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Delitto Gucci, 30 anni oggi

Delitto Gucci, 30 anni oggi

Un’ex moglie come mandante, gli esecutori di una banda di “scappati di casa” e il ruolo centrale della veggente Pina Auriemma. Ecco la ricostruzione del delitto Gucci

Sono trascorsi esattamente 30 anni dall’omicidio di Maurizio Gucci, un crimine che ha scosso profondamente l’Italia e il mondo intero. Il 27 marzo 1995, Milano fu testimone di un’esecuzione che sembrava uscita da un romanzo noir: l’imprenditore, ex erede di una delle più celebri dinastie della moda mondiale, venne ucciso in pieno giorno sotto gli occhi del portiere e dei passanti. La vera storia dietro quell’omicidio è quella di un delitto architettato da un gruppo di individui improbabili, di un’indagine che per più di un anno non riuscì a focalizzarsi sulla pista più evidente, e di un agente infiltrato sotto copertura, che si spacciò per un narcotrafficante colombiano con alle spalle 120 omicidi, per arrivare infine alla scoperta del vero mandante del crimine. Un caso che ha avuto talmente tanta risonanza da ispirare la realizzazione di un film, House of Gucci, portando la vicenda della famiglia Gucci ancora una volta sotto i riflettori internazionali.

L’omicidio di Maurizio Gucci

Milano, 27 marzo 1995. Sono le 8:30 del mattino quando Maurizio Gucci, 47 anni, esce dalla sua residenza di corso Venezia. Come ogni giorno, percorre a piedi il breve tragitto fino al suo ufficio in via Palestro 20, nel cuore della città, affacciato sui Giardini di Porta Venezia. Non si accorge che, a una quindicina di metri di distanza, un uomo lo sta seguendo con discrezione.

Arrivato all’androne del palazzo, Gucci saluta il portiere Giuseppe Onorato. È in quel momento che il sicario estrae la pistola e apre il fuoco: il primo colpo va a vuoto, il secondo lo colpisce alla spalla, il terzo al gluteo. Ferito, cerca di voltarsi, ma un quarto proiettile lo raggiunge alla tempia, uccidendolo sul colpo.

L’assassino non si ferma. Punta l’arma contro Onorato e spara due volte, ferendolo al braccio sinistro. Poi fugge, salendo sul sedile del passeggero di una Renault Clio verde guidata da un complice, che sgomma via nel traffico di Milano.

Le prime indagini e l’ipotesi del movente finanziario

L’omicidio di Maurizio Gucci scatena immediatamente un clamore mediatico internazionale: una delle dinastie più longeve della moda italiana viene colpita dritta al cuore. Le indagini si concentrano fin da subito sull’ipotesi di un delitto legato a questioni finanziarie, dato l’enorme patrimonio della famiglia.

Maurizio Gucci era arrivato al comando dell’azienda in solitaria dopo la morte del padre Rodolfo, nel 1983. Cinque anni dopo, aveva acquistato la quota intestata al cugino Paolo, estromettendo di fatto lo zio Aldo, che in seguito sarebbe stato arrestato negli Stati Uniti per evasione fiscale e avrebbe scontato un anno di carcere. Alla fine degli anni Ottanta, la casa di moda aveva attraversato una grave crisi finanziaria e, nel tentativo di risanarla, Maurizio aveva venduto la sua quota al fondo d’investimento Investcorp per 270 miliardi di lire. Nel 1993, Investcorp aveva acquisito il controllo totale della società, segnando così la definitiva uscita di Gucci dall’azienda di famiglia.

Nel 1995, al momento della sua morte, Maurizio era già fuori dalla maison da tempo. Eppure, per un anno e mezzo, le indagini girano a vuoto attorno all’ipotesi di una faida familiare. Gli inquirenti analizzano a fondo la situazione economica della Viersee, la società che Gucci aveva fondato dopo la cessione delle sue quote e con cui stava progettando l’apertura di un casinò a St. Moritz e la costruzione di un porto turistico a Palma di Maiorca. La squadra omicidi di Milano, con il supporto dell’Interpol, segue il flusso di enormi somme di denaro in contanti, senza però trovare un collegamento con l’omicidio.

