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I paradisi italiani degli oligarchi russi

I paradisi italiani degli oligarchi russi

Sembrava che i ricchi russi innamorati della Penisola fossero sottoposti a «embargo» anche per i possedimenti nel Belpaese. Invece poco è cambiato.

C’è una villa, in Toscana, al centro di un contenzioso che scorre sottotraccia ma di cui tutti sanno, e di cui tutti tacciono. È una villa meravigliosa, dal cui cancello parte il nostro viaggio fra i beni che gli oligarchi russi continuano ad acquistare – e di cui continuano a godere – nonostante le sanzioni Ue imposte nel 2022. Si tratta di misure, come in molti ricorderanno, che miravano a congelare gli averi dei super ricchi vicini al Cremlino dopo l’inizio della guerra in Ucraina. Ed è proprio da questo maestoso edificio del 1619 – oggi noto come Villa Lazzareschi, per la famiglia che l’acquistò nel 1982 – che cominciarono tre anni fa le misure di fermo. La dimora in provincia di Lucca, comune di Capannori, ha un valore stimato di circa tre milioni di euro ed è riconducibile a Oleg Savchenko, già deputato della Duma, considerato come un imprenditore dai mille talenti e mille coinvolgimenti, che vanno dalla produzione di cuscinetti meccanici fino all’estrazione d’oro nella Chukotka, l’Alaska russa. «Ogni tanto passa qualcuno, magari nel fine settimana. I proprietari non si sono più visti, ma si vedevano poco pure prima» spiega un signore che abita poco distante. 

Simili le parole che ripetono anche i proprietari di un bar in Maremma, nei pressi della casa di Roman Trotsenko, imprenditore miliardario russo che nel 2014 ha acquistato la tenuta di Torre Civette: oltre 100 ettari di terreno, un agriturismo, diversi rustici ristrutturati e una torre del XVI secolo affacciata sul mare. «In paese si dice che il movimento c’è, ma da quando le cose si sono fermate l’ho visto solo una volta. Dicono comunque che, nonostante le sanzioni, le proprietà continuino a essere operative», confida il proprietario del locale. 

Fra i luoghi che ancora oggi restano nel limbo, nella cornice di Castiglione della Pescaia spicca la dimora della famiglia Rotenberg che, con un patrimonio personale che ammonterebbe a oltre un miliardo, qui possiede una sontuosa tenuta agricola con piscine, lago artificiale, eliporto privato e 220 ettari di oliveti. Ma i possedimenti dei Rotenberg – Boris e Arkadij, nonché del giovane Igor – sono infiniti, e comprendono il Berg Luxury Hotel in zona via Veneto a Roma, due ville in Sardegna, immobili a Tarquinia e a Cagliari. Il lago di Como è invece il regno di Vladimir Soloviev, noto presentatore televisivo russo e sostenitore di Putin, che qui possiede due ville – a Pianello del Lario e a Menaggio – dal valore complessivo di otto milioni di euro.  «Le agenzie immobiliari continuano a essere contattate da russi che acquistano senza problemi» spiega una fonte interna alla Guardia di Finanza. «Aggredirli è sempre più complicato. Si nascondono dietro muraglie legali di società offshore, che hanno sede nei paradisi fiscali dove le tasse non esistono ed è garantito l’anonimato. A comparire sono i prestanome». Esattamente come dimostra il caso di Marina Vladimirovna Sechina, ex moglie di Igor Sechin, fedelissimo di Putin e businesswoman con coinvolgimenti che vanno dalle telecomunicazioni all’agricoltura, dall’energia al settore immobiliare. Qualche settimana fa a Marbella, in Spagna, la polizia spagnola ha sgominato una rete di prestanome che aiutava la donna a eludere le sanzioni, evitando che il suo patrimonio milionario sulla Costa del Sol fosse sequestrato. Le accuse ai fedelissimi di Madame Sechina sono chiare: «Aver creato un’attività giuridica fittizia, falsificando documenti commerciali e doganali» per evitare che i beni fossero collegati alla reale proprietaria. 

Di certo una rete per tutelare gli oligarchi esiste. A Firenze una recente inchiesta ha messo in luce come quelli che sulla carta sarebbero stati due studentati in pieno centro, in realtà erano due hotel di lusso di proprietà di altrettanti russi. Battezzate «Il Santo» e «S4 Stays», le due strutture sono ancora oggi aperte e vengono gestite da Alunno Firenze S.r.l. che, fondata nel febbraio 2020, gestisce di immobili per conto terzi, e nel 2023 ha registrato un fatturato di 2.018.681 di euro. La recente inchiesta ha dimostrato come i due hotel facessero capo a due società italiane, tali Alunno Uno e Due, a loro volta controllate dalla capogruppo Alunno Ltd con sede a Cipro, i cui azionisti sono schermati – secondo una prassi ben nota – da un professionista fiduciario. Un professionista dietro il quale ci sarebbero due oligarchi russi, Alexander Grigorievich Abramov e Alexander Vladimorovich Frolov, considerati il cuore pulsante dello sviluppo dell’industria siderurgica russa attraverso la loro leadership nella multinazionale Evraz, il più potente produttore russo di acciaio, con miniere di metalli e carbone in diversi Paesi dell’ex Urss. La complessa inchiesta ha svelato un gioco di scatole cinesi, che vanno dalle Isole Vergini Britanniche fino a trust svizzeri, e che confermano come il nostro Paese sia sempre più oggetto di attenzioni russe. Soprattutto per quanto riguarda il nostro florido settore turistico. Piccolo inciso: attualmente le due strutture – che sono state al centro anche di una discussa sentenza del Tar, rispetto alla destinazione d’uso finale – risultano prenotabili solo dal primo giugno con tariffe che vanno da 200 a 300 euro a notte.  Restando in Toscana, emblematico è anche il caso di Alexey Fedorychev, in passato inserito da Forbes tra i businessmen più ricchi di Russia, cui la Guardia di Finanza ha recentemente sequestrato beni per 41 milioni di euro, fra cui addirittura un castello del XII secolo a Torre del Gallo, vicino a Firenze. 

In questa gimcana di congelamenti e scatole cinesi, di prestanome e sequestri, viene da chiedersi quale sarà l’epilogo della vicenda, cui si somma un’altra questione, decisamente controversa e spinosa, che riguarda le riserve valutarie russe.  Secondo una recente stima ammonterebbero a 274 miliardi di euro, di cui 210 miliardi congelati nell’Ue. Solo di extra-profitti, parliamo di una cifra compresa tra i 2,5 e i 3 miliardi di euro annui. Mentre la Russia non perde occasione di evidenziare che il sequestro dei suoi beni sia poco meno di un furto, il rischio – fanno trapelare più voci dal Parlamento europeo – potrebbe porre ulteriori interrogativi alla luce dei fragili equilibri economici e politici del presente. «La giurisprudenza afferma che sequestrare gli interessi è fattibile, ma lo è meno appropriarsi dei fondi congelati» spiega un nostro interlocutore da Bruxelles. «Il dibattito è aperto, anche perché sempre più nazioni europee, come Polonia ed Estonia, chiedono di finanziare gli aiuti all’Ucraina con i beni congelati alla Russia. A tenere il punto sono Francia, Belgio e Germania. Soprattutto perché i governi non vogliono creare precedenti che potrebbero spingere Cina e Arabia Saudita a vendere in massa le loro obbligazioni europee. Se questo accadesse, non ci sarebbero più limiti. E anche i beni immobili potrebbero essere venduti per far cassa». 

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