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Il semaforo alimentare francese taglia fuori l’85% del made in Italy

Il semaforo alimentare francese taglia fuori l’85% del made in Italy

Che voto dareste al Parmigiano Reggiano? All’olio extra vergine d’oliva? Al prosciutto di Parma? Dieci e lode? Sbagliato. Questi e altri pilastri della nostra cucina sono stati bocciati dagli scienziati francesi dell’alimentazione. Che invece hanno promosso a pieni voti, invitando a consumarne a volontà, bevande industriali, gassate e dalla ricetta notoriamente segreta, come la Coca Cola.


Ecco, in sintesi, cos’è il nutriscore, il nuovo indicatore di salubrità degli alimenti che, dalla Francia, ha invaso l’Europa e sta per varcare i nostri confini. Si tratta di un’etichetta che riproduce un semaforo e cinque lettere, dalla A alla E. Il punteggio considera, per 100 grammi di prodotto, il contenuto di nutrienti e alimenti da promuovere (fibre, proteine, frutta e verdura) e da limitare (energia, acidi grassi saturi, zuccheri, sale). Dopo il calcolo, il punteggio ottenuto permette di assegnare una lettera e un colore al prodotto esaminato. Così facendo, con un rapido colpo d’occhio, il consumatore si fa un’idea di quale alimento sia salutare o meno. Il punteggio nutriscore ha una base scientifica (si citano oltre 40 studi pubblicati su riviste internazionali, soprattutto sui rischi cardiocircolatori). È già stato adottato da Francia (ottobre 2017), Belgio (aprile 2018), Spagna (novembre 2018), Germania (settembre 2019) e Olanda (novembre 2019) ed è in discussione in molti altri paesi europei.

Gli scienziati saranno certamente stati mossi dai più nobili intenti. Come aiutare i consumatori a giudicare, a colpo d’occhio, le caratteristiche nutrizionali complessive del cibo, aiutandoli a orientare le loro scelte, migliorare il loro equilibro alimentare e possibilmente la loro salute. E, contemporaneamente, incoraggiare i produttori a riformulare la composizione nutrizionale degli alimenti che producono, per esempio riducendo il contenuto in sale, zucchero e grassi. Quegli scienziati francesi però evidentemente pensano che i consumatori siano cavernicoli che hanno appena scoperto il fuoco. Un panino al prosciutto è una merenda sana o pericolosa per la salute? Una spolverata di Parmigiano sulla pastasciutta fa male? Fatta eccezione per chi ha malattie direttamente interessate dall’alimentazione, come il diabete, non ci sarebbero dubbi. D’altra parte anche un bambino sa che non si mangia un chilo di prosciutto o una forma di Parmigiano in una volta. Eppure sui nostri prodotti alimentari, compresi e soprattutto quelli universalmente riconosciuti come eccellenze fondanti la dieta mediterranea, raccomandata da decenni come la più salutare, saranno presto appiccicati una serie di tabelle, adesivi, marchi, bollini che avranno come prima conseguenza quella di confondere e spaventare il consumatore. A decidere per noi sono stati i ricercatori francesi specializzati in nutrizione e sanità pubblica dell’Università Paris 13, dell’Istituto francese per la salute e la ricerca medica (Inserm), dell’Istituto nazionale di ricerca agronomica (Inra) e del Conservatorio nazionale di arti e mestieri (Cnam). Per loro la mozzarella non supera il giallo (lettera C), come l’olio di oliva extravergine, mentre la Coca Cola senza zucchero si guadagna un bel semaforo verde (lettera A). Checco Zalone, nel suo film del 2013 “Sole a catinelle”, spiegava a modo suo le normative europee sulla vendita di alimenti: «Se io produco una mozzarella, io devo scrivere sulla copertina della mozzarella la data di scadenza, devo scrivere che stata fatta da una certa mucca che abita in un certo paese, che il latte è stato conservato in una cella frigorifera a una certa temperatura, sterilizzato secondo le norme comunitarie… Mangia la mozzarella, vaffanculo a’mammeta!». Oggi è stato superato.

Con quale stato d’animo la signora al supermercato allungherà la mano nello scaffale dei formaggi se campeggerà sulla confezione un semaforo rosso? In attesa che a qualcuno venga in mente di accompagnare quel bollino con una luce lampeggiante e un allarme acustico, la comunità scientifica si scontra con allevatori, agricoltori, produttori e politici.

Cinque scienziati esperti di salute pubblica, epidemiologia, alimentazione e farmacologia, sostengono la validità del nutriscore e hanno per questo firmato un documento pubblico, affermando che «l’adozione di un sistema di informazione nutrizionale basato sulle etichette dei cibi è raccomandata da tutti i comitati di esperti nazionali e internazionali, in particolare dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che ritiene che si tratti di una misura efficace per aiutare i consumatori ad adottare comportamenti alimentari più sani». Secondo
Paolo Vineis dell’Imperial College di Londra, Elio Riboli dell’Humanitas University Milano, Walter Ricciardi dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, Mauro Serafini dell’Università di Teramo e Silvio Garattini dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Milano, «Considerati i crescenti problemi di salute pubblica legati all’alimentazione (obesità, diabete, malattie cardiovascolari, tumori ecc.), nutriscore è stato adottato da diversi Stati Europei sulla base di informazioni scientifiche e sanitarie che lo convalidano, con il sostegno delle società di esperti e con il supporto dei consumatori che lo utilizzano». Il nutriscore non sarebbe, quindi, un complotto europeo e in specie francese contro l’industria agroalimentare italiana, ma «è un modello alimentare i cui vantaggi per la salute sono condivisi da tutti i nutrizionisti a livello internazionale». Di fatto il risultato è quello di scoraggiare i consumatori dall’acquisto di certi alimenti.