Vengono alla luce debiti per 18 milioni di franchi con una banca di St. Moritz e un prestito di 22,5 milioni di franchi ottenuto dal Credit Suisse, oltre a ipoteche su proprietà sparse in tutto il mondo. Un altro elemento che insospettisce gli investigatori sono alcuni contatti che Maurizio Gucci aveva intrattenuto con produttori coinvolti nella falsificazione del marchio della sua ex azienda. Nonostante tutte queste piste, l’indagine sembra non riuscire a imboccare la strada giusta.

Le indagini a vuoto e l’errore di valutazione

Per quasi due anni, gli investigatori si concentrano esclusivamente sulla pista finanziaria internazionale, senza accorgersi che gli indizi per puntare l’attenzione su Patrizia Reggiani erano già sotto i loro occhi.

L’ex moglie di Maurizio Gucci, divorziata ufficialmente nel 1994, continua a usare il cognome Gucci nonostante le sia proibito. «L’unica vera Gucci sono io», ripete spesso. Da tempo confida a parenti e amici le sue preoccupazioni: l’ex marito, sostiene, sta sperperando il patrimonio di famiglia, mettendo a rischio l’eredità delle loro due figlie, Alessandra e Allegra. Ma non è solo una questione economica. Patrizia non ha mai accettato la relazione di Maurizio con Paola Franchi e non fa nulla per nascondere il suo rancore. Più volte, in pubblico, si lascia andare a dichiarazioni inquietanti: «Ma c’è qualcuno che ha il coraggio di ammazzare mio marito? Io ho un difetto, non so mirare e non conosco la portata di una pistola». A rivelarlo sarà lei stessa anni dopo, nel docu-film Lady Gucci – La storia di Patrizia Reggiani: «Non lo potevo fare da sola. E ho trovato questa Banda Bassotti che me lo ha fatto».

Paola Franchi, compagna di Maurizio al momento dell’omicidio, racconta agli inquirenti che nei mesi precedenti l’uomo aveva ricevuto minacce proprio da Reggiani. E il giorno stesso della tragedia, l’ex moglie si presenta nella casa dove Gucci vive con Paola e le intima di andarsene. Pretende che tutto – mobili, vestiti, perfino la biancheria – resti esattamente com’era. Il giorno dopo, si trasferisce lì con le figlie. A Franchi non verrà neppure concesso di partecipare al funerale del compagno.

Il ruolo di Patrizia Reggiani e la svolta nelle indagini

Maurizio Gucci e Patrizia Reggiani Martinelli si conoscono nel 1971, quando entrambi hanno 23 anni. Un anno dopo, nell’ottobre del 1972, si sposano nella chiesa di San Sepolcro, a Milano. Per tredici anni vivono tra lusso sfrenato e spese senza limiti, ma il loro matrimonio, apparentemente perfetto, si sgretola. La separazione arriva nel 1985, seguita, qualche anno dopo, dalla richiesta di divorzio da parte di Maurizio. È in quel momento che, come verrà poi evidenziato nei processi, Patrizia inizia a covare un rancore profondo. Ossessionata dall’idea di vendetta, comincia a sondare il terreno, chiedendo se qualcuno, dietro pagamento, sarebbe disposto a uccidere l’ex marito.

La svolta nelle indagini arriva nel gennaio 1997, grazie a una soffiata inaspettata. Gabriele Carpanese, cuoco di professione e informatore della polizia, chiama Filippo Ninni, capo della Criminalpol milanese, con una rivelazione sorprendente. «Ho una storia interessante da raccontarle», dice al telefono. Incuriosito, Ninni decide di incontrarlo.

Carpanese gli racconta di aver stretto amicizia con Ivano Savioni, il portiere dell’albergo Adry, una modesta pensione in via Lulli. In più occasioni, Savioni gli ha confessato di essere coinvolto nell’omicidio di Maurizio Gucci e di aver ricevuto un pagamento di 50 milioni di lire per il suo ruolo. «Poco, troppo poco… quella deve sganciare di più», avrebbe detto, riferendosi a Patrizia Reggiani.

