L’Arabia Saudita continua a costruire il suo futuro di lusso e di turismo, ma per riuscirci deve accumulare almeno altri duemila miliardi di dollari di investimenti entro il 2030. Forse un azzardo.
Tre colossali dighe e un immenso lago artificiale, un’intera città alimentata a energia solare, un gigantesco grattacielo alto dieci volte l’Empire State Building, edifici a specchio che si estendono per quasi 200 chilometri in mezzo al deserto. E ancora tunnel sottomarini, un’isola artificiale per i grandi yacht, una flotta di aerei nuovi di zecca, persino una stazione sciistica a poche decine di chilometri dal mare. Sono solo alcuni dei fantasmagorici progetti che il principe ereditario dell’Arabia Saudita, Mohammed Bin Salman, ha sognato per il suo regno e che intende realizzare con il denaro pubblico in una manciata d’anni. Peccato che neanche la monarchia più ricca al mondo possieda abbastanza denaro da finanziare nemmeno la metà di quei sogni. Il suo fondo sovrano (Pif, Public investment fund), alimentato dai proventi del petrolio, ha un valore nominale stimato in oltre 776 miliardi di dollari, eppure da qualche mese è a corto di liquidità, ossia di capitali immediatamente spendibili. La qual cosa sta spingendo il governo saudita a cercare nuovi metodi per finanziarsi, con il rischio che tutto ciò comporta. L’esposizione del Pif è da capogiro: negli ultimi anni è stato usato quasi esclusivamente per il piano Vision 2030, la scommessa voluta dall’erede al trono per affrancare la petro-monarchia dalla dipendenza esclusiva dell’Arabia Saudita (in competizione con Emirati Arabi Uniti e Qatar) dal petrolio e rendere sempre più attrattivo e centrale il Paese agli occhi del mondo.
Con i soldi del fondo, per fare gli esempi più noti, l’Arabia Saudita ha acquistato la squadra di calcio britannica Newcastle, oltre a decine di calciatori pagati a peso d’oro per rendere attrattivo il proprio campionato; sempre in ottica promozionale, ha ospitato eventi sportivi di rilievo internazionale e continuerà a farlo, in particolare con i tornei di tennis. La scorsa primavera inoltre, ha ordinato una nuova flotta di 72 aerei alla Boeing per 35 miliardi di dollari, la metà dei quali andranno a creare la nuova compagnia aerea Riyadh Air. Nel corso del 2023, secondo Global SWF, il Pif ha effettuato operazioni per un totale di 32 miliardi di dollari, distribuiti in 49 acquisizioni e altre operazioni, registrando un aumento del 33 per cento rispetto all’anno precedente e diventando così il fondo con il ritmo di spesa più elevato al mondo.
Sebbene il più importante finanziatore del governo Saudi Aramco resti a oggi la più grande compagnia di idrocarburi al mondo, con una produzione di più di 10 milioni di barili di petrolio al giorno e un fatturato di oltre 535 miliardi di dollari (2022), la costruzione di Neom – la città iper futuristica nel deserto, che incarna l’essenza stessa di Vision 2030 e i sogni proibiti di Bin Salman – vale esattamente quanto il campione industriale. Per dire, soltanto le dighe funzionali a creare un lago artificiale che alimenterà al contempo i sistemi urbani e artificiali di Neom (peraltro appaltate all’italiana WeBuild, che si è aggiudicata il contratto), costeranno a Riad 5 miliardi di dollari.
