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Lo spaccio al tempo del Covid

Lo spaccio al tempo del Covid

Durante la pandemia è aumentata la domanda di stupefacenti in Italia. E sono cresciuti gli arresti di «pusher» e trafficanti. Ma resta ancora una sottovalutazione del fenomeno (persino tra i magistrati) per quanto riguarda le droghe leggere.


Usciti con un valido motivo, almeno secondo loro: comprare droga. Non passa settimana, dall’inizio della pandemia e delle limitazioni agli spostamenti, senza che carabinieri e polizia non fermino qualcuno che scrive sull’autocertificazione di aver violato il coprifuoco per andare ad acquistare stupefacenti «da un amico». Anche se la palma della sincerità spetta al 33enne cittadino del Marocco che a maggio, bloccato di notte dalla polizia mentre pedalava per i viali di Firenze, ha scritto sul modulo: «Sono fuori perché devo spacciare». Custodiva sette dosi di cocaina nelle mutande.

Lo spaccio al tempo del Covid, certo. Fatto anche di picchiatelli, o di furbetti che non si vogliono togliere la mascherina chirurgica perché vi hanno nascosto tra le pieghe le dosi di coca (l’ultimo caso, il 9 marzo a Reggio Emilia). Dall’inizio della pandemia da Covid-19, la domanda di droga è aumentata, come testimoniano decine di inchieste delle forze di polizia. Per fortuna sono cresciuti anche gli arresti di spacciatori e trafficanti. Resta però pericoloso sottovalutare il problema, come se le droghe leggere non fossero il primo passo verso sostanze più pesanti, e con i magistrati talvolta insofferenti per i troppi arresti di spacciatori da convalidare.

Quello tra inquirenti è uno scontro strisciante da mesi. E anche se con il Covid sono diminuiti molti reati, dalle rapine ai furti, a Torino è esploso lo stesso. A fine febbraio, una sessantina di magistrati, appartenenti alla corrente di sinistra di Are, ha firmato un documento che stigmatizzava «i troppi arresti per fatti di scarsa offensività, o per persone che non sono realmente pericolose». È successo che, dall’inizio dell’anno, la polizia di Torino ha eseguito una media di sette arresti al giorno, la metà dei quali per detenzione o spaccio di stupefacenti.

Il questore Giuseppe De Matteis è stato così costretto a mettere i puntini sulle «i»: «Lo spaccio è il “front office” del traffico di droga ed è pericoloso considerarlo un reato minore, anche quando si tratta di piccole quantità». Parole sante. Oltre al fatto che il controllo del territorio, anche attraverso lo spaccio, è uno dei classici modi in cui le varie organizzazioni criminali si confrontano tra loro. Con o senza lockdown. E poi, con le estorsioni in calo per le difficoltà di bar, ristoranti e locali vari, i clan hanno deciso di spremere più possibile chi ha dipendenze da droghe.

A ottobre 2020, con 2.066 operazioni antidroga, si è toccato il picco di un anno ritenuto «d’oro» per chi vende droga. In un solo mese sono state denunciate per traffico o spaccio 2.816 persone e sequestrati 3.864 chili di stupefacenti (fonte: Direzione centrale per i servizi antidroga del Viminale).

Un fenomeno in crescita in tutta Italia, come aveva già segnalato anche la relazione annuale della Dia per il primo semestre 2020, che registrava «un aumento dello spaccio di stupefacenti e del contrabbando», con una evidente capacità delle organizzazioni criminali di «rimodulare la propria attività», anche con le restrizioni anti-Covid. Per comprenderlo, basta leggere le intercettazioni di una vasta indagine della Squadra mobile di Milano, «Operazione Lockdown», che il mese scorso ha portato a decine di arresti e a colpire pesantemente gran parte della rete di spaccio nella zona a nord di Milano, a cominciare da Monza.

Il capo dell’organizzazione, che affiancava ai trafficanti italiani una rete di spacciatori albanesi, sarebbe Euprepio Carbone, detto «Genny Savastano» come il protagonista di Gomorra, e all’inizio del lockdown si lamentava al telefono per la pandemia. Ma solo dal punto di vista logistico, perché registrava soddisfatto un aumento della domanda di droga. Tanto da essere costretto, a bordo della sua Mercedes, ad andare su e giù per la Brianza lui stesso «per non perdere la clientela». Clientela a cui spesso consentiva di consumare «a credito, per fidelizzarla», come raccontava ai suoi. Insomma, anche «Genny» aveva la sua idea di ristori.

