I narcos dell’America latina si servono dei droni per il trasporto di droga all’estero. Ma i mini robot volanti sono impiegati pure nel traffico di migranti, nei conflitti tra bande rivali, negli attentati a politici (come, si è visto anche in Russia).
In America latina il crimine viaggia ormai tra i cieli. No, non stiamo parlando né di elicotteri né di aerei bimotori – che da anni trasportano tonnellate di cocaina e che continueranno a farlo anche in futuro – ma di droni. Gli stessi che si comprano tranquillamente online o in negozio per riprendere immagini dall’alto durante le vacanze, ora trasformati in «narcodroni» per i cartelli della droga nell’intero continente.
Pionieri sono stati i narcos messicani che hanno cominciato a sperimentarli già nel 2010 per spingersi verso la vicina frontiera con gli Stati Uniti, il loro mercato principale. Così, poco alla volta, prima hanno imparato a trasportarci panetti di cocaina – fissati in modo rudimentale con il nastro adesivo – poi stupefacenti come il fentanyl e le metanfetamine. Sono droghe che occupano meno spazio e quindi in grado di muoversi anche sui cosiddetti Mini2: droni che stanno quasi sul palmo di una mano, per lo più di marchio cinese, il più venduto nell’area latinoamericana. I cartelli messicani se li fanno anche riadattare per le loro esigenze da ingegneri che pagano a peso d’oro. Risultato: con le opportune modifiche si possono trasportare fino a 10 chilogrammi di droga. Inoltre, materiali come la fibra di carbonio e di vetro vengono usati per sostituire le parti metalliche e quindi eludere i radar. Secondo Samantha Vinograd del Dipartimento della sicurezza interna degli Stati Uniti, «tra agosto 2021 e maggio 2022 sono stati registrati 8 mila voli illegali di droni alla frontiera con il Messico». Lungo un confine di oltre tremila chilometri, circondato dal deserto, è difficile frenare questo flusso clandestino, che avviene soprattutto di notte per evitare di venire intercettati.
Ma i droni o Uav, come si chiamano in gergo tecnico, ovvero veicoli aerei senza pilota (Unmanned aerial vehicles) sono utilissimi anche nel traffico dei migranti. Il primo caso scoperto dagli agenti della Polizia di frontiera statunitense risale al 2019 a El Paso, in Texas. Da lì è stato un crescendo. Vengono mandati in avanscoperta e con una serie di giri di ricognizione avvisano i narcos che controllano le rotte se si possa avanzare o meno. I risultati sono stati così positivi che i cartelli messicani, sempre un passo avanti rispetto agli altri gruppi criminali, hanno deciso di utilizzarli per risolvere anche i loro conflitti interni usandoli come lancia bombe artigianali, mentre un altro drone filma l’azione. È successo nel 2022 a Tepalcatepec, nello Stato di Michoacán, dove sono state lanciate varie bombe C4 o «papas bomba», ovvero esplosivi al plastico di fattura artigianale facili da fabbricare per chi è abituato a raffinare cocaina in laboratorio.
Il video che ha ripreso il bombardamento contro un gruppo nemico in una zona rurale è diventato virale nelle reti social dei criminali a mo’ di propaganda, per mostrare con vanto il livello militare raggiunto. A fine aprile, sicari del cartello di Sinaloa hanno invece usato droni esplosivi per bombardare i rivali dell’emergente CJNG, a Teocaltiche, nello Stato di Jalisco, dove i 23 mila abitanti della città hanno vissuto 24 ore di terrore. «Il rischio è quello di una guerra da remoto, in grado di sostituire il sicariato e di portare a un livello di scontro tra cartelli più alto e pericoloso» spiegano Robert J. Bunker e John P. Sullivan, autori di un dettagliatissimo libro sul tema, Criminal Drone Evolution. «I primi ad usare i droni come armi sono stati i jihadisti dell’Isis nel 2015 e sicuramente questo ha influenzato i cartelli messicani» aggiungono. Il pericolo è che adesso i cartelli prendano di mira la polizia o i politici, seguendo un nuovo uso di queste macchine volanti. Che sembrano mettere nel mirino gli uomini di potere anche ad altre latitudini, come si è recentemente visto a Mosca, dove i droni esplosi sul Cremlino avevano come obiettivo Vladimir Putin. Un attacco di cui sono stati accusati gli ucraini.
Intanto il presidente del Messico Andrés Manuel López Obrador ha delimitato una «no fly zone» nello spazio al di sopra del Palazzo nazionale, dove vive. E sempre nel Paese centroamericano la Segreteria nazionale di difesa, la Sedena, ha annunciato la realizzazione di un piano antidroni costato circa 11 milioni di euro. Se il Messico è stato il primo, molti altri gruppi criminali della regione, dal Brasile alla Colombia passando per Cile, Guatemala, Ecuador, Honduras e Argentina usano i droni principalmente con due obiettivi: trasportare beni illeciti nelle carceri, come cellulari e droga, e per effettuare le cosiddette operazioni di «intelligence, sorveglianza e riconoscimento». Sono queste ultime a preoccupare di più le autorità della regione, dove non esiste una autorità regolatrice sul modello dell’Agenzia europea della sicurezza aerea. In Brasile, per esempio, il più importante gruppo criminale del Paese, il Primo comando della capitale con i droni ha spiato a lungo magistrati e poliziotti per liberare il loro leader, Marco Willians Herbas Camacho, alias Marcola, spendendo almeno 15 milioni di euro. Ma i mini robot volanti servono anche per monitorare i movimenti della polizia mentre si realizzano clamorose rapine – i cosiddetti «cangaços» – in cui si fanno esplodere contemporaneamente varie banche in città di provincia. Persino in Amazzonia alcune comunità indigene hanno denunciato l’uso di Uav da parte di gruppi che disboscano illegalmente la regione. Nel 2020 in Guatemala, nel Parco nazionale Laguna del Tigre, i droni venivano impiegati dai narcotrafficanti per guidare l’atterraggio di velivoli carichi di cocaina. In Honduras, a San Pedro Sula, uomini della potentissima gang MS13 hanno invece fatto ricorso a droni di sorveglianza per sfuggire ai raid della polizia.
Infine, ed è ciò che più preoccupa per il futuro, sono stati usati per uccidere – o tentare di farlo – presidenti nella regione. Nel 2021 il commando di mercenari colombiani che assassinò il presidente haitiano Jovenel Moïse si servì dei droni da cui furono lanciate granate per aprire loro il cammino nel palazzo presidenziale. Tre anni prima, in Venezuela, il presidente Nicolás Maduro fu vittima di attentato fallito con due droni DJI M600 che trasportavano ciascuno un chilogrammo di esplosivo al plastico. Protetto dai suoi guardaspalle, Maduro uscì indenne dall’episodio che ha però mostrato tutto il potenziale di questi droni criminali, seminare appunto il terrore tra gli abitanti delle città. Difendersi non sarà facile. Nanomateriali come il silicone nero e le stampanti 3D permetteranno a chiunque di realizzare un drone su misura, in grado persino di assorbire la luce e di viaggiare nel buio della notte a bassissima quota senza che nessuno se ne accorga, neppure i radar di difesa aerea.