La diga principale del progetto sarà alta 145 metri, lunga 475 metri «in cresta», e sarà costruita utilizzando 2,7 milioni di metri cubi di calcestruzzo. Verranno poi costruite altre due dighe più piccole, collegate al vicino Lake Village tramite un tunnel subacqueo, e i lavori comprenderanno le fondamenta del Bow Building, mega struttura che ospiterà un albergo per attrarre il turismo «che spende». Intanto, nel nord-ovest del Regno si lavora per realizzare la stazione sciistica di montagna che ospiterà i Giochi invernali asiatici nel 2029. L’impianto, situato nella catena montuosa più alta dell’Arabia Saudita, con altitudini tra 1.500 e 2.600 metri, si trova a soli 50 chilometri dalla costa del Golfo di Aqaba, nel Mar Rosso. E difatti lo slogan coniato dall’ente turistico saudita è: «I turisti a Neom potranno fare snorkeling e sciare nello stesso giorno». Dopo aver attraccato con lo yacht all’isola artificiale di Sindalah, i ricchi vacanzieri potranno scegliere se godere dei servizi luxury disseminati lungo gli 840 mila metri quadrati di cui è composta quest’oasi a cinque chilometri dalla costa; soggiornare nel villaggio scavato tra le rocce della penisola, con 3.600 camere d’albergo e 2.200 alloggi di lusso; godere dei servizi della spiaggia direttamente collegata alla città di Neom, dove sorgeranno tre fastosi resort affacciati sul mare e negozi di alto livello, oltre a un campo da golf immenso. In una sola giornata si potrà davvero nuotare per poi sciare tra le nevi (artificiali) o recarsi a visitare gli interni del «nuovo volto di Riad», New Murabba, che condensa una serie di attrazioni a uso turistico-commerciale dentro un grattacielo a forma di cubo (Mukaab), abbastanza grande da contenere 20 grattacieli di New York, la cui struttura (400 metri di larghezza, 400 di lunghezza e 400 di profondità) comprenderà un museo, un’università di tecnologia e design, un teatro polifunzionale e oltre 80 luoghi di intrattenimento e cultura. Complessivamente, New Murabba si espanderà su 19 chilometri quadrati di superficie, con 100 mila unità residenziali, novemila camere d’albergo, 980 mila metri quadrati di spazi commerciali, 1,4 milioni di metri quadrati di spazio a uso ufficio e co-working, 620 mila metri quadrati destinati ad attività sportive e per il tempo libero.
Tutto bene? Sì, se non fosse che gli investimenti sauditi volti al potenziamento economico del regno, superano già il triliardo di dollari. «È sconcertante la quantità di cose che si tenta di fare qui» ha scritto Tim Callen, dell’Arab Gulf States Institute di Washington. Secondo le stime dei fondi americani, infatti, il governo di Riad potrebbe dover contribuire con altri 270 miliardi di dollari al Pif entro il 2030. «Ciò comporterà l’assunzione di maggiori rischi a livello fiscale, aggiungendo debito o riducendo le riserve che mantengono la valuta riyal saudita ancorata al dollaro». Il piano Vision 2030 prevedeva che il fondo Pif gestisse asset per 2 trilioni di dollari, rispetto ai 718 miliardi attuali. A settembre 2023, Pif dichiarava che i suoi livelli di liquidità erano scesi a circa 15 miliardi di dollari, il livello più basso da dicembre 2020. Vista l’emoraggia di cassa, per riuscire a completare tutti i progetti, Bin Salman ha dunque bisogno di soldi nell’immediato e per questo starebbe sperimentando alcune modalità mai utilizzate prima: anzitutto prestiti, e poi la vendita stessa di parte delle quote azionarie detenute dal fondo sovrano nella Saudi Aramco. La vendita potenziale dell’1 per cento delle azioni della compagnia petrolifera statale potrebbe portare circa 20 miliardi di dollari in più.
La mossa rappresenterebbe un’ulteriore iniezione di fondi per il Pif, che ha già beneficiato dei proventi dell’offerta pubblica iniziale (Ipo) di Aramco, varata già nel 2019 per un valore di 25,6 miliardi di dollari: è stata la più grande di tutti i tempi e ha contribuito significativamente al finanziamento del fondo e all’avvio delle grandi opere. Per completare Vision 2030 nei tempi previsti, Riad deve accumulare altri mille miliardi di dollari di investimenti entro il 2025 e almeno il doppio entro il 2030. Nonostante l’esposizione di Saudi Aramco, i rendimenti petroliferi sono stabili al momento. Eppure, dalle stime del Fondo monetario internazionale, nel 2023 il prezzo del petrolio avrebbe dovuto superare gli 86 dollari al barile per bilanciare il budget del governo, ma è rimasto in media a 81 dollari. Per colmare la lacuna, l’Arabia Saudita ha perciò dovuto emettere a sorpresa 12 miliardi di dollari in titoli di Stato a gennaio, mentre il Pif ha venduto cinque miliardi di dollari in obbligazioni. Tutto ciò avviene peraltro in un contesto di rallentamento dell’economia saudita: dopo una crescita dell’8,7 per cento nel 2022, infatti, nel 2023 il Pil del regno è aumentato solo dello 0,8 per cento. Nessuno prevede un imminente tracollo finanziario per il Paese, che ha ampio respiro fiscale. Ma c’è chi ritiene che alla lunga l’Arabia Saudita dovrà fare i conti con la realtà. Come Karen Young, del Middle East Institute: «Molti dei giganteschi progetti potrebbero essere ritirati o bloccati man mano che i costi aumenteranno e la loro efficacia diventerà più chiara, ma lo Stato probabilmente continuerà a pompare denaro nel Pif per i prossimi anni. Penso che assisteremo a un’esplosione fino al 2030, e poi ci sarà la resa dei conti».