E nel mirino sono finiti anche le eccellenze italiane, quelle che tutto il mondo apprezza e acquista e che in molti tentano di riprodurre con vere e proprie frodi alimentari, contro le quali non si assiste ad analoga solerzia delle autorità sovranazionali chiamate anche a vigilare sulla diffusione di fake alimentari, queste sì nocive per la salute. Ed è altrettanto evidente che il semaforo rosso sui nostri prodotti possa arrecare seri danni soprattutto al nostro export. Proprio in un momento in cui il settore agroalimentare si conferma fondamentale per la nostra economia. La produzione (59,2 miliardi di euro in valori correnti), infatti, secondo le ultime stime diffuse da Crea, il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria, ha registrato per il 2018 un aumento significativo pari all’1,8% rispetto al 2017. Le buone le performance dell’industria alimentare, che pesa per il 12% sull’occupazione del settore manifatturiero nazionale, registrano nell’ultimo decennio livelli di produttività (+9%) e indici della produzione industriale più elevati rispetto al resto del sistema industriale. Che potrebbe subire seri danni dall’introduzione del semaforo sugli alimenti.

Il sistema di qualità basato sulle indicazioni geografiche (300 prodotti alimentari e 526 vini) ha raggiunto un valore di mercato di primo piano. Anche all’estero. Nel 2018, come evidenziato da Crea nel Rapporto sul commercio estero, si è constatato un aumento delle esportazioni italiane di prodotti agroalimentari del +1,4% rispetto al 2017, superando i 41,6 miliardi di euro, a fronte di una riduzione delle importazioni del -2% rispetto al 2017, attestandosi a 43,7 miliardi. Questa dinamica ha reso possibile la contrazione del deficit della bilancia agroalimentare, che per la prima volta scende sotto i 2 miliardi.

Risultati brillanti che ora sono minacciati dalle nuove etichette colorate. I produttori infatti sono in allarme. «L’etichetta nutrizionale a semaforo e il nutriscore sugli alimenti, che rischia di affermarsi nell’Unione Europea sotto la spinta delle multinazionali, boccia ingiustamente quasi l’85% in valore del Made in Italy a denominazione di origine (Dop) che la stessa Unione Europea dovrebbe invece tutelare e valorizzare» denuncia il presidente della Coldiretti
Ettore Prandini. «Il sistema di etichettatura a semaforo è fuorviante, discriminatorio ed incompleto e – sottolinea Prandini – finisce per escludere paradossalmente dalla dieta alimenti sani e naturali che da secoli sono presenti sulle tavole per favorire prodotti artificiali di cui in alcuni casi non è nota neanche la ricetta». «Si rischia – precisa Prandini – di promuovere cibi spazzatura con edulcoranti al posto dello zucchero e di sfavorire elisir di lunga vita come l’olio extravergine di oliva considerato il simbolo della dieta mediterranea, ma anche specialità come il Grana Padano, il Parmigiano Reggiano ed il prosciutto di Parma le cui semplici ricette non possono essere certo modificate». Lo spiega bene Federica Dall’Aglio, che ha un’azienda a gestione familiare a Reggio Emilia che produce Parmigiano Reggiano. La sua è una filiera completa: dalla produzione del fieno per alimentare gli animali fino alla forma di Parmigiano: «Per 9 secoli il nostro formaggio è stato prodotto con la stessa ricetta, che non prevede l’utilizzo né di additivi né di conservanti. L’unico conservante del Parmigiano è il sale. Non possiamo nemmeno variare il dosaggio, perché violeremmo il disciplinare che regola esattamente come deve essere fatto il Parmigiano Reggiano».

Il Governo, sollecitato, tenta di correre ai ripari. E rischia di aumentare la confusione, proponendo di escludere dai segnali semaforici i prodotti di origine geografica e simili (Dop, Docg, etc), e di sostituire il nutriscore col nutrimeter, altrimenti chiamato “etichetta a batteria”, dove il valore della carica più basso indica il minor rischio per la salute e si concentra sulla dose giornaliera consigliata per ciascun prodotto. Ma, a parte che un adolescente che pratica sport necessita di apporti di proteine, grassi e zuccheri ben differente rispetto a un ultra sessantacinquenne, il simbolo della batteria può indurre in errore: i valori infatti sono posti all’inverso rispetto a quelli, per esempio, del telefono cellulare. Così ci si può abbuffare di cibi con una sola tacca sul simbolo della batteria, mentre è consigliabile assumere con moderazione quelli che hanno la carica piena. Come diceva
Checco Zalone?

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