Questi primi tre mesi dell’anno sono stati fra i peggiori della storia per la valuta a stelle e strisce (-6% per il dollaro trade weighted, -7% nei confronti della nostra moneta, -11% nei confronti della valuta più forte quest’anno, la corona svedese) che, anche in giornate di forte risk off come quelle dell’ultima settimana, ha perso terreno, contrariamente a quanto succede di solito (il USD è tipicamente una delle valute “rifugio”). In Banca Patrimoni Sella lo abbiamo notato e così crediamo se ne siano accorti molti altri operatori di mercato.
Cosa è cambiato? Quali elementi nuovi abbiamo sul tavolo?
A nostro parere almeno quattro e nel numero odierno della nostra rubrica “Spunti di Mercato” ve ne parliamo.
- Il binomio Stati Uniti “garanti di certi valori” a casa propria e nel mondo e al contempo / di conseguenza detentori indiscussi della valuta di riserva mondiale rischia di venire meno. A partire dai primi dazi imposti alla Cina (Trump I, marzo 2018), che hanno di fatto sancito la fine della continua riduzione degli stessi a livello planetario, partita negli anni ’50, gli USA hanno iniziato a porsi in modo diverso con un focus più “domestico”, molto meno interessato ai problemi degli altri paesi, con più imposizione dei loro voleri.
Questo cambiamento non è di poco conto perché altera questa relazione durata 70 anni, che finora nessuno aveva mai messo in discussione e che porta ad avere un peso del dollaro ancora oggi vicino al 60% nella torta globale delle riserve, del 50% lato commercio mondiale, del 45% lato negoziazioni su valute. Una sorta di “do ut des”. Con 200 settimane di presidenza americana Trump che proseguono con le modalità delle prime 10 il rischio che vari paesi, emergenti in prima linea, ma anche sviluppati a seguire, si stacchino è elevato.
- Gli ultimi quindici anni hanno portato all’apoteosi degli Stati Uniti lato mercati finanziari con il raggiungimento di pesi percentuali esagerati lato azionario. All’apice di questo fenomeno (dicembre 2024) la capitalizzazione del mercato azionario americano aveva superato per la prima volta nella storia quella di tutti gli altri paesi al mondo sommati (64tr Usd contro 62tr); qualcosa di impensabile fino al decennio scorso come ben vedete dal grafico. Senza dubbio un’esagerazione, almeno guardando alla storia. Questo è avvenuto anche grazie a flussi di investimenti stranieri verso le borse americane record, mai visti prima. Che hanno aiutato molto la performance del dollaro fino all’altro ieri e che ora, man mano che questo eccesso rientra, lo spingono nella direzione opposta.
- Il peso americano nell’economia mondiale resta molto elevato ma ci sono nuovi attori che non esistevano in passato e che sono pronti a sfidarli, anche con le loro divise. La Cina è il paese che viene per primo in mente, ma è tutto il mondo emergente ad essere fortemente cresciuto, pesare oltre il 50% del Pil mondiale e determinare il 65% della crescita dello stesso. Numeri che contrastano fortemente con quelli dei due paragrafi precedenti. Gli Stati Uniti difendono il loro primato, ma i BRICS+ sono un’alleanza di ormai 11 paesi emergenti che si allargherà ancora e già oggi rappresenta oltre la metà della popolazione mondiale. Inevitabilmente i cinesi con il renminbi, gli indiani con la rupia, i Brasiliani con il real spingono per avere più posto al tavolo mondiale. Anche questo peserà sul dollaro e in generale sul peso delle divise dei paesi sviluppati.
- Gli Stati Uniti non si sono mai preoccupati del loro deficit statale e hanno fatto crescere debito e rapporto debito / Pil a livelli molto elevati arrivando oggi a una situazione critica per quanto riguarda il rapporto fra necessità di finanziamento / emissioni di bond e domanda estera. I tempi del debito americano bullet proof, AAA, del quale nessuno metterà mai in discussione l’affidabilità e il merito creditizio sono a mio parere finiti. Un deficit che viaggia perennemente fra il 5 e l’8% del Pil, anche in anni di crescita economica ottima come i passati 3, un rapporto debito/Pil arrivato al 120%, ben peggiore della media dei paesi dell’Eurozona, e soprattutto una forte concentrazione del debito su scadenze brevi (33% della astronomica cifra del debito americano pari oggi a 36tr di dollari, scadrà entro i prossimi 12 mesi, in Italia siamo a un terzo di quella percentuale) rendono complessa la gestione del debito stesso. Il rating resta elevato e la domanda è diversificata, anche se la parte retail americana sale, ma crediamo che gli investitori preferiranno anche lì diversificare maggiormente i loro investimenti; anche qui a detrimento del biglietto verde.