Conti correnti gestiti solo tramite app, carte di credito per lo smartphone o dentro l’orologio, prestiti concessi in pochi attimi da un algoritmo. E poi, pagamenti a rate autorizzati in tempo reale, sportelli e uffici aperti nel metaverso. Mentre la tecnologia e schiere di start-up rendono la finanza sempre più digitale, i grandi gruppi storici provano a rinnovarsi. In gioco c’è tutto: la loro sopravvivenza.
Sponsorizzano video su YouTube, ingaggiano influencer, fanno pubblicità sui social network. Le banche online hanno una dimestichezza totale dello spazio che le definisce, del perimetro nel quale si muovono: il digitale. In parallelo, aggiornano riti analogici. Si affidano al passaparola, anzi lo istigano, lo hanno trasformato in una generosa ricompensa: regalano decine di euro a chiunque presenti un amico, convincendolo ad aprire una posizione con loro. Il bonus è automatico anche per i nuovi clienti, mentre i servizi di base sono gratuiti per tutti, così come le carte di credito o di debito.
L’essenziale resta accumulare utenti, per monetizzare ci sarà tempo. Il modello è un clone di quello freemium delle applicazioni per lo smartphone, ovvero accesso a costo zero, pagamento o commissioni per i servizi accessori proposti durante l’uso. Spaziano dalle assicurazioni ai viaggi, dal trading all’e-commerce: l’appetito vien transando, la banca del futuro assomiglia a un bazar. O, senza essere ineleganti, a un centro servizi straripante, tentacolare quanto evoluto.
È il business degli istituti nati e cresciuti su internet, che ribaltano il paradigma di quelli tradizionali, i quali invece mantengono come roccaforte, come geloso privilegio, l’accesso a titolo oneroso. A fine dicembre del 2021, la Banca d’Italia pubblicava un’indagine stimando spese di gestione annuali pari a circa 91 euro (nel paniere entravano 13 mila conti correnti, meno di mille online); un’indagine di Altroconsumo dello scorso luglio parlava di costi medi in aumento del 2 per cento, con un’incidenza superiore per i pensionati (+5 per cento) e per le famiglie (+4 per cento). Più un elemento in maiuscola evidenza: le operazioni allo sportello risultano più care del 36 per cento rispetto a quelle virtuali.
C’è poco da filosofeggiare di urgenza dei tempi, di passo surriscaldato del progresso: la prima leva di magnetismo, per tanti, diventa il risparmio. È fino al 5 per cento quello realizzato negli ultimi dodici mesi dai giovani, attratti dalle sirene di bit, dall’immediatezza del tempo reale, meno spaventati dalla mancanza di un riferimento fisico sul territorio. «Siamo di fronte a un’evoluzione, la pandemia è stato uno shock, ha rotto gli argini. Ha avvicinato e abituato i cittadini al digitale. Le banche hanno vissuto anni tranquilli, in cui si limitavano a competere tra loro. Ora l’innovazione viaggia alla velocità della luce» osserva Valeria Portale, direttore dell’Osservatorio Innovative Payments del Politecnico di Milano, che fotografa il vigore del nuovo corso. In Italia i pagamenti digitali hanno raggiunto nel 2021 i 327 miliardi di euro, crescendo del 22 per cento rispetto a dodici mesi prima; il principale decollo è stato quello dei pagamenti tramite gli oggetti indossabili, smartphone e smartwatch in prima fila. Hanno superato i 7 miliardi di euro, raddoppiando di valore in confronto al 2020.
Se la banca di domani è già qui è perché prevale la logica del funzionalismo, la praticità dell’efficacia. La Generazione Z, ma anche i Millennial, bramano che l’ex tesserina di plastica sia smaterializzata, operativa dentro Google, Samsung o Apple Pay. Sempre a portata di mano o di polso. Fa niente se a emetterla è stata un debuttante, lo storico colosso della finanza, un gigante hi-tech o un qualche ibrido tra i due: è il modello Apple, che ha lanciato la sua Card, tangibile o memorizzata nell’iPhone, per ora non disponibile in Italia. È frutto di un’alleanza con Goldman Sachs, non prevede spese, restituisce fino al 3 per cento delle singole transazioni. Piace perché fa status e conviene. In Inghilterra, Monzo ha superato i 6 milioni di clienti: non ha nemmeno un Iban, ma un conto che si può ricaricare da 28 mila negozi in tutto il Regno Unito, aperti fino a tardi, sette giorni a settimana. Lo sportello con gli orari fissi sa di preistoria.
