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Germania, il lato oscuro banche

Germania, il lato oscuro banche

Sono troppe ed esposte alle crisi del mercato. Tra mancate vendite di quote pubbliche e misteri sulle casse di risparmio, il primo Paese dell’Unione ha un sistema inadeguato alla sua economia. Eppure il governo non prende decisioni.


E se il vero problema della Germania fosse nelle banche? Da mesi la stampa mondiale si occupa dei guasti dell’economia tedesca: dalla ripresa che non ingrana, all’energia verde che non c’è, alla rivoluzione digitale che resta un sogno. Il tutto condito da massicce proteste: quelle degli agricoltori furiosi con il governo contrario all’uso dei diesel nei campi come quelle di natura politica: ambientalisti che si incollano all’asfalto e sinistre in piazza contro chi – è successo a gennaio – invoca l’espulsione dei cittadini tedeschi di origine straniera. Un malessere politico ed economico che ha affondato l’indice del cancelliere Olaf Scholz e del suo governo. E ora le prime crepe appaiono anche nel sistema finanziario.

A novembre la BaFin, l’autorità che sorveglia le banche, ha suonato un campanello d’allarme: 20 istituti di credito sarebbero esposti per la crisi del mercato degli immobili commerciali. «Nulla di troppo grave» commenta Reint Gropp, presidente dell’Istituto Leibniz di Halle per la Ricerca economica (Iwh), spiegando che si tratta del riflesso del netto rallentamento del mercato degli uffici seguito alla pandemia da coronavirus. Il boom del lavoro da casa ha mandato i proprietari di uffici a gambe all’aria «ma il fenomeno sta rientrando: gli imprenditori hanno capito che almeno un paio di giorni alla settimana serve che il personale sia in ufficio, tutti insieme a scambiarsi le idee». Per cui fino a quando la disoccupazione resta bassa, e oggi in Germania è al 5,7 per cento, «non sarà il mercato degli uffici a destabilizzare le banche».

Più ghiotta è la notizia che Deutsche Bank vorrebbe comprarsi Commerzbank. «Se la decisione di Deutsche Bank spettasse a me, non comprerei Commerzbank» osserva Gropp. Dalla fine della crisi finanziaria, il governo tedesco detiene il 15 per cento dello storico istituto, «quota di cui si libererebbe volentieri per fare cassa: la questione è che io non credo vogliano vendere necessariamente a Deutsche Bank». Gropp spiega che i politici tedeschi guardano al caso svizzero: quando Credit Suisse è entrata in crisi, nel 2023, è stata salvata grazie all’intervento di Ubs. «Nel momento in cui i due principali istituti del Paese diventassero uno solo, chi la salverebbe se entrasse in crisi in futuro?». All’estero Commerzbank fa gola fra gli altri agli olandesi di Abn Amro, «e tuttavia il governo esita a mettere in mano straniere il secondo istituto nazionale per grandezza». Ma soprattutto, «Deutsche Bank è debole nell’investment banking, che è troppo locale, troppo tedesco e non molto redditizio rispetto per esempio a quello di UniCredit o delle banche Usa. E Commerzbank ha esattamente lo stesso problema». In sostanza non si vede che vantaggio ricaverebbero da una fusione mentre i problemi nell’uniformare i differenti sistemi tecnologici sarebbero assicurati, osserva ancora Gropp memore della complicata fusione fra Commerzbank e Dresdner Bank qualche anno fa.

Molti problemi, pochi vantaggi. «Da due banche deboli non ne ricavi una forte». La bassa redditività delle banche commerciali come Deutsche Bank, che, spiega ancora il professore, «è grande, ha tanti asset ma con questi beni fa pochi soldi», è anche una conseguenza della concorrenza delle casse di risparmio locali. «Banche percepite come garantite dal governo anche se in effetti non lo sono». E la bassa redditività sarà pur apprezzata da chi accende un mutuo a tassi contenuti ma rende il sistema bancario tedesco più fragile di quello di altri Stati.

È un problema grave in un Paese con troppe banche. «Sono circa 600: parliamo dunque dell’incapacità del sistema tedesco di consolidarsi». Piccoli istituti locali che per legge possono prestare denaro solo sul mercato locale, ma che non possono essere acquistati da altre banche più grandi. «Sono enti pubblici ma non sono di proprietà del governo: tecnicamente non appartengono a nessuno e per questo motivo non si possono acquistare. I tedeschi le scelgono per spirito di conservazione: «Parliamo della banca dove tua nonna aveva aperto il conto, poi tuo padre e adesso anche tu. Istituzioni di cui il cittadino si fida. Questi dal canto loro se ne approfittano pagando interessi molto più bassi di quelli pagati dalle grandi banche».

Gropp si dice «convinto» che prima o poi questo modello mostrerà tutti sui limiti «al momento, però, nulla ci dice che tale crisi arriverà presto». Docente di Macroeconomia all’Università di Magdeburgo, Gropp di banche se ne intende al punto che i suoi servigi sono richiesti da diversi istituti centrali in Europa. Ma non dal governo tedesco: «Sono almeno dieci anni che sollecito l’esecutivo a mettere mano alle casse di risparmio regionali, ma non mi ascolta. Io credo che la materia andrebbe affrontata adesso, un periodo in cui non si registrano gravi problemi bancari. Perché aspettare una crisi?».

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