Ha un impero da 20 miliardi di euro, opera da Londra, investe in Italia e non ama comparire. Matematico di formazione, ha acquisito partecipazioni in strategiche società nazionali di software e dati finanziari come Cerved. Ora però ha deciso di entrare in business «maturi». E punta sulle grandi operazioni immobiliari.
Lo slogan pubblicitario è magniloquente e patriottico: «Aiutiamo il Sistema Paese a proteggersi dal rischio e a crescere in maniera sostenibile». Ma Cerved, l’azienda che incrocia dati di bilancio e solvibilità di imprese e persone, dal 2021 è di un finanziere del quale si sa poco o nulla. Si chiama Andrea Pignataro ed è un matematico bolognese di 53 anni che vive in un castello a Sankt Moritz, ha l’ufficio a Londra, la famiglia dalle parti di San Siro e un buen retiro caraibico alle isole Grenadine. Con una vitaccia del genere, ovviamente deve spostarsi su un jet privato. Pignataro guida Ion Group, un impero auto-valutato oltre 20 miliardi di euro (al netto delle passività) con sede a Dublino, in Lussemburgo e, salendo per li rami, nelle Isole del Canale. Tutti posti che assicurano massima riservatezza. Una riservatezza che vale anche per i debiti contratti per comprare oltre 30 aziende, tutte rimesse a nuovo intervenendo sui costi e che Pignataro non vende mai, neppure dopo averle rilanciate.
A differenza del suo simile Michael Bloomberg, forgiato come lui dalla scuola di Salomon Brothers, storicamente Mister Ion ha più amore per l’architettura dei software che gestiscono i mercati finanziari che per l’editoria. Ma ora si trova a gestire anche crediti difficili e immobili, che non sarebbero la sua specialità, ma sono dentro a gruppi che ha rilevato. In estate, Pignataro ha infatti annunciato l’acquisto per 1,35 miliardi di Prelios, ma il governo di Giorgia Meloni ha per ora bloccato l’operazione per valutare se sia il caso di usare il «golden power» pubblico su un affare che potrebbe essere strategico per quel Sistema Paese sbandierato da Cerved.
Giusto o sbagliato che sia lo stop su Prelios di Palazzo Chigi, fa un po’ sorridere che non sia stato usato in precedenza, quando a finire nelle mani di Pignataro sono stati gli enormi database di gruppi ben più strategici come Cerved e Cedacri, che lavorano a stretto contatto con le banche. Cerved è stata acquisita con un’Opa per quasi due miliardi di euro nel settembre del 2021 e Cedacri è stata rilevata da una serie di banche e casse di risparmio per 1,5 miliardi di euro a marzo dello stesso anno, con il via libera di Bankitalia. In entrambi i casi, la leva del golden power, con cui il governo può chiedere chiarimenti, stabilire paletti o bloccare un’operazione, era nelle mani di un ex banchiere centrale del calibro di Mario Draghi. Che non l’ha impugnata. E sull’acquisizione di Prelios, che compare già sul sito di Ion come se fosse completata, deve ancora dire la sua anche la Banca d’Italia, che conosce benissimo Pignataro, ma giustamente valuta ogni singola operazione separatamente e ha di fronte un’acquisizione finanziata quasi tutta a debito, tra strumenti italiani ed esteri.
Tra le banche che hanno prestato i denari per l’acquisizione dall’hedge fund statunitense Davidson Kempner figurano UniCredit, Intesa Sanpaolo, Bnp Paribas, accompagnate da Banco Bpm, dall’inglese Standard Chartered Bank e da Mediobanca. Il presidente di Prelios è Fabrizio Palenzona, buon amico di Pignataro e presidente della Fondazione Crt, a sua volta azionista di peso di UniCredit. Palenzona, da pochi mesi tornato alla guida della Crt, ha già fatto sapere di essere a favore di una fusione tra Unicredit e Banco Bpm che di fatto stroncherebbe sul nascere quel terzo polo bancario che piacerebbe molto a Lega e Fratelli d’Italia. L’operazione Prelios, come si vede, è una finestra sul futuro e non stupisce che Palazzo Chigi intenda vederci chiaro. In ogni caso perfino la Bce è cliente delle società di software di Pignataro e Via Nazionale avrà già ben valutato la sua costellazione di società, anche se manca una vera holding e i bilanci consolidati scarseggiano. Ma Pignataro sa muoversi anche in Italia. Nell’autunno del 2022, subito dopo l’acquisto di Cerved e Cedacri, Ion Investment group ha messo sul piatto 50 milioni di euro per partecipare all’ultimo, decisivo, aumento di capitale del Monte dei Paschi di Siena, sotto la regia del ministero del Tesoro. E ad agosto dello scorso anno, Ion ha rilevato il 32 per cento della Cassa di risparmio di Volterra per 15 milioni, in una classica «operazione di sistema» che ha coinvolto anche Poste Italiane.
