Nel mondo del credito è in atto uno tsunami: le fusioni e lo smart working cambieranno anche il modo di lavorare allo sportello? Parla Lando Maria Sileoni, leader della Fabi, principale sindacato del settore, che mette in guardia: «C’è il pericolo di una nuova stagione di risparmio tradito a causa delle indebite pressioni commerciali per la vendita di prodotti finanziari».
La Bce da anni impone una secca riduzione del numero di istituti e le fusioni trasformeranno radicalmente il settore. Che si appresta a cambiare anche per la massiccia introduzione del digitale e dello smart working. Ne parliamo con il segretario generale di Fabi, Lando Maria Sileoni, che punta il dito contro la «competizione tra gruppi bancari che rischia di penalizzare i dipendenti in termini di qualità di vita personale e professionale». E poi avverte: «C’è il rischio di una nuova stagione di risparmio tradito a causa delle indebite pressioni commerciali per la vendita di prodotti finanziari». Secondo la Banca d’Italia, in due lustri sono spariti dalla Penisola 266 istituti di credito che hanno portato alla chiusura di 10.126 filiali, con 70.000 bancari usciti su base volontaria e 30.000 under 35 assunti col fondo per l’occupazione. Due strumenti, importanti conquiste sindacali, che hanno evitato licenziamenti, garantendo ricambio generazionale, e saranno fondamentali per il futuro del settore.
Siete preoccupati dell’impatto, in particolare sull’occupazione?
«Lo tsunami che sta colpendo il settore è dovuto agli effetti della pandemia, del cambiamento organizzativo, dell’introduzione del digitale, dello smart working e di una competizione tra gruppi bancari che rischia di penalizzare i dipendenti in termini di qualità di vita personale e professionale. Questo impatto toccherà anche la clientela perché le banche tendono a imporre ai loro dipendenti politiche di vendita di prodotti finanziari dove il guadagno degli istituti in termini di commissioni incassate è molto alto. Le banche più furbe tendono velatamente a sostituirsi alla politica, non solo per raggiungere importanti guadagni, ma per condizionare, vedremo se positivamente o negativamente, lo sviluppo economico del Paese. In ballo ci sono gli oltre 200 miliardi di euro del Recovery fund. Chi saprà gestire e intercettare queste risorse cercherà di condizionare anche le scelte politiche del Paese. Si riaccenderà la rivalità tra politica e finanza, e quindi sarà indispensabile un governo forte».
Ha fatto accenno allo smart working, che sta radicalmente modificando il lavoro, anche in banca. Come gestirete questo passaggio?
«Non accetteremo demagogia e speculazione né l’utilizzo forzato dello smart working perché vogliamo che
i dipendenti possano scegliere. Ci porremo noi come garanti della stessa clientela. E, se ci accorgeremo che dietro ad alcune iniziative si possano nascondere pericoli per la clientela, interverremo energicamente. Le pressioni commerciali indebite sui dipendenti saranno contrastate fortemente dal sindacato».
Sembra che sia esploso di nuovo il problema delle pressioni commerciali. C’è il rischio di una nuova stagione di risparmio tradito?
«Lo scandalo delle due banche venete potrebbe ripetersi a causa di una sfrenata competizione fra istituti di credito che potrebbe far nascere comportamenti anomali, a danno anche della clientela. Molti osservatori sostengono che la causa di alcuni problemi sia la mancata separazione tra banca commerciale e d’affari».
Lei pensa che il problema sia altrove?
«Credo, invece, che vada rinnovata una parte del gruppo dirigente delle banche per tre motivi fondamentali. Il primo perché faticano a stare al passo con i cambiamenti tecnologici; il secondo perché sono condizionati da egoismi professionali e personali; il terzo perché sono carenti nella visione strategica della banca nel prossimo futuro. Si affidano ciecamente alle società di consulenza informatica che non solo controlleranno di fatto la banca, ma imporranno uomini e strategie. Il vero cambiamento digitale finora è stato frenato proprio da alcuni vertici degli istituti, perché hanno sempre avuto piena consapevolezza di poter seriamente correre il rischio di perdere il controllo dell’azienda. I problemi, invece, faccio un esempio, vanno affrontati dove sorgono: il nodo delle pressioni commerciali indebite sui lavoratori deve essere affrontato laddove nascono, nei territori. Servono dirigenti professionalmente adeguati a risolvere i problemi con intelligenza, buon senso e tempestività».
Cosa farà la differenza nella gestione degli istituti di credito italiani?
«Esistono dirigenti di banca eccellenti, capaci, intelligenti, innovativi e soprattutto molto attenti al sociale come dimostrano le tante iniziative che diversi gruppi bancari hanno realizzato nella sanità, nell’istruzione, nel volontariato, nel terzo settore e durante il Covid. Ma troppo spesso tra il vertice e chi lavora in agenzia c’è un vuoto incolmabile, dovuto essenzialmente all’assenza di meritocrazia nella scelta dei dirigenti. Spesso si preferisce premiare la fedeltà e la devozione. Quando, per esempio, il responsabile commerciale di un grande gruppo bancario si pone come un accademico pronto a insegnare «educazione finanziaria» mi viene da sorridere, perché penso alle quotidiane pressioni indebite che esercita nei confronti dei lavoratori per vendere prodotti finanziari e assicurativi: della serie Dottor Jekyll e Mister Hyde. L’educazione finanziaria andrebbe fatta direttamente nelle scuole e università con docenti autonomi, al di sopra delle parti. Come Fabi stiamo spingendo molto sull’educazione finanziaria e continueremo a farlo».
Come avete gestito la pandemia e questi ultimi 18 mesi?
«Siamo stati costantemente a contatto con le nostre 98 strutture provinciali e gli oltre 5.000 dirigenti sindacali. Lo abbiamo fatto da remoto e tutti i giorni. Con l’Abi abbiamo raggiunto importanti accordi a tutela dei dipendenti, durante l’emergenza Covid. Abbiamo risolto definitivamente anche la delicata vicenda legata alla tassazione degli esodati e per questo motivo abbiamo sottoscritto decine di accordi nelle banche. La nostra categoria non si è mai fermata, ha garantito anche in piena pandemia ogni tipo di risposta e di consulenza alla clientela. Non faremo sconti a nessuno e, se qualcuno pensa di poterci intimorire, qualche tentativo c’è stato, si accorgerà immediatamente di aver fallito la previsione. Sono un appassionato di meteorologia: credo di non sbagliare».
Siamo nel pieno di una nuova fase di aggregazioni nel vostro settore. Come cambieranno equilibri e rapporti?
«La vera novità è stata la sostituzione in Unicredit di Jean-Pierre Mustier con Andrea Orcel, un italiano con importanti esperienze finanziarie internazionali. Il mercato, gli azionisti e i fondi chiederanno e otterranno da Unicredit un’importante aggregazione che inasprirà ancora di più la già esasperata concorrenza fra gruppi bancari. Superata questa fase di nuove aggregazioni, la concorrenza si sposterà in Europa, perché le ambizioni dei più importanti gruppi italiani sono molto forti. L’inasprimento della concorrenza, però, non potrà ricadere sulle lavoratrici e sui lavoratori bancari perché non lo permetteremo. E le conseguenti pressioni commerciali indebite, che stanno superando ogni limite di buon senso, saranno contrastate. Non me ne vogliano gli amministratori delegati se faremo nomi e cognomi dei loro dirigenti che su questo tema si stanno approfittando. Per risolvere un problema, si deve riconoscere che ce n’è uno. Questo, in importanti gruppi bancari, non avviene mai».