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Import: quei container dalla Cina senza controlli

Import: quei container dalla Cina senza controlli

Mentre il mondo si mobilita per il coronavirus, dalla «fabbrica del mondo» arrivano in Italia enormi quantità di alimenti a rischio
di contaminazione o di merce illegale con finte etichette «CE». E ciò che viene scoperto dalle autorità è solo la punta dell’iceberg.


Rotte intercontinentali bloccate, fabbriche e scuole deserte, negozi chiusi, milioni di abitanti in quarantena. Il mondo crede di aver alzato una muraglia contro il virus cinese che dalla città di Wuhan ha già sconfinato in tre continenti, Italia inclusa con i primi casi registrati della malattia. L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha costituito la sua task force di epidemiologi per mettere a punto e distribuire un vaccino contro la nuova peste asiatica che ha già fatto tremare le borse e ha scatenato isterismi e sinofobia.
Nell’indifferenza generale, però, la Cina continua a spedire in tutto il pianeta milioni di tonnellate di alimenti potenzialmente contaminati che sfuggono a qualsiasi controllo. Dalle più remote provincie del Paese carne, prodotti ittici, ortaggi, frutta e sementi, grazie alle organizzazioni criminali cinesi e alle famigerate triadi, viaggiano senza ispezioni e finiscono nei nostri piatti.


E il ministero della Salute italiano, che si è affrettato, con i colleghi europei, a diramare istruzioni su come comportarsi per prevenire e contenere il contagio – alla fine arrivato con alcuni passeggeri in arrivo dalla Cina – ha completamente dimenticato di prendere in considerazione quei milioni di container che dall’Estremo oriente ogni giorno vengono scaricati nei porti di Trieste, Venezia, Gioia Tauro, Napoli, Livorno, Genova, Vado Ligure. Almeno fino a oggi.

A denunciarlo a Panorama è Maurizio Montemagno, direttore antifrode e controlli dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli di Stato: «Il ministero della Salute non ci ha inviato, neppure per conoscenza, le informazioni che invece sono state diramate ad altri enti». Il riferimento è alle 16 pagine di dati e istruzioni dettagliate della circolare della Direzione generale del ministero della Salute, del 22 gennaio scorso, dal titolo Polmonite da nuovo coronavirus in Cina. «Ce la siamo procurata noi per altre vie, e stiamo provvedendo a inviare una nota a tutto il nostro personale affinché vengano adottati, nei controlli doganali, tutti quegli accorgimenti protettivi che limitino al massimo il rischio di contagio per il nostro personale».

I 1.000 dipendenti che operano nelle dogane ai nostri confini di terra, aria e mare sbirciano come si comportano i colleghi della Guardia di Finanza e della polizia aeroportuale – che invece sono stati da subito interessati da circolari e raccomandazioni – e si comportano di conseguenza, magari indossando una mascherina comprata a proprie spese nella farmacia dell’aeroporto. Proprio loro, nel 2018, hanno scoperto che su oltre 5.000 violazioni di vario tipo su merci importate dalla Cina, il 7,5% era costituito da latticini, carni e pesci contenuti nei bagagli dei passeggeri provenienti dagli aeroporti cinesi. «A oggi però» ammette Montemagno «nessuno ci ha chiesto particolari attenzioni nei controlli dei bagagli dei viaggiatori».

Nessuno ha nemmeno pensato ai porti. Dove arriva di tutto, spesso senza controllo. L’ultimo caso eclatante è quello scoperto a gennaio dalla Guardia di finanza di Padova. Nel corso di un controllo nel magazzino di un importatore cinese della città sono state trovate nove tonnellate e mezzo di carne di maiale a rischio di contaminazioni microbiologiche. A Padova erano stoccate scatolette, buste di carne macinata, salsicce, tutto nascosto dietro ai pancali di vegetali – sempre cinesi – congelati e scongelati più volte.

Il carico proveniva dal porto di Rotterdam, principale ingresso in Europa per le spedizioni dall’Estremo oriente. Un viaggio di 40 giorni in nave, da Shanghai al mare del Nord. I titolari del deposito avevano già ricevuto sanzioni per analoghe irregolarità, e negli anni avevano provveduto a cambiare la denominazione sociale della ditta. L’indagine della Finanza, coordinata dal sostituto procuratore di Padova Sergio Dini, ha potuto verificare che tutta quella carne di maiale era destinata a ristoranti cinesi, compresi quelli con clientela specificatamente italiana.

