in Francia il 22 per cento di tutti i nuovi nati porta un nome arabo). Questa sorta di assistenza sociale privata e scollegata dal corpo dello Stato è ormai realtà nel 2023: eppure la Francia è il Paese dell’Unione europea che più spende per protezione sociale in rapporto al Pil (31,2 per cento). Ma proprio qui si sono create le «polveriere urbane» dove il tasso medio di povertà è triplo rispetto alla media nazionale e la disoccupazione conosce picchi del 40 per cento.
Sono circa 1.500 i cosiddetti «quartieri prioritari» e contano una popolazione di 5,5 milioni d’abitanti: Cités Cordon, Les Tarterets, Le Val Fourré, rispettivamente a nord, sud e ovest di Parigi; La Duchère a Lione; Le Neuhof a Strasburgo; L’Ariane a Nizza; Mirail a Tolosa; Mosson a Montpellier; Échirolles a Grenoble; Wattrelos a Roubaix; La Barbière ad Avignone; Mare Rouge a Le Havre. Sono solo alcuni dei più noti «territori persi dalla Repubblica», come qui ormai li definiscono molti francesi rassegnati. Ma è intorno al porto di Marsiglia e ai suoi traffici internazionali che si annidano i pericoli maggiori. Essendo una grande area portuale del Mediterraneo, è diventata una calamita per l’immigrazione sin dagli anni Novanta e difatti la città è oggi candidata a diventare la prima a maggioranza musulmana dell’Europa occidentale. Qui ha preso piede anche un’inedita commistione tra criminalità e fondamentalismo religioso che potremmo battezzare «narco-Islam».
I tassi di criminalità qui sono cinque volte superiori rispetto a qualsiasi altra città francese al punto che i giovani criminali hanno persino coniato un nome per le spedizioni punitive e gli omicidi contro gang rivali: «barbecuing», una pratica che prevede di colpire la vittima alla testa e poi bruciarla viva. Il caso francese ha fatto scuola anche in Belgio. Ormai noto alle cronache è Molenbeek, il quartiere di Bruxelles da cui proveniva la maggior parte dei 20 attentatori jihadisti che il 13 novembre 2015 commisero le stragi di Parigi (130 morti e 350 feriti), e da dove partirono per compiere attentati in passato anche Hassan el-Haski (Madrid 2004), Mehdi Nemmouche (Bruxelles 2014), Ayoub El Khazzani (Oignies 2015) e Oussama Zariouch (Bruxelles 2017), che fornì anche le armi ad Amedy Coulibaly (Parigi 2015).
Meno celebre ma forse più pericoloso è Schaerbeek, altro quartiere della capitale belga a fortissimo quoziente islamico, che funge da base logistica per attività criminali. Si trova al centro di Bruxelles e, con i suoi 122.637 abitanti, è la zona più popolata della città: i residenti sono quasi tutti marocchini, turchi e centrafricani. Il governo belga ha affermato che più di un centinaio di foreign fighter dello Stato Islamico sono stati arruolati qui. Ma anche la quotidianità è compromessa: nel 2021 vi sono stati commessi 9.728 crimini dei quali 1.178 legati al traffico internazionale di stupefacenti.
Non è migliore la situazione in Spagna: se Barcellona e il suo famigerato Barrio Gotico restano il primo approdo dei sans papiers, ovvero degli immigrati irregolari che attraversano lo Stretto di Gibilterra, anche Madrid ha la sua Molenbeek: è Lavapiés, un’area incastonata tra il quartiere di Embajadores e il distretto di Centro. Qui vivono 44.630 persone, di cui oltre un terzo di origine straniera, e contribuiscono quasi per il 50 per cento all’aumento medio della criminalità cittadina e all’innalzamento del tasso di omicidi nazionali: +15 per cento. Secondo una ricerca del Real Instituto Elcano, specializzato in studi internazionali, nella capitale iberica il 46,4 per cento della popolazione musulmana residente è formato da elementi fortemente radicalizzati, cifra che invece in Catalogna è al 17,8 per cento e nella Comunità Valenciana al 12,5 per cento. Come per la Francia, anche qui oltre la metà dei soggetti a rischio e con precedenti penali ha un’età compresa tra i 16 e i 25 anni. Ogni giorno vi vengono archiviate 14 denunce relative a stupefacenti e identificate 400 persone, secondo i rapporti di polizia.
E che dire delle «no go zone» della Svezia? Il paradiso del Nord Europa oggi appare irriconoscibile, almeno stando alle statistiche: un tempo qui il livello della criminalità era ben sotto la media europea, ma questo non vale più da almeno un decennio. Solo nel 2021 la polizia svedese ha registrato 335 sparatorie, 46 omicidi, 112 feriti su una popolazione di appena 10 milioni di abitanti. A commetterli, per l’85 per cento sono persone di origine straniera. Le zone proibite scandinave sono 61: a Boras, Göteborg, Landskrona, Malmö, Uppsala e Stoccolma le più note. A Malmö, il quartiere di Rosengard è considerato il ghetto per antonomasia. Qui dove vivono quasi 25 mila abitanti, si registrano i record più negativi di Svezia: il tasso di disoccupazione è al 35 per cento, quattro volte superiore alla media, e la città ospita la comunità musulmana più rilevante (il 20 per cento della popolazione è di fede islamica).
Ma anche in Italia si stanno creando banlieue «fuori giurisdizione»: a Torpignattara, nella periferia romana, è in atto una strategia di auto-isolamento sociale che interessa buona parte dei 47 mila abitanti del quartiere. Tutto ruota intorno a una rete di almeno 20 moschee, o meglio, sale di preghiera illegali che, al fine di mantenere un controllo diretto sul territorio, negoziano direttamente con le istituzioni locali. La loro priorità è la conservazione dell’educazione religiosa e dell’identità culturale e linguistica, da trasferire ai giovani e all’intera comunità musulmana immigrata. Faro dell’Islam qui è il Centro culturale Masheed, frequentato da quasi 500 fedeli su un totale di circa 10 mila nell’intero quartiere.
I problemi si moltiplicano anche a Milano. In zona San Siro o intorno alla Stazione centrale. Presso il bosco di Rogoredo, la più grande piazza di spaccio del Nord Italia, c’è una «cupola» di marocchini irregolari, spesso già destinatari di provvedimenti di espulsione. Hanno quasi tutti meno di trent’anni, sono armati di coltelli, pistole e persino kalashnikov. «Vantano», in patria, un filo diretto con la città di Béni Mellal, porto franco e centro di riciclaggio internazionale. Il rischio anche per noi è un innesco per rivolte pretestuose come in Francia.