Al di là del merito, quello che colpisce è che il Sistema sta facendo le pulci a Mister Ion su Prelios, ma in realtà Mister Ion fa parte di esso già da qualche anno. Nella sua campagna d’Italia, finora, Pignataro ha investito poco meno di sei miliardi di euro, rilevando aziende di software, dati, analisi e le partecipazioni bancarie di cui detto. E un anno e mezzo fa ha rilevato anche il 10 per cento di Fsi, il fondo di capitale per la crescita guidato da Maurizio Tamagnini e partecipato da Poste. Criticato talvolta per la scarsa trasparenza, va detto che ultimamente forse nessuno ha investito tanto come Pignataro nella Penisola, notoriamente povera di capitali freschi. Ma quanto vale a livello globale? Un’inchiesta del sito Verità&Affari, a dicembre, ha ricostruito che la capofila Ion Investment Corporation totalizza oltre 20 miliardi di asset, 359 milioni di dividendi incassati e 958 milioni di plusvalenze non realizzate sugli investimenti (bilancio 2022). Mentre il Financial Times, in un’analisi del 2019, ovvero prima che Pignataro lanciasse la sua imponente campagna d’Italia, raccontava che aveva rilevato una ventina di società in 15 anni e che aveva circa sei miliardi di debito su sette miliardi di asset. Più severa la fotografia scattata la scorsa settimana da Bloomberg News, controllata dal principale concorrente di Pignataro, che in un lungo servizio ha svelato che Ion si è fatta finanziare per tre miliardi di dollari dal fondo Usa Hps e avrebbe in totale «12 miliardi di dollari tra obbligazioni e prestiti», con interessi che «negli ultimi due anni sono aumentati di un terzo e sono arrivati a una media del 10 per cento».
Il finanziere bolognese ha sempre tenuto comunque un profilo bassissimo e in una delle rare interviste concesse (al Sole 24 Ore, 3 febbraio 2023) si è definito «un imprenditore nell’accezione di Joseph Schumpeter: mi piace imparare, immaginare, costruire, trasformare vedere opportunità dove altri vedono solo difficoltà. Per farlo, ci vogliono tempo, dedizione, ricerca e passione». Se si parla con chi ha lavorato con lui, esce un quadro coerente. Ai tempi della scuola, a Bologna, era famoso per insegnare la matematica ai suoi professori e da finanziere Pignataro si è segnalato per essere un uomo che lavora a ciclo continuo, pretende moltissimo dai collaboratori, maneggia i numeri come pochi e taglia i costi senza guardare in faccia a nessuno. Ma non spolpa le aziende che conquista. Anzi, sempre con il giornale della Confindustria si era vantato: «Crediamo nel capitale permanente: non a caso, in 20 anni, Ion non ha mai venduto nessuna azienda acquistata».
Questo sarebbe un grandissimo pregio se Pignataro usasse solo soldi propri, ma visto che in massima parte si muove con capitali presi a prestito, ogni tanto sarebbe più che giustificabile se rivendesse qualche azienda. Tra i principali alleati italiani di Pignataro ci sono banchieri come Corrado Passera (sono soci in Illimity), Andrea Orcel di UniCredit (dai tempi di Ubs) e Carlo Messina di Intesa Sanpaolo, anche se con il mondo Intesa i rapporti si starebbero raffreddando. Pignataro adesso si affida ai buoni uffici di Palenzona (70 anni, ex democristiano) nel mondo bancario e politico, il quale a sua volta punta a presiedere l’Acri e, dicono i bene informati, persino la Cassa depositi e prestiti. Di sicuro, con Prelios nelle mani di Pignataro, il primo cliente sarà UniCredit e non più Intesa. Prelios non solo gestisce crediti in sofferenza di origine bancaria, ma ha anche le mani in affari immobiliari. Come i 45 ettari dello Scalo Farini di Milano, dove il 15 dicembre la gara lanciata da Fs Sistemi Urbani ha visto la cordata degli americani di Hines, di Prelios sgr e di UniCredit prevalere su quella di Coima (Manfredi Catella) e Generali Real estate, con un’offerta da 500 milioni. E nell’area, Unicredit ha deciso di trasferire la propria sede. Se a Pignataro da un lato piacciono la velocità dei mercati e le meraviglie dell’informatica applicata al trading, dall’altro non disdegna di puntare sugli immobili anche in proprio. In Sardegna, ha rilevato terreni a La Maddalena e nell’arcipelago delle Grenadine si è lanciato in un’operazione sull’isola di Canouan. L’immobiliarista, tuttavia, non è il suo mestiere. Per fare i milioni nel settore basta tenere sotto controllo pochi numeri: prezzo di acquisto, interessi da pagare sui capitali investiti e prezzo di vendita. Invece al matematico bolognese piace fare l’innovatore del fintech. Ma quando le banche ti sostengono e vuoi crescere, anche politicamente, tocca imparare a gestire crediti e immobili. Due mestieri tra i più antichi del mondo.