La carne sequestrata è stata distrutta, perché vi era il pericolo che potesse essere veicolo del virus della peste suina, l’epidemia che ha portato la Cina ad abbattere milioni di animali. Il sospetto degli investigatori è che, per evitare le ingenti spese di smaltimento, allevatori senza scrupolo abbiano invece destinato la carne di quei maiali ai mercati occidentali, ottenendone un doppio profitto.

Quello di Padova, tuttavia, non è un caso isolato. Lo scorso anno la polizia locale di Milano, impegnata nei controlli ai rivenditori cinesi di giocattoli, ha scoperto un capannone alla periferia del capoluogo lombardo pieno fino al soffitto di scatoloni di merce illegale. Tra milioni di bambole, macchinine, plastiline tossiche a causa di sostanze potenzialmente cancerogene come gli ftalati, c’erano anche decine di scatoloni con fogli di alghe verdi, già precucinate, pronte per avvolgere i bocconi di sushi. Accanto, metri di false etichette con marchio Cee che avrebbero dovuto facilitare lo spaccio di quegli alimenti pericolosi.

L’elenco dei sequestri è ancora lungo. Ad Altamura, in Puglia, la Guardia di finanza ha sequestrato tre tonnellate di false lenticchie Igt prodotte in Cina, importate illegalmente e destinate alla vendita di negozi italiani. A Conegliano il Nas dei carabinieri del Veneto, in mezzo a 135 chili di carne e pesce importata illegalmente, ha trovato uova di anatra, prelibatezza cinese vietata in Europa. A Prato, invece, i Forestali dei carabinieri hanno scoperto ettari di terreno coltivati a ortaggi nati da semenze cinesi che andavano a rifornire i banchi dei mercati rionali.

I rischi per la salute arrivano anche da altri prodotti a larga diffusione. Da Palermo a Torino, in ogni regione Nas e Guardia di finanza hanno sequestrato cosmetici tossici, venduti o utilizzati nelle centinaia di negozi di parrucchiere gestiti da cinesi.
Questa marea di derrate e produzioni fuorilegge si contrasta con armi spuntate. Secondo i dati forniti dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli, nel 2019 abbiamo importato 6 milioni e 521 mila tonnellate di merci cinesi, per un valore di 32 miliardi di euro. L’anno precedente i controlli effettuati dall’Agenzia delle Dogane, che riguardano poco più del 5 % delle merci cinesi, peraltro le più controllate, hanno portato ad accertare violazioni di legge per un milione e 697 mila pezzi, pari a 468 tonnellate di merce. Le irregolarità sanzionate sui prodotti cinesi sono state 5.416.

Feng Ye è proprietario di due ristoranti cinesi «All you can eat» a Milano. E difende la categoria: «I prodotti che utilizziamo sono tutti tracciabili e freschi, di provenienza certificata». Ma come si può assicurare igiene e sicurezza a 10 euro? «La formula all you can eat è solo marketing, un cliente medio non riesce a mangiare più di due etti di pesce e dolce e bevande sono escluse. Alla fine, con poco pesce ma di qualità, resta un buon margine di guadagno». La psicosi da coronavirus però ha colpito anche la sua attività: «Da quando è scoppiato l’allarme noi ristoratori cinesi abbiamo perso metà della clientela».

La mafia cinese alla conquista dell’Italia

Import: quei container dalla Cina senza controlli
La mafia cinese alla conquista dell’Italia

L’autore dell’articolo precedente, Giorgio Sturlese Tosi, è esperto di criminalità cinese, per Bur Rizzoli, nel 2018, ha scritto La triade italiana, come la malavita cinese sta conquistando l’Italia. E da qui l’Europa. Al centro del saggio l’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Firenze sul presunto capo dei capi delle triadi in Italia. L’indagine, chiamata “China truck”, ha svelato gli affari milionari delle gang orientali in guerra per contendersi il monopolio dei trasporti delle merci in arrivo in Italia. Il processo inizierà a giorni nell’aula bunker del tribunale di Firenze. Qui di seguito un estratto del libro.

