Durante l’Avalon Airshow, che si tiene nelle vicinanze di Melbourne, Australia, un alto ufficiale della Forza aerea australiana (Royal Australian Air Force, o RAAF), il vice maresciallo dell’aria Nicholas Hogan, ha dichiarato che il suo ufficio ha recentemente ricevuto un pacchetto informativo riguardante il Global Combat Air Programme (GCAP), ovvero il progetto in corso per il caccia di sesta generazione e i relativi sistemi d’arma sviluppati congiuntamente da Regno Unito, Italia e Giappone, i cui delegati erano presenti all’evento.
La RAAF, che ha appena ricevuto la sua flotta di 72 esemplari di Lockheed Martin F-35A lo scorso dicembre, al momento starebbe soltanto cercando di capire come potrebbe operare in futuro con quell’aeroplano nello scenario Asia-Pacifico.
Dopo l’Arabia Saudita, anche l’Australia sta quindi guardando con attenzione alla possibilità offerta dal GCAP, ovvero quella di abbassare la quota di armamenti acquistati dagli Stati Uniti, storico fornitore. Sul piano politico c’è molta prudenza, tanto che dal governo guidato dal primo ministro Anthony Albanese fanno sapere che lo scambio di informazioni è stato puramente informativo e che non c’è, al momento, alcuna manifestazione di interesse per far parte del programma.
Resta, invece, l’apprezzamento sul piano tecnico, poiché da quanto illustrato ai militari della RAAF, l’aeroplano che nel Regno Unito è noto come Tempest, almeno sulla carta, è stato molto apprezzato.
Di fatto, gli australiani hanno altre esigenze più urgenti, come far entrare in servizio rapidamente i nuovi droni Boeing MQ-28 Ghost Bat per soddisfare le esigenze strategiche di Canberra, tra cui il pattugliamento marittimo per la lotta contro l’immigrazione clandestina e lo sconfinamento dei pescherecci cinesi.
Certamente Washington farà di tutto per mantenere un cliente come le Forze Armate australiane e c’è da aspettarsi un’offerta per transitare dal programma F-35 JSF direttamente al suo successore, il Boeing F-47, presentato qualche giorno fa, del quale Canberra potrebbe ottenere una versione da esportazione.
Ma se oltre all’Arabia Saudita, che sta valutando l’ingresso nel GCAP, anche l’Australia dovesse fare questa scelta, il programma anglo-italo-nipponico acquisterebbe dimensioni tali da surclassare sia quello franco-tedesco-spagnolo noto come FCAS, sia posizionandosi come un vero concorrente degli Stati Uniti.
Intanto in Europa, a tre mesi dal salone internazionale dell’aerospazio di Le Bourget, le posizioni su una possibile unione tra i programmi GCAP e FCAS restano divergenti tra Airbus e Dassault. Se il CEO del colosso aerospaziale di Tolosa, Guillaume Faury, è possibilista, l’amministratore delegato di Dassault Aviation, Eric Trappier, ha recentemente escluso qualsiasi prospettiva di fusione, almeno per due ragioni. La prima riguarda la titolarità delle tecnologie, specialmente dei comandi di volo e delle capacità di volo autonomo, proprietà di Dassault. La seconda riguarda l’approccio troppo differente tra Londra, Roma e Tokyo da una parte e Parigi dall’altra sulle future possibilità di esportazione del caccia e dei suoi sistemi.
A valle della presentazione dei dati aziendali 2024, avvenuta il 5 marzo scorso, il manager aveva dichiarato alla testata specializzata Flight Global: “Ci sono CEO che si concentrano sul lavoro e altri che si concentrano sui sogni. Mi piace avere qualche sogno, perché ovviamente bisogna guardare a cosa potrebbe succedere nei prossimi 20 o 30 anni, ma al momento i fatti sono che oggi la fusione non è in programma. Non abbiamo problemi a lavorare con partner importanti, come le altre cinque nazioni con le quali abbiamo sviluppato il dimostratore del drone Neuron dal 2010 (inclusa l’Italia, ndr), buon esempio di che cosa possiamo fare in cooperazione quando i partner sono tutti sulla stessa linea di pensiero”.