Gli esempi in questo solco si sprecano, non solo all’estero: l’ormai ex start-up Revolut ha raggiunto i 20 milioni di clienti globali, 850 mila solo nel Belpaese, dove ha registrato il +750 per cento negli ultimi 3 anni. Il suo Ceo, Nik Storonsky, in un’intervista esclusiva a Panorama lo scorso giugno preconizzava: «Gli istituti storici perderanno una quota significativa, non saranno più migliaia, ne resteranno una decina». Per sfidarli, tra gli ultimi servizi (dopo gli hotel con il cashback e il conto per giovanissimi, da 6 anni su), sta sperimentando «Pay later»: al momento di un acquisto, la spesa è dilazionata in tre rate, senza moduli da compilare o burocratiche lungaggini. La stessa opzione è offerta da operatori quali PayPal o Klarna, a interessi zero.
Ecco, se le banche perdono centralità, è perché la tecnologia incalza, le soppianta snellendo le procedure. Lo stesso avviene sul fronte del credito, nei prestiti concessi all’istante da un algoritmo, specie per piccole somme. Un terreno spinoso, come ha rilevato uno studio delle università di Chicago e Stanford pubblicato sulla rivista Mit Technology Review: l’intelligenza artificiale è intessuta di pregiudizi, potrebbe discriminare le minoranze e i gruppi razziali a basso reddito, storicamente meno solventi o con pochi dati su cui valutarli. Ma le cautele non bloccano l’avanzata del fenomeno.
Guardando oltre, si spalanca la frontiera del metaverso, la prossima arena della socialità virtuale. Facebook ci ha messo un’ingombrante bandiera annunciando a giugno «Meta Pay», un sistema per comprare e scambiare denaro nel nuovo mondo di bit. Qui le banche provano una reazione, allestiscono un qualche abbozzo di presidio: J.P. Morgan ha aperto Onyx, una lounge virtuale dove discutere di soluzioni innovative, come le criptovalute; HSBC sta lavorando per blandire gli ospiti a suon di giochi e intrattenimento. Gli addetti ai lavori giurano di crederci davvero: una ricerca di Accenture rileva che, secondo il 67 per cento dei dirigenti dei grandi gruppi finanziari, l’impatto del metaverso sarà positivo. Un’adesione inevitabile che nasconde un inseguimento alla fuga in avanti della concorrenza più smaliziata, una rincorsa dal significato univoco: per sopravvivere, occorre svecchiarsi.
«Una volta compreso il potenziale trasformativo della rivoluzione digitale, i modi tradizionali di organizzare il sistema finanziario si rivelano insostenibili» sentenzia Jonathan McMillan (pseudonimo che nasconde due esperti del settore) nel saggio dal titolo apocalittico La fine delle banche, pubblicato da Mondadori. Nel testo, il canto del cigno è quello per gli schemi ormai polverosi: «Senza dubbio» commenta Portale del Politecnico di Milano «esiste uno zoccolo duro di consumatori che apprezza lo status quo o teme le alternative hi-tech. Gli istituti vecchio stile potranno continuare a monetizzare da loro nel breve periodo, ma andranno presto incontro a grossi problemi. L’approccio corretto è creare business unit giovani, indirizzate a un target diverso, con la digitalizzazione come elemento fondante».
È la strada intrapresa da UniCredit con Buddybank, che il posizionamento lo svela sin dal lessico. Si presenta come un «conto corrente online a portata di app», «per chi ha la smartphone sempre in tasca». Tra i benefit, canone zero e carta di debito inclusa, bonifici gratuiti, un servizio di assistenza via chat attivo 24 ore su 24. Il Gruppo Mediolanum è invece dietro Flowe, che strizza l’occhio ai giovani e alla loro attenzione alla sostenibilità: fino a dicembre, ogni 100 pagamenti di tutti gli utenti viene piantato un albero; lo stesso accade quando è richiesta una carta di debito, che è in legno e, al solito, si gestisce dal telefonino.
Sarà abbastanza perché i nomi storici possano resistere alla nuova normalità della finanza? «Sì, se agiscono come start-up» risponde Portale: «Per riuscirci, non devono finire ingabbiati nei soliti processi decisionali. Hanno bisogno di assetti organizzativi snelli, di persone con una mentalità differente». Più che d’immagine, alle vecchie banche occorre un cambio di filosofia.