“… Il quadro ormai è chiaro. L’organizzazione criminale che da anni imperversa in Italia in un susseguirsi di omicidi, estorsioni e altre attività illecite è legata a doppio filo ad una rete di società attive nel trasporto merci, dall’arrivo dei container dalla Cina alla consegna dei colli nelle ditte cinesi di mezza Europa. E a capo di questa rete di società c’è Zhang Naizhong. Resta da provare che le due realtà, quella criminale e quella commerciale, siano entrambe riconducibili ad un unico vertice. Zhang Naizhong, l’elegante uomo d’affari che si sposta in aereo dalla Cina all’Europa per stringere rapporti d’affari, è lo stesso uomo nero che si fa precedere dai propri sicari sanguinari per imporsi sui concorrenti? Al momento ci sono solo indizi. E un dato di tutto rispetto: il giro d’affari delle società secondo gli investigatori riconducibili a vario titolo a Zhang Naizhong ammonta a milioni di euro. Affari non sempre trasparenti. Negli incontri con i colleghi francesi, infatti, i nostri poliziotti scoprono che già dal 2008 è stata avviata un’indagine della polizia doganale su un cinese, tale Wei Lin, referente della filiale parigina della società Anda, “Ipotizzando una serie di reati quali l’importazione illegale di merci contraffatte oltre a numerosi illeciti di natura fiscale legate a false fatturazioni sulle merci trasportate”. Sempre la polizia doganale francese sostiene di aver accertato, nel corso delle indagini, che “quasi l’80 per cento delle merci in arrivo al porto marittimo di Amburgo ha come destinatario finale proprio Wei Lin e le società parigine a lui collegate in maniera diretta o indiretta“. Scrive, infine, l’ispettore: “Gli investigatori della dogana hanno mostrato di essere ben a conoscenza che in realtà Wei Lin sia lo schermo dietro al quale vi è Zhang Naizhong, reale titolare delle varie imprese di trasporto gestite da Wei Lin e da altri suoi collaboratori”.

La scoperta è sensazionale. Se è vero quello che dicono di polizotti francesi, quasi tutta la merce che arriva al porto di Amburgo è destinata a Zhang Naizhong. Si tratta di quantità che non possono essere rappresentate nella loro interezza. È come immaginare un quartiere di palazzi alti dieci piani fatti di container, come coi mattoncini del Lego. I due investigatori inviati a Parigi si rendono conto di avere a che fare con una realtà economica soltanto intuibile. Basti pensare che il porto di Amburgo viene chiamato la porta d’Europa e, con i suoi 130 milioni di tonnellate di merce trattata ogni anno, è il terzo più importante del continente. E che la Cina lo usa davvero come porta di ingresso in Europa. Il colosso mondiale Cosco (China Ocean Shipping Company), la compagnia di stato cinese che fornisce servizi di spedizione e logistica in tutto il mondo, ha stabilito proprio ad Amburgo il proprio quartier generale europeo. Mentre i cinesi della Cccc (China communication construction company), azienda di Stato di costruzioni, in cordata con Alibaba, il gigante dell’e-commerce dello Zhejiang, superiore per giro di affari a Ebay e Amazon messe insieme, hanno vinto l’appalto per realizzare nel porto tedesco un nuovo terminal automatizzato in grado di smistare settecentomila container. C’è tutto questo dietro l’omicidio nel ristorante Villa Paradiso di San Giuseppe Vesuviano? […] Per comprendere quello che accade in un sottoscala di un anonimo capannone tessile di Prato, o in un ristorante della provincia di Napoli, bisogna guardare ad 11 mila e 400 chilometri di distanza, ad Hangzhou, la capitale dello Zhejiang. Passare per alcune capitali Europee. E seguire i soldi che, dopo un percorso tortuoso, finivano nelle casse di Zhang Naizhong. È l’effetto farfalla che spiega la teoria del caos: può il battito d’ali di una farfalla scatenare un uragano a migliaia di chilometri di distanza? L’inchiesta cambia nome: non più Il Portoghese. Ora si indaga su China Truck.

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