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La seconda dolce vita dei Narcos

La seconda dolce vita dei Narcos

Grazie alla nuova politica antidroga americana, oggi i narcos sudamericani chiedono (e ottengono) sempre di più l’estradizione negli Usa. Dove, dopo qualche comparsata in carcere, vivono con agi e benefit, in programmi di sicurezza top secret che gli procurano anche casa e lavoro.


Sono distanti anni luce i tempi di Pablo Escobar, quando il boss colombiano creò il gruppo terrorista «gli estradabili» che aveva un obiettivo inequivocabile: «meglio una tomba in Colombia di una prigione negli Stati Uniti». Per evitare di finire il resto dei loro giorni in un supercarcere americano, quei narcos dichiararono guerra allo Stato, ammazzarono migliaia di persone, compresi giudici e politici, ed abbatterono persino un aereo di linea.

Oggi è vero l’esatto contrario e i narcos, quando vengono arrestati in Messico come in Colombia, vogliono l’estradizione: con un accordo di protezione con la giustizia americana, infatti, se ammettono qualche crimine guadagnano una nuova identità e la protezione degli Stati Uniti, il Paese dove i boss latinoamericani sognano di andare a vivere nel lusso con le loro famiglie grazie a parte dei soldi nascosti proprio negli Usa con le attività criminali. Qualche esempio? Vicente e Jesús Zambada, alias «El Rey», rispettivamente figlio e fratello dell’inafferrabile fondatore del cartello di Sinaloa, Ismael «El Mayo» Zambada, hanno testimoniato contro Joaquin «El Chapo» Guzmán a New York, rivelando dettagli intimi del loro parente più stretto in cambio di una «dolce vita», con le famiglie, tra Washington, Miami e New York.

«Molto meglio qui che a Sinaloa» ha detto «Vicentillo» alle autorità americane dopo avere consegnato parte dei suoi proventi narcos in cambio di una fedina penale immacolata e la protezione dell’intelligence. Rischiava l’ergastolo come «El Chapo», ma alla fine, di anni dietro le sbarre ne ha fatti pochi. Quanti non è dato sapere, il sistema di protezione è top secret. Secondo il quotidiano messicano Milenio sono più di dieci i grandi boss che, in cambio dell’equivalente di 1,5 miliardi di euro consegnati alle autorità statunitensi dal 2016 a oggi, hanno stretto accordi di collaborazione con la giustizia di Washington e ora fanno la bella vita in America, dopo brevissime e comode permanenze in carcere.

La più famosa, anche per il suo profilo di influencer con quasi un milione di follower su Instagram, è la terza moglie del Chapo, Emma Coronel. Nata vicino a San Francisco, reginetta di bellezza con avventure fallimentari nel mondo della moda, assurse alle cronache planetarie quando fu intervistata come una celebrità dal Los Angeles Times, nel 2016. Arrestata all’aeroporto di Washington nel 2019 con pesanti accuse, in primis avere favorito l’evasione del marito boss dal carcere messicano dell’Altiplano contrabbandando l’orologio Gps che lo ha aiutato a scavare un tunnel, rischiava 20 anni di prigione. Invece, dopo 15 mesi di carcere leggero, ovvero di minima sicurezza nel FMC Carswell a Forth Worth, in Texas, da fine maggio vive a Long Beach, California, godendo di un programma di recupero per ex detenuti che li aiuta anche a trovare un lavoro legale e un appartamento. Dal 13 settembre sarà libera al 100 per cento.

Nessun giorno di carcere anche per l’amante di Joaquin Guzmán, Lucero Guadalupe Sánchez López, definita «la Chapodiputada», essendo stata sinora la più giovane deputata di Sinaloa. Forse ha avuto anche un figlio dal boss, di certo era andata a trovarlo nella sua cella di Altiplano per festeggiare insieme il Capodanno 2016, entrando con documenti falsi dopo averlo aiutato in una rocambolesca fuga, due anni prima, da una villa di Culiacán. Coinvolta nel traffico di droga del boss, a Guadalupe è bastato testimoniare contro il suo ex amante a New York per evitare qualsiasi processo negli Usa, una volta estradata dal Messico. Non appare in alcuna sentenza, non è mai stata «in custodia» da parte delle autorità carcerarie americane, nessuno sa dove si trovi, essendo sotto protezione, e Washington mantiene il più stretto riserbo pure sul suo caso.

Rilasciati negli ultimi due anni anche Ismael Zambada Imperial, alias «El Mayito», Dámaso López Serrano, «El Mini Lic», appartenenti al cartello di Sinaloa; così come Jessica Johanna Oseguera González, la figlia di Nemesio Oseguera, il sanguinario boss del CNGJ (l’emergente cartello Nueva Generación di Jalisco). Tutti vivono senza problemi in America dopo avere restituito milioni di dollari dei proventi del narcotraffico alla giustizia statunitense. Chi ha deciso di tornare in Messico, invece, se la passa peggio. È il caso di Eduardo Arellano Félix, del cartello di Tijuana, che nonostante avesse «donato» 50 milioni di dollari aWashington per scontare solo 8 anni di carcere invece dei 15 cui era stato condannato, dopo la sua liberazione è stato arrestato dalle autorità messicane. A indicare per primo la strada verso la cooperazione con l’America in cambio di benefit è stato Héctor El Güero Palma, il narcotrafficante tra i fondatori del cartello di Sinaloa. Estradato nel 2007 e processato a San Diego, in California, i pubblici ministeri lo avevano presentato come «uno dei narcotrafficanti più spietati della storia», ma tutto è cambiato con un patteggiamento ancora oggi classificato come top secret dagli Stati Uniti. Rilasciato nel 2016, non si sa quanti soldi del narcotraffico abbia dovuto versare alle autorità americane, ma di sicuro ha convinto i signori della droga a seguire le sue orme e a capire che collaborare con la giustizia Usa funziona bene.

Lo hanno capito subito anche Sandra Ávila Beltrán, soprannominata «la Regina del Pacifico», che una volta estradata ha fatto meno di un anno in carcere negli Stati Uniti in cambio della collaborazione, e oggi in Messico è una celebrità intervistata dalle tv; ed Édgar Valdez Villareal, chiamato «La Barbie»: nato in Texas e condannato nel 2018 a 49 anni in quanto braccio destro e killer spietato dei Beltrán Leyva, anche lui, dopo essere stato estradato dal Messico, il novembre scorso risultava essere un uomo libero. A rivelarlo la giornalista di Millenio Laura Sánchez Ley ma appena tre mesi dopo il suo scoop, «La Barbie» è tornato dietro le sbarre, nel carcere di massima sicurezza Coleman II, in Florida per mantenere le apparenze. Di certo, grazie agli accordi siglati sul micidiale fentanyl lo scorso gennaio dai presidenti degli Stati Uniti, Joe Biden, e del Messico, Andrés Manuel López Obrador, il nuovo corso sulle carcerazioni «light» dei narcos è destinato a continuare a lungo.

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