C’è chi ha «divorziato» dai figli. Chi ha venduto tutto «per un pugno di euro». E chi ha cercato nuovi filoni di business. Dai De Benedetti ai Caprotti, passando per i Romiti e i Del Vecchio, ecco guai e geometrie del capitalismo tricolore.
Logan Roy è il protagonista della serie tv americana Succession. Il classico magnate dei media che ha fatto i soldi quando network e giornali erano ancora miniere d’oro. Proprietario e fondatore della multinazionale delle news Waystar Royco, a 80 anni suonati per lui è arrivato il momento di ritirarsi e lasciare le redini dell’azienda a uno dei suoi quattro figli. Ma a chi? L’erede al trono è Kendall, conosce il business più di tutti ma è dipendente dalla cocaina tagliata con abbondante sfortuna. Ci sarebbe Siobhan, unica figlia e spin doctor di successo, più interessata però a consigliare i nemici politici del padre. Non si può fidare nemmeno dell’ultimogenito Roman, ostaggio di un’eterna adolescenza. Né del primogenito Connor, consegnato a un idealismo vuoto e ipocrita, che vive in un ranch nel deserto del New Mexico e ha l’ambizione di diventare presidente degli Stati Uniti. Quando Roy finisce in ospedale decollano le lotte per il controllo della Waystar. Una trama ispirata dalla realtà: il patriarca di Succession è un po’ Rupert Murdoch, un po’ Sumner Redstone, il pezzo grosso di Viacom e Cbs.
Al netto delle somiglianze, quello raccontato in Succession è un grande classico: dinastie del capitalismo familiare colpite in passato dalla sindrome Buddenbrook (il celebre romanzo di Thomas Mann). Anche in Italia c’è chi ha venduto tutto «per un pugno di euro», chi ha pensato di trasformare le vecchie glorie familiari in nuovi filoni di business; chi ha giocato d’azzardo saltando dall’industria alla finanza e viceversa, e chi è arrivato al capolinea con la cassaforte di famiglia presa in ostaggio delle banche. Pensiamo ai Sensi, ai Tanzi, ai Ferruzzi. Per la serie Affetti&Affari, un altro esempio di passaggio generazionale complicato è stato quello della famiglia Romiti. Cesare e i due figli, Maurizio e Piergiorgio, usciti da Gemina, da Impregilo, da Aeroporti di Roma e infine anche dalla Miotir, la cassaforte di famiglia. «I miei figli sono molto in gamba. Il loro vero handicap è chiamarsi Romiti», li ha difesi il patron.
Non la pensava allo stesso modo il fondatore dell’Esselunga, Bernardo Caprotti: una decina d’anni prima di morire, aveva già tolto le deleghe gestionali al figlio Giuseppe, non giudicando all’altezza nessuno dei tre eredi. Poi aveva revocato ai figli di primo letto, Giuseppe e Violetta, la donazione del 70 per cento delle azioni, finite a Marina, figlia della seconda moglie Giuliana Albera. Eppure ancora adesso la distanza tra i due rami della famiglia Caprotti resta lunga. Giuseppe e Violetta Caprotti. Il 21 marzo a Milano è arrivato il verdetto dell’arbitrato. I figli di primo letto di Bernardo Caprotti, riceveranno 915 milioni di euro a testa (1,83 miliardi) per cedere la propria quota di Esselunga a Giuliana Albera e Marina Sylvia, rispettivamente vedova e terza figlia dell’ex patron della catena di supermercati milanesi. Lo hanno deciso gli arbitri del lodo chiamato a dare un valore alla società capogruppo Supermarkets Italiani di cui i due primi figli hanno in totale il 30%, ma senza essere in consiglio d’amministrazione. Il valore complessivo di Esselunga, stabilito dal collegio formato da Mario Cattaneo per Giuseppe e Violetta, Gualtiero Brugger per Giuliana e Marina ed Enrico Laghi come presidente, è stato stabilito quindi in 6,1 miliardi di euro.
Ma chi sono in Italia i Logan Roy di oggi? La storia di Succession somiglia molto a quella andata in scena negli ultimi mesi del 2019 in casa De Benedetti. Per oltre 40 anni il nome del patron Carlo (classe 1934) era sinonimo di Repubblica. Siccome i tempi cambiano e gli anni passano, però, i figli Rodolfo, Marco e, l’assai più defilato Edoardo (medico che ha sempre esercitato la professione), hanno deciso di fare il passo indietro definitivo vendendo la quota del gruppo Gedi (nato dalla fusione tra Repubblica-Espresso e Stampa-Secolo XIX) alla Exor degli Agnelli-Elkann che erano già azionisti della casa editrice da due anni, dopo essere stati a lungo nel patto di sindacato, anche come primo socio di Rcs ossia il gruppo concorrente, quello del quotidiano di via Solferino.
