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La realtà atomica dei russi

La realtà atomica dei russi

L’arsenale nucleare di Mosca è il più grande al mondo, eppure solo una parte sarebbe davvero utilizzabile. La manutenzione ha costi altissimi e non si fanno più test. Nonostante tutto, rimane una forza spaventosa.

Da quando è stata invasa l’Ucraina, Vladimir Putin e i suoi generali hanno minacciato molte volte un attacco nucleare per dissuadere Kiev e Bruxelles dal resistergli. 

Un impiego che, tuttavia, è meno credibile (e più complicato) di quanto si pensi. Per quanto la Russia insista nel dichiarare di possedere il più grande arsenale nucleare al mondo – ed è vero: con circa 5.580 testate, rappresenta il 47 per cento delle scorte globali – a ben vedere solo una minima parte di esse è realmente operativa. Secondo i dati più attendibili (la realtà è coperta da segreto di Stato), sono circa 1.710 le testate russe potenzialmente impiegabili in un conflitto, un numero leggermente superiore rispetto alle 1.670 degli Stati Uniti. Ma è davvero così?

Entrambe le potenze dispongono di una forza nucleare sufficiente per annientarsi reciprocamente più volte e possiedono un numero di testate ben superiore a quello delle altre sette nazioni con armamenti atomici messe insieme (Cina, Francia, India, Israele, Corea del Nord, Pakistan e Regno Unito). Tuttavia, poiché mantenere attive queste testate costa, quelle davvero operative dopo la Guerra Fredda sono calate drasticamente di numero, anche a seguito di accordi come i Trattati di riduzione delle armi strategiche (Start I e Start II) siglati da Mosca e Washington. Forse è perciò che nell’agosto 2024, dunque in pieno conflitto contro l’Ucraina, il presidente russo ha promosso una revisione della dottrina nucleare, imperniata su tre punti: Mosca prenderà in considerazione l’uso di tali armamento nel caso di un attacco al suo territorio; potrebbe lanciare un attacco atomico «in risposta a un’aggressione da parte di uno Stato non nucleare che agisca con la partecipazione o il supporto di uno Stato che disponga di questo arsenale (per esempio l’Ucraina con una potenza europea); applicherà le stesse condizioni anche in caso di un attacco al territorio bielorusso.

Secondo le fonti più attendibili, almeno 870 atomiche potrebbero essere installate su missili balistici terrestri, 640 integrate in missili lanciabili da sottomarini e fino a 200 dislocate in basi aeree, predisposte per essere montate su bombardieri tattici. Eppure, questi numeri appaiono ancora sovrastimati. Vero è che al suo massimo storico, durante gli anni Sessanta e Settanta, il Cremlino  possedeva – o meglio dichiarava di possedere – circa 40 mila testate, a fronte delle circa 30 mila degli Stati Uniti. Quelle cifre, forse gonfiate dalla propaganda, dal crollo dell’Unione Sovietica sono diminuite radicalmente: oggi il totale mondiale non dovrebbe superare le 10 mila complessive. Tuttavia, quelle operative sono tornate a crescere negli ultimi cinque anni. «Quasi tutte le nazioni dotate di armi nucleari stanno pianificando o perseguendo attivamente un rafforzamento di questa loro capacità» ha dichiarato nel giugno 2024 Hans M. Kristensen, direttore del Nuclear Information Project della Federation of American Scientists. Sia come sia, esiste un solo vero deterrente alla proliferazione atomica, che i russi conoscono fin troppo bene: i costi di mantenimento. Ovviamente, Mosca non fornisce alcun dato circa questo aspetto, ma si può tentare un paragone affidabile con gli Stati Uniti, che spenderà più di 750 miliardi di dollari nel prossimo decennio per rinnovare quasi ogni parte delle proprie vecchie difese nucleari. Anche perché non è più possibile aspettare: alcuni sistemi e componenti hanno più di 50 anni (lo stesso vale per la Russia) e il rischio di ritrovarsi con componenti guasti o inutilizzabili è altissimo già adesso. Poiché gli Stati Uniti non effettuano più test esplosivi dal 1992 (con l’Operazione Julin), gli scienziati non sanno determinare con esattezza come i nuclei di plutonio delle testate invecchiate potrebbero influenzare una eventuale detonazione. Per le parti più comuni, come le plastiche, i metalli e i cavi all’interno di ogni detonatore, ci sono anche dubbi su come il tempo possa  aver influito sulla loro integrità.  Lo stesso vale per la Russia, il cui ultimo test risale al 1990, quando ancora era in piedi l’Unione Sovietica. Perciò Putin è il primo a non sapere con certezza di quante atomiche può disporre, e se queste non farebbero cilecca al primo lancio. Senza contare le inquietanti dichiarazioni dell’ex consigliere russo per la sicurezza Alexander Lebed, secondo il quale negli anni «sono scomparse un  centinaio di valigette-bomba nucleari» (affermazioni sempre  smentite dalle autorità di Mosca). 

