Così Stefano Volpato, direttore commerciale di Banca Mediolanum, definisce un acquisto maturo e consapevole di azioni per «coltivare», il proprio patrimonio in modo intelligente. Una nuova cultura finanziaria deve trovare spazio.
I risparmiatori vengono da anni molto difficili che hanno cambiato le loro abitudini. Ma, non tutto il male viene per nuocere. A partire dall’inflazione che ha stimolato un ritorno degli italiani all’investimento nel settore obbligazionario. È il pensiero di Stefano Volpato, direttore commerciale di Banca Mediolanum.
Gli italiani sono dei noti risparmiatori, ma il ritorno dell’inflazione, il rialzo dei tassi, la forte incertezza geopolitica – e di conseguenza economica – ha cambiato queste abitudini?
È evidente che lo scenario sia piuttosto complesso. Detto questo possiamo contare su una ricchezza nazionale intorno ai 5.700 miliardi di euro, che, se proiettata con il tasso di crescita medio degli ultimi cinque anni, ovvero il 3,8 per cento, arriverà sui 7.770 miliardi entro il 2030. Vanno fatte due riflessioni: il forte aumento dei consumi post-Covid spesso è stato finanziato dal risparmio, perché alla ripresa dell’inflazione non è corrisposto un adeguamento salariale equivalente. Un fenomeno piuttosto nuovo, dal mio punto di vista, che rientrerà nei prossimi mesi perché la preoccupazione induce sempre alla rinuncia ai consumi a favore del risparmio. D’altronde la capacità di risparmio, media, era il 20 per cento del reddito lordo. Oggi il tasso medio si è abbassato sotto il 15 per cento, quindi l’abitudine degli italiani ad accantonare risorse è ancora forte. Farei inoltre una riflessione sull’inflazione che, a parte gli elementi negativi, ne ha suscitato uno straordinariamente positivo. Mi riferisco alla consapevolezza che la liquidità in conto non solo è improduttiva ma è distruttrice di ricchezza. Quindi la necessità di dare una risposta all’erosione inflattiva ha riacceso l’interessa verso una maggiore efficienza dello stock che le famiglie mettono da parte con tanta fatica.
Sembra sia tornato anche l’amore degli italiani per i titoli di Stato, cosa ne pensa? È un bene?
Come sempre l’interesse del risparmiatore viene prima di tutto, quindi non posso che vedere positivamente un tale ritorno alla normalità. I tassi negativi erano una completa anomalia storica. In passato abbiamo avuto più di settant’anni di rendimenti a doppia cifra dei titoli di Stato. La passione per questi strumenti era più che comprensibile, era semplici, sicuri, trasparenti, liquidabili. Il loro limite però è stato non aver contribuito alla diffusione di una cultura finanziaria adeguata. Durante il lungo periodo dei tassi a zero o negativi, il risparmiatore ha sostituito i titoli di Stato con il conto corrente. Oggi il peso dell’inflazione allontana gli italiani dalla liquidità. Ma i titoli di Stato dovrebbero essere ricondotti al vero scopo del risparmio, ovvero dare una risposta a tre grandi temi: le fragilità, i bisogni e i progetti di vita. Dovrebbe esserci coerenza tra questi tre esigenze e le soluzioni adottate.
Quali sono gli errori più comuni che si possono commettere in finanza? E come evitarli?
Un primo errore, figlio dell’assenza di un’adeguata cultura finanziaria, riguarda il motivo per cui risparmiamo, come detto fragilità, bisogni e progetti di vita. Non averlo chiaro porta a un errore di impostazione. Il primo tassello di una corretta pianificazione patrimoniale è eliminare tutte le fragilità che possono scompaginare i piani di una famiglia. Siamo agli ultimi posti al mondo per l’adozione di soluzioni assicurative. Un altro aspetto di impostazione iniziale riguarda il modo in cui guardiamo alla nostra vita, che ha uno sviluppo dinamico e non statico. Poi va compreso come i mercati siano nostri alleati e contribuiscano al nostro benessere, soprattutto se siamo coerenti nell’abbinare l’orizzonte temporale del bisogno o del progetto con l’orizzonte temporale della soluzione scelta. Un errore tipico è pretendere che la stessa soluzione si muova in modo regolare. Questi ultimi due anni ci hanno insegnato che la volatilità esiste anche nella parte più conservativa. Occorre aver chiaro che, se abbiamo impostato correttamente la nostra pianificazione patrimoniale, rispettando la regola della diversificazione, quindi se abbiamo «seminato» bene, dobbiamo rispettare i tempi della maturazione per poter godere dell’investimento.
Vista la nota mancanza di un’adeguata cultura finanziaria, cosa dovrebbe fare il settore finanziario per colmarla?
Credo che le soluzioni nascano da un’azione collegiale. Dovremmo partire dalle scuole per creare vera cultura finanziaria, ma anche abbinare il grande lavoro di risparmio all’efficienza finanziaria. È poi importante che i media facciano vera informazione. Leggo ancora che l’azionario viene chiamato «capitale di rischio», io credo che non ci sia niente di più fuorviante. Preferirei che si chiamasse «investimento in economia produttiva». Sono sfumature che generano cultura. E poi credo che il nostro governo possa fare molto. Può, per esempio, creare un ponte che aggiunga valore all’investimento nell’economia produttiva, ma anche detassare quelle rendite finanziarie sugli investimenti di lunghissimo periodo.