Per incastrarlo, Ninni mette in campo una strategia rischiosa: affianca a Carpanese un agente sotto copertura, madrelingua spagnolo, che si finge un sicario colombiano legato a un cartello della droga. L’uomo sostiene di aver già compiuto 120 omicidi e si offre di aiutare Savioni per future “commissioni”. Il portiere, convinto di avere a che fare con un vero killer, abbocca all’amo e svela tutti i dettagli dell’omicidio Gucci. È l’inizio della fine per Patrizia Reggiani.

La Banda Bassotti e la ricostruzione del delitto

Nel frattempo, gli investigatori piazzano microspie ovunque nell’hotel Adry e attivano le intercettazioni telefoniche. Ed è proprio grazie a queste che emergono dettagli fondamentali. In una telefonata, Pina Auriemma – ex proprietaria di boutique a Portici e Napoli, maga dilettante e grande confidente di Patrizia Reggiani – si lascia sfuggire un commento rivelatore mentre parla con Ivano Savioni: «Sò svenuta in coppa a o’ giornale quando ho letto che l’inchiesta prosegue». Savioni cerca di rassicurarla, ma lei conclude con una frase che, agli inquirenti, suona quasi come un’ammissione di colpevolezza: «Dammi retta, Iva’: se non facciamo qualche cazzata, non ci piglieranno mai».

Poche settimane dopo, però, la cosiddetta Banda Bassotti viene smascherata. La ricostruzione della polizia è chiara: Patrizia Reggiani si era rivolta alla sua amica Pina Auriemma per trovare qualcuno disposto a uccidere l’ex marito. Auriemma, a sua volta, aveva chiesto aiuto a Savioni, che aveva contattato Orazio Cicala, ex ristoratore di Arcore rovinato dai debiti di gioco. Cicala, infine, aveva ingaggiato il sicario: Benedetto Ceraulo, un siciliano di 35 anni.

L’organizzazione dell’omicidio non era stata impeccabile. La banda aveva rubato un’auto da usare per il delitto, ma la sera prima dell’agguato, la polizia locale l’aveva rimossa perché parcheggiata in divieto di sosta. A quel punto, Cicala si era visto costretto a utilizzare la Renault Clio verde del figlio.

Alla fine, l’assassinio di Maurizio Gucci costò a Patrizia Reggiani 600 milioni di lire:

  • 50 milioni per Pina Auriemma,
  • 50 milioni per Ivano Savioni,
  • 350 milioni per Orazio Cicala (che nel frattempo era finito in carcere per droga),
  • 150 milioni per il sicario Benedetto Ceraulo, che ha sempre negato ogni coinvolgimento.

Anche Patrizia Reggiani non confessa mai formalmente, sebbene in diverse interviste ammetta di essere stata la mandante dell’omicidio. Quando Filippo Ninni va ad arrestarla, lei si presenta con la sua pelliccia di visone e indossa tutti i suoi gioielli. L’investigatore le suggerisce di lasciarli a casa, ma lei risponde con una frase destinata a diventare celebre: «La mia pelliccia e i miei gioielli vanno dove vado io».

Nel tentativo di salvarsi, Reggiani offre 2 miliardi di lire a Pina Auriemma affinché si addossi l’intera colpa. Poi, quando la strategia fallisce, accusa apertamente l’amica di essere stata l’ideatrice del delitto.

Durante il processo, viene sottoposta a due perizie psichiatriche. I suoi avvocati sostengono che, a causa delle cobaltoterapie subite dopo un intervento per la rimozione di un tumore al cervello nel 1991, fosse «incapace di intendere e volere, e soprattutto di organizzare un delitto». Ma la giustizia non la penserà allo stesso modo.

