Quale sarà l’effetto dei dazi imposti da Donald Trump sull’aviazione e l’industria aerospaziale è purtroppo facile da prevedere in senso negativo, a partire dal costo di acciaio e soprattutto dell’alluminio provenienti da Messico, Canada e Cina. Gli Stati Uniti, in fatto di industria della Difesa e mercato aerospaziale, godono del più grande surplus commerciale rispetto a qualsiasi settore, fatta eccezione per il greggio. Esso è stimato in 114 miliardi di dollari l’anno e finora ha creato così tanti posti di lavoro ben pagati a livello nazionale.
Con i dazi, ci si potrebbe ritrovare indietro di oltre trent’anni, soprattutto in relazione a Paesi come il Giappone. Qualcuno un po’ attempato ricorderà che nel 1990 Tokyo invase gli Usa con prodotti automotive adottando un sistema che in verità era statunitense: quello di Edwards Deming. Esso prevedeva una gestione della qualità totale, ovvero quello che oggi è noto come metodo Toyota e che costrinse le fabbriche americane ad adeguarsi.
Ma il settore aerospaziale è, per definizione, quello maggiormente globalizzato da sempre. A soffrire sarà la filiera dell’alluminio canadese, nella quale attualmente ci sono tempi di approvvigionamento lunghissimi. I dazi hanno da subito aumentato l’incertezza delle forniture, allungando i tempi di produzione delle parti lavorate negli Usa. Risultato: i militari hanno fatto sapere che i prodotti aerospaziali destinati alla Difesa e provenienti dal Canada saranno esentati dai provvedimenti. Una buona notizia per industrie come Cae (simulatori di volo e produzione di parti) e per la canadese Bombardier.
Con l’Europa, invece, persiste il rischio di una guerra commerciale che potrebbe nuocere proprio agli Usa, ottenendo l’effetto contrario rispetto a quanto Trump si aspetta. Airbus ha ordini da evadere per circa 7.700 velivoli, dei quali solo il 10% è destinato a compagnie americane (A220 e A320Neo). Una percentuale importante ma non preoccupante per il colosso di Tolosa, che ha superato crisi peggiori e registra forte domanda in Asia e Oceania. Negli ultimi anni Airbus non riesce a produrre abbastanza aeroplani e ha già dichiarato che, nel breve periodo, potrebbe reindirizzare le consegne dagli Usa ad altre regioni. Di conseguenza, alcuni vettori potrebbero reagire annullando ordini a Boeing per rivolgersi ad Airbus.
Che comunque non è esente da problemi di approvvigionamento. Molte aziende fornitrici sono piccole e medie imprese, che, ricevendo annullamenti di commesse, rischiano di fallire. Gli aeroplani di Airbus sono comunque pieni di componenti realizzati negli Usa, in Italia e in altri Paesi colpiti dai dazi; Boeing si rifornisce da aziende di tutto il mondo che non possono essere sostituite rapidamente con produzioni interne.
Per ovviare a eventuali blocchi si dovrebbe tornare agli anni Settanta, quando era in vigore il Gatt, l’accordo globale su tariffe e commercio delle parti di aeromobili civili. Alcune fabbriche hanno trasferito i loro magazzini dal Messico agli Usa prima del 2 aprile per evitare aumenti di costi e speculazioni sui prezzi legate ai tempi di consegna. Difficilmente tali costi potranno essere trasferiti sui clienti finali, come le compagnie aeree, che hanno bloccato i prezzi per lunghi periodi: i costi saranno dunque assorbiti dalle catene di approvvigionamento. Questo è già avvenuto durante la pandemia con picchi improvvisi nei costi di gestione.
Le conseguenze ricadranno anche sui prezzi dei biglietti aerei. Ci si può aspettare un rallentamento della crescita dei posti venduti e, se questa sarà anche solo la metà di quella vista nel 2020, anche i produttori dovranno rallentare produzioni e consegne. Lo si sta già vedendo nei voli Usa-Canada, dove i canadesi hanno deciso di non trascorrere più le vacanze negli Stati Uniti. La capacità e la domanda sono crollate con numeri a due cifre.
Probabilmente non tarderanno le telefonate dei governi più penalizzati per trattare, forse il vero scopo – non dichiarato – di questa manovra di Trump. Sempre che accada e non prevalga, invece, la ritorsione di una guerra commerciale.
In tema di tariffe aeree, il risultato più prevedibile sarà un fenomeno simile a quello della pandemia, con “ondate” di aumenti repentini e sovente non del tutto giustificati. Come sta già avvenendo in questo periodo pre-pasquale. Ma se per il Covid la svolta fu il vaccino, per i dazi è difficile prevedere quale iniziativa, sul lungo periodo, potrà stabilizzare i mercati.
Molte aziende aeronautiche sono presenti in Messico non tanto per risparmiare, quanto per la disponibilità di manodopera: negli Usa pochi giovani vogliono lavorare nel settore aerospaziale e fare lavori pesanti nella produzione metalmeccanica. Il Messico fornisce formazione e giovani motivati. Di conseguenza, i produttori statunitensi, europei e canadesi devono cercare di essere più competitivi.
Con un tasso di occupazione elevatissimo, i costruttori cercheranno manodopera negli Usa ma non la troveranno, saranno costretti a offrire salari più alti e con questi salirà anche l’inflazione. Lo stesso potrebbe accadere per figure come gli addetti di rampa aeroportuali. Il fenomeno colpirà anche il mercato dei pezzi di ricambio: la spesa per i componenti da sostituire è aumentata tra il 2022 e oggi con rincari annui dell’8-12% per parti e servizi di manutenzione. E con i dazi, questo continuerà a lungo.