Lebed ha anche ricordato il caso di due siluri nucleari Shkval persi nel 1989 a bordo del sottomarino sovietico Komsomolets, affondato nel Mare di Barents, e mai recuperati. In ogni caso, gestire bombe e relativi componenti è un lavoro straordinario, perché molti dei lavori di manutenzione devono essere eseguiti a mano (sic!) nei laboratori e nei siti di produzione nucleari da tecnici specializzati, che trascorrono molto tempo a stressare e testare le parti per assicurarsi che siano sicure. Secondo l’agenzia di notizie Associated Press – che nel settembre 2023 ha ottenuto un raro accesso agli impianti di produzione dell’Energy Department di Kansas City, dove sono prodotte e mantenute le testate Usa – i componenti vengono sottoposti a test infiniti. I tecnici riscaldano le parti delle armi a temperature estreme, le fanno cadere a velocità che simulano un incidente aereo, le sparano ad alta velocità da pistole di prova e le scuotono e agitano per ore. 

Tali test hanno lo scopo di simulare scenari reali, dalla corsa verso un bersaglio al trasporto su un camion dell’aeronautica militare su una strada lunga e dissestata. Dopo gli «stress test», si valutano i possibili danni. Il problema è che la mancanza di vere detonazioni, vietate in base ai trattati internazionali, costringe gli scienziati a fare affidamento su simulazioni e progetti di testate create molti decenni fa. «Questo perché ciascuno di quei progetti originali era stato certificato, poiché farla esplodere è il modo migliore per certificare che un’arma funzioni per come è stata progettata. Cambiare anche un solo componente introduce incertezza» ha riportato Associated Press. Inoltre, non solo le armi sono obsolete, ma molti dei produttori e degli appaltatori originali hanno cessato l’attività. «Ciò ha costretto i laboratori nucleari a decodificare vecchie parti, come un perossido che veniva utilizzato per trattare le parti delle testate, che non è più in produzione. Quindi i tecnici di laboratorio stanno lavorando per “reinventarlo”».

La riprogettazione dei componenti sta diventando più semplice grazie ai progressi di computer e stampa 3D: «I tecnici di Kansas City stanno sperimentando le stampanti 3D per creare alcuni componenti delle testate, come uno strato micro-alveolare e gommoso che funzionerà come cuscinetto per i sistemi radar delle testate», ma non c’è alcuna garanzia che tutto ciò consenta la piena operatività degli armamenti atomci. Ora, se tutto questo vale per gli Stati Uniti – che da soli spendono quanto la somma dei successivi otto Paesi nella classifica mondiale degli investimenti in difesa (880 miliardi di dollari nel 2023 su un totale globale di 2.440 miliardi) – come può non valere per la Russia, che spende meno di un settimo (126 miliardi di dollari) degli Stati Uniti nel comparto militare?

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