Arresti e condanne

Nel novembre del 1998, il verdetto della giustizia cade come un macigno sui responsabili dell’omicidio di Maurizio Gucci. Patrizia Reggiani viene condannata a 29 anni di carcere come mandante del delitto, stessa pena inflitta a Orazio Cicala, l’autista che aveva accompagnato il sicario. Benedetto Ceraulo, l’esecutore materiale dell’omicidio, riceve l’ergastolo. Pina Auriemma, la confidente di Reggiani, viene riconosciuta colpevole di favoreggiamento e condannata a 25 anni, mentre Ivano Savioni, l’organizzatore dell’assassinio, si vede infliggere una pena di 26 anni.

Dopo due anni di indagini, finalmente si svela la verità: il movente principale del delitto non era il denaro, ma la gelosia e il rancore. Il denaro, tuttavia, era stato la leva che aveva spinto gli esecutori materiali a compiere il crimine. Nella sua requisitoria, il pm Carlo Nocerino tratteggia con parole incisive la crudele banalità dell’omicidio:

“Ho pensato molto anche a quella morte assurda e incredibile. La morte di un uomo che mai nessuno, qui, ha tratteggiato con luce chiara. Quell’uomo è stato ammazzato perché Orazio Cicala voleva soldi da giocare al casinò; Benedetto Ceraulo voleva portare la figlia in una casa più grande; Ivano Savioni per pochi spiccioli; Pina Auriemma per poter continuare ad essere la dama di compagnia che era. Ecco, queste sono le ragioni per le quali è morto Maurizio Gucci”.

Nel processo d’appello, la condanna di Patrizia Reggiani viene ridotta a 26 anni. Dopo aver trascorso 17 anni nel carcere di San Vittore – che lei stessa ribattezza ironicamente “Victor’s Residence”, descrivendolo come un luogo in cui “mi sono trovata benissimo, erano anni di pace: dormivo, mi lavavo e scendevo giù in giardino, avevo un trattamento speciale” – nel 2014 le viene concesso di terminare la pena ai servizi sociali, lavorando per la Caritas.

Degli altri membri della Banda Bassotti, Pina Auriemma sconta 13 anni ed esce dal carcere nel 2010, Savioni torna libero nel 2012, mentre Cicala muore in prigione. L’unico ancora detenuto è Benedetto Ceraulo, che non ha mai ammesso la propria colpevolezza.

Giuseppe Onorato, il portiere ferito nell’agguato in via Palestro 20, muore nel novembre 2020. Solo poco prima di morire riesce finalmente a ottenere il risarcimento di 100mila euro che Patrizia Reggiani avrebbe dovuto versargli da anni, per decisione della magistratura.

Delitto Gucci, 30 anni oggi
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Patrizia Reggiani oggi

Nonostante gli anni trascorsi dietro le sbarre, lo stile di vita lussuoso che ha sempre contraddistinto Patrizia Reggiani sembra non essere cambiato. Oggi, a 75 anni, la sua routine non differisce molto da quella del passato: la sveglia non suona mai prima delle 11 del mattino. Da sempre appassionata di moda e shopping, Reggiani trascorre parte del suo tempo nelle eleganti vie di Milano, come via Montenapoleone e via Gesù, dove si dedica a seguire le nuove collezioni degli stilisti e a fare acquisti di borse e capi d’alta moda.

Nel suo quotidiano, è supportata da un personale di servizio che include domestiche e assistenti, impegnati nell’organizzazione delle sue giornate tra visite mediche e sedute di fisioterapia. Patrizia vive a Milano con i suoi animali domestici, e dopo il suo rilascio dal carcere, è tornata a vivere nel castelletto gotico di via Andreani, una residenza che aveva condiviso con la madre, Silvana Barbieri. Recentemente, però, la mega villa è stata venduta per una cifra di 9,5 milioni di euro.

Secondo alcune indiscrezioni, attualmente risiederebbe in un appartamento situato dietro il Duomo, con una vista sul parco della Guastalla, non lontano dall’imponente attico in San Babila (dal valore all’asta di oltre 20 milioni di euro), dove aveva vissuto insieme al defunto marito Maurizio.

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