Tutto è successo dopo che, all’inizio di ottobre, Carlo ha rivolto a Rodolfo (presidente della controllante Cir) e a Marco (presidente di Gedi) un’offerta per comprarsi il pacchetto di controllo del gruppo editoriale, e i due figli hanno risposto picche. Tra padre ed eredi sono volati gli stracci: Carlo ha lasciato la presidenza onoraria di Gedi e ha accusato pubblicamente i due eredi di non essere all’altezza. Ha parlato di «gestione del tutto inefficace, azienda senza vertice e senza comando, sconquassata e non gestita, nave senza capitano, in balia di onde altissime», e tutto ciò perché, semplicemente, i due rampolli «non sono capaci di fare questo mestiere». Marco è stato amministratore delegato di Telecom ed è il rappresentante in Italia del fondo americano Carlyle. Rodolfo, che porta il nome del nonno, è il capo di Cir, che ha ancora alcune partecipazioni di rilievo nella componentistica auto e nelle cliniche private, oltre che circa un miliardo di liquidità, in larga parte frutto del risarcimento danni ricevuto nella causa contro Fininvest per il controllo di Mondadori.
«Fatti privati che non devono incidere su queste scelte»: in ogni caso, l’auspicio è che, girata la pagina di Gedi «che ci ha portato a una situazione tesa e complicata», si possa arrivare a una «armonizzazione dei rapporti familiari», ha detto Rodolfo a dicembre in un’intervista. Di un anno più giovane di De Benedetti è Leonardo Del Vecchio, che non si occupa di media ma di occhiali e pure di Mediobanca di cui è diventato primo azionista, aspirando a cambiare la governance in vista dell’assemblea di ottobre chiamata a rinnovare il cda. Il patron di Luxottica è impegnato anche a combattere su un altro fronte, quello francese. La fusione tra la sua Luxottica e Essilor resta infatti tormentata. Del Vecchio non intende andare in pensione ma la sua successione non sarà semplice: Claudio , a capo di Brooks Brothers, Marisa e Paola sono figli della prima moglie Luciana Nervo, Leonardo Maria è figlio della seconda e quarta moglie Nicoletta Zampillo, i più piccoli Luca e Clemente li ha avuti dalla terza moglie Sabina Grossi, una parentesi rosa tra il primo e secondo matrimonio di nuovo con la Zampillo. Il primogenito Claudio, classe 1957, è titolare del 12,5 per cento della holding lussemburghese Delfin, il cui capitale è frazionato tra i sei eredi che hanno quote paritetiche del 12,5 per cento, mentre il restante 25 è del fondatore di Luxottica e oggi primo socio (31 per cento) e presidente esecutivo del colosso dell’occhialeria italo-francese. C’è chi ritiene che l’operazione Luxottica-Essilor sia stata studiata proprio per salvaguardare l’azienda dalle tre famiglie.
Da Agordo a Genova. Perché Vittorio Malacalza ha dovuto fare un passo indietro da Carige («diluendosi» da quasi il 28 al 2 per cento), salvata in extremis dal Fondo Interbancario dopo il commissariamento. A quasi 83 anni Vittorio ha messo parecchia benzina nel motore dell’istituto ligure per un’avventura finita male che i due figli Davide e Mattia non avrebbero voluto, si dice, nemmeno iniziare nel 2015. Perché quella dei Malacalza non è una famiglia di banchieri ma di industriali. I due eredi sono lontanissimi per carattere, residenza e inclinazioni. Mattia, più «muscolare» e simile al padre, segue gli affari di famiglia da Lugano, in Svizzera, e guida la cassaforte Malacalza Investimenti con una passione anche per il business immobiliare. Davide più riflessivo ha lavorato all’Ansaldo ed è rimasto a Genova, facendo la spola con Milano per occuparsi come a.d. della Hofima che custodisce, tra le altre cose, il suo 48 per cento di Malacalza Investimenti. L’altro 48 per cento è in mano al fratello mentre il padre ha il 4. Una specie di triangolo che in futuro dovrà cercare un nuovo equilibrio.