Ma il mercato delle droghe sta andando alla grande un po’ dappertutto. Con il Covid sono principalmente cambiate le modalità di trasporto, come spiega un investigatore: «I grandi carichi non viaggiano più in aereo, ma su navi che si fermano in acque internazionali e dalle quali la droga scende per arrivare sulle coste italiane a bordo di motoscafi. Poi viaggiano su gomma e arrivano ai vari capoluoghi dello spaccio». Insomma, il punto finale è sempre lo stesso: le piazze dello spaccio, ben note in ogni città.

Tra gennaio e maggio 2020, secondo il «report» della direzione centrale della Polizia criminale diretta da Vittorio Rizzi, i reati legati alla droga erano calati meno degli altri, ma comunque di un 14%. Ma era solo una pausa da riorganizzazione, come segnalano i dati provienti da varie parti d’Italia. In provincia di Trieste, nel 2020, i reati commessi sono scesi del 19%, ma gli arresti per droga da parte dei carabinieri sono cresciuti del 17,4%. A Venezia e Mestre, la Polizia locale in un anno ha fermato 115 pusher, contro i 76 del 2019.

In provincia di Milano aumenti in doppia cifra, con l’Arma che in 12 mesi ha sequestrato 1.136 chili di stupefacenti e ha arrestato 1.386 persone per spaccio e detenzione. In un anno che ha visto massicce operazioni contro la droga nel boschetto di Rogoredo. A Napoli e provincia sono aumentati sequestri e arresti, con 461 chili di droga intercettati. Il tutto in un 2020 che anche qui ha registrato un netto calo dei reati (-14%). A Cagliari, la questura segnala che metà degli arresti 2020 ha riguardato lo spaccio (171 persone, il 7% in più) e sono stati recuperati 100 chili di sostanze, dall’eroina alle anfetamine. In provincia di Reggio Emilia, i carabinieri sono passati in un anno da 57 a 198 arresti per spaccio.

Insomma, a ogni latitudine, anche con il Covid, è come se la droga fosse un genere di prima necessità basata su reti distributive di un’efficienza che è meglio non confrontare con la distribuzione di altre dosi. Nel 2020 si segnalano postini privati arrestati con la droga nascosta fra i pacchetti e anche rider di vario genere. Veri o abusivi, come il ventenne fermato a Catania dalla polizia, ai primi di novembre, con un borsone di una nota catena di delivery zeppo di marijuana: la vendeva in chat e poi la consegnava su uno scooter senza assicurazione e senza aver mai preso la patente. Insomma, ingegnoso ma non troppo professionale.

Oggi, invece, racconta un investigatore dell’Antidroga con vasta esperienza in tutto il Nord, «ormai il 99% degli spacciatori è marocchino, tunisino, nigeriano o albanese, guadagna 5-6.000 euro al mese, è addestrato a eludere qualunque sistema di telecamere e cambia città appena una piazza diventa più difficile». Soprattutto, non si drogano. Insomma, a modo loro, sono professionisti seri.

Ecco perché il minimalismo sul «piccolo spacciatore» è particolarmente fuori luogo. Polizia e carabinieri li arrestano, anche per ristabilire un minimo controllo del territorio in certe aree, ma grazie al fatto che il nostro codice non punisce il reato di spaccio con più di quattro anni di reclusione, ben pochi restano dentro. Perché un giudice emetta un’ordinanza di custodia cautelare serve una pena da cinque anni in su e anche per mettere uno spacciatore ai domiciliari servirebbe, appunto, un domicilio certo.

Oltre al fatto che molti sono giovanissimi, non hanno documenti e si dicono minorenni. Sempre in tema di ragazzi, l’altra faccia del fenomeno, ovviamente, sono quelli che vanno a comprare droga e con una semplice banconota da 10 o 20 euro in tasca, sempre più spesso, riescono ad acquistare prima un po’ di fumo e poi una dose di eroina. Spesso le forze dell’ordine li «restituiscono» a genitori che, specie di fronte al consumo di droghe leggere, non capiscono che hanno in casa l’inizio di un problema serio. Ma con i dati della droga in aumento in tutta la Penisola, sarebbe davvero miope, se non ipocrita, dibattere il tema delle ricadute psicologiche delle scuole chiuse e non vedere le piazze aperte per spaccio.

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