Oltralpe sono più di 20 mila gli «attenzionati» come possibili terroristi pronti a colpire. Un piccolo esercito che lo Stato non riesce a espellere. Il presidente Macron agita i pugni, ma la perdita di un senso di autorità è evidente.
Pedinamenti, intercettazioni telefoniche, controlli e schedature. A guardare le misure di prevenzione applicate dalla Francia nei confronti dei radicalizzati islamisti verrebbe da credere che al di là delle Alpi la minaccia terroristica sia un problema superato. La cronaca degli ultimi anni, però, racconta tutt’altra situazione, fatta di impedimenti burocratici, rallentamenti nelle procedure e mani legate. Il recente attentato avvenuto in una scuola di Arras, nel nord del Paese, ne è il perfetto esempio. Il ventenne che ha ucciso a coltellate un insegnante, Dominique Bernard, prima di ferire altre tre persone al grido di «Allah Akbar!», Mohammed Mogouchkov, era conosciuto dalle forze dell’ordine, che lo seguivano da tempo. Il ventenne di nazionalità russa originario del Caucaso era stato schedato con la lettera «S», solitamente utilizzata per le persone considerate un pericolo per la sicurezza pubblica come gli estremisti islamici, e proprio alla vigilia dell’attacco aveva subito un controllo da parte dell’intelligence territoriale dal quale non era emersa nessuna anomalia. Ma soprattutto, al giovane, con fratello e padre radicalizzati, era stata bocciata due volte la richiesta d’asilo e nonostante questo risiedeva ancora sul territorio francese in base ad una legge che permette di rimanere nei confini d’Otralpe se si è arrivati prima dei 13 anni.
Un caso come tanti altri, fortunatamente finiti in modi meno tragici, che forse si sarebbero potuti evitare. «Il numero di persone da controllare è ampiamente superiore alle capacità di sorveglianza» spiega Thibault de Montbrial, avvocato e presidente del Centro di riflessione sulla sicurezza interna (Crsi). Al di là degli evidenti limiti giuridici che impediscono una inutile caccia alle streghe che porterebbe ad arresti arbitrari sulla base di semplici segnalazioni, in Francia molti si pongono una semplice domanda: perché è così difficile cacciare i profili stranieri noti per le loro simpatie jihadiste? Nel «file» di trattamento delle segnalazioni per la prevenzione della radicalizzazione a carattere terrorista (Fsprt) ci sono 20.120 nomi, tra i quali 5.100 sono considerati attivi. Di questi, la maggior parte è francese. Un piccolo esercito, pronto ad intervenire in modo improvviso e letale. Sulla scia dello shock per i fatti di Arras, che hanno sollevato un’ondata di critiche da parte delle opposizioni di destra sulla gestione della sicurezza nazionale da parte del governo, il ministro dell’Interno Gérald Darmanin ha agitato il pugno duro annunciando «l’espulsione sistematica» di ogni straniero considerato «pericoloso». Facile a parole, un po’ meno nella pratica.
La prima difficoltà riguarda il rinvio nei propri Paesi d’origine, che devono dare il loro accordo per riprendersi il concittadino riconoscendogli la nazionalità prima di rilasciargli un lasciapassare consolare. A questo si aggiungono poi gli intoppi burocratici: espellere un immigrato presente regolarmente sul territorio francese porta a una serie di ricorsi che rallentano o bloccano definitivamente le procedure. Tra questi ci sono anche quelli presso la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu), che nel 2022 ha condannato Parigi per aver espulso due ceceni in Russia, sottoponendoli al rischio di pesanti ripercussioni. «Il quadro giuridico globale rende difficile la situazione, ma oltre a questo c’è anche la mancanza di una volontà politica perché si tratta di un tema che non interessa Macron» spiega ancora Thibault de Montbrial, secondo il quale il presidente dopo sette anni all’Eliseo «ancora non ha una cultura sulle questioni di sicurezza, cosa che è alquanto inquietante».
Intanto, il presidente francese corre ai ripari. L’incarico di mettere una toppa a quella che sembra una falla del sistema giuridico è stato affidato al fedelissimo Darmanin, che sta lavorando sulla prossima riforma dell’immigrazione. Il testo, più volte rimandato, è stato inizialmente concepito per soddisfare destra e sinistra, con misure volte ad accelerare le espulsioni e a regolarizzare gli stranieri che lavorano nei settori dove c’è carenza di manodopera. Con il ritorno del pericolo islamista, però, Macron vuole mandare un messaggio ai connazionali: nel disegno di legge è stata quindi inserita una misura che prevede il ritiro del permesso di soggiorno a tutti gli stranieri che agiranno contro «i valori della Repubblica». Un modo anche per cavalcare l’emozione del momento nella speranza di far passare la riforma. Per de Montbrial, però, oggi sarebbe più importante avere un governo «capace di riportare l’autorità nel Paese, come vuole anche la stragrande maggioranza dei francesi stando ai sondaggi». Difficile in un contesto simile: «La classe politica, ampiamente reponsabile di questa situazione, è paralizzata: tutti hanno capito che la Francia è sull’orlo del precipizio ma manca il bagaglio intellettuale e il coraggio politico per cambiare». Adesso, quindi, sta solo a Macron allontanare il Paese dal ciglio del burrone.