Oggi scatta la fase due del Green Deal europeo. Il Clean Industrial della Commissione europea, che sarà presentato oggi a Bruxelles, vuole rilanciare l’industria europea e promuovere le tecnologie verdi in settori cruciali come l’energia rinnovabile, le auto elettriche e la produzione di batterie. Ma sebbene la proposta sia vista come un passo necessario per mantenere la competitività globale dell’Europa, non mancano nuove penalizzazioni per aziende e famiglie già provate da anni di difficoltà economiche. Ad aumentare i dubbi il fatto che la regia del nuovo piano sia affidata a Teresa Ribera, vice presidente socialista della Commissione e nota per il suo estremismo in tema di ambientali . Il Clean Industrial Deal, inoltre, potrebbe essere interpretato come una risposta dei Socialisti europei alla «Bussola della competitività», l’altro grande piano della Commissione europea svelato nelle scorse settimane. Il documento presentato da von der Leyen, che elenca tutte le iniziative a cui lavorerà il suo esecutivo nei prossimi mesi, ha lasciato soddisfatti i Popolari ma ha deluso Socialisti e Verdi. Il piano per l’industria pulita, affidato a Ribera, potrebbe contribuire a riequilibrare i rapporti di forza tra le diverse anime che compongono la «maggioranza Ursula».
Il cuore del Clean Industrial Deal consiste in una serie di misure che dovrebbero incentivare gli investimenti, con l’ambizioso obiettivo mobilitare circa 480 miliardi di euro l’anno Una cifra che, nonostante gli sforzi di semplificare il quadro normativo e di incentivare il capitale privato, rischia di essere inadeguata.. Il piano prevede anche il rafforzamento degli aiuti di Stato, ma ciò solleva il problema di come questi fondi vengano distribuiti e se davvero riusciranno a sostenere in maniera equa tutte le industrie, o se finiranno per favorire i soliti grandi gruppi a scapito delle PMI che potrebbero non avere le risorse per beneficiare dei finanziamenti pubblici.
Uno degli aspetti più controversi del Clean Industrial Deal riguarda le quote obbligatorie di prodotti “Made in Europe” per gli appalti pubblici e privati, una misura che la Commissione europea intende introdurre per rispondere alla crescente concorrenza di Stati Uniti e Cina. Sebbene l’intento sia difendere l’industria europea e garantire una domanda interna per le tecnologie verdi, questa scelta rischia di creare nuove barriere commerciali che penalizzano le aziende più piccole, le quali potrebbero trovarsi a dover rispettare normative costose e difficili da implementare.
Le famiglie, da parte loro, potrebbero pagare un prezzo ancora più alto. Se da un lato il piano promette di incentivare la produzione di tecnologie verdi, come pannelli solari e auto elettriche, dall’altro le nuove normative sugli appalti pubblici e privati potrebbero tradursi in un aumento dei costi per i consumatori. L’obiettivo di una transizione giusta, tanto invocata da sindacati e organizzazioni civili, rischia di rimanere solo una dichiarazione di intenti se non si trovano soluzioni concrete per garantire che la transizione verso un’economia verde non gravi sulle tasche delle famiglie più vulnerabili.
Un altro punto critico riguarda la gestione degli aiuti di Stato. La Commissione europea sta progettando una riforma per semplificare le norme e accelerare gli aiuti, ma la bozza del documento non chiarisce sufficientemente come i fondi verranno allocati e se tutte le aziende avranno accesso a queste risorse in maniera equa. È facile immaginare che le grandi multinazionali, con le loro strutture complesse e il loro potere di lobbying, potrebbero godere di un trattamento privilegiato rispetto alle piccole realtà locali. E, in un contesto di mercato già volatile e segnato da una crescente instabilità economica, le difficoltà per le PMI potrebbero aumentare, con effetti devastanti sull’occupazione e sul tessuto economico locale.
Mentre l’Europa si prepara ad affrontare una nuova fase del Green Deal, i segnali di una crisi industriale sempre più profonda sono innegabili. La deindustrializzazione in atto ha già causato la perdita di milioni di posti di lavoro, con settori come l’automotive e l’acciaio che continuano a subire tagli significativi. La Commissione europea, con il Clean Industrial Deal, si propone di rispondere a questa crisi con ingenti investimenti, ma il rischio è che i fondi non siano sufficienti o ben distribuiti. Il piano, quindi, potrebbe non essere abbastanza per contrastare l’emorragia di posti di lavoro e fermare il declino industriale che sta colpendo duramente le classi lavoratrici e le famiglie europee.
Sebbene il Clean Industrial Deal possa rappresentare una risposta importante alla sfida della sostenibilità e della competitività globale, il suo impatto economico rischia di essere devastante per chi si trova già in difficoltà. Le famiglie e le aziende, in particolare quelle di piccole dimensioni, rischiano di trovarsi in una situazione ancora più difficile, con un aumento dei costi e una crescente difficoltà di accesso ai finanziamenti. Per evitare che il piano si trasformi in un ulteriore ostacolo alla crescita economica, sarà essenziale che la Commissione europea trovi un equilibrio tra la necessità di sostenere la transizione ecologica e quella di garantire la sostenibilità sociale ed economica per tutti.