Home » Attualità » Economia » John Elkann e il mistero della società fantasma

John Elkann e il mistero della società fantasma

John Elkann e il mistero della società fantasma

Dopo aver taciuto per quasi 20 anni alle autorità italiane informazioni su Dicembre, la «cassaforte personale» fondata dagli Agnelli (considerata inesistente dalla Camera di commercio), il numero uno della dinastia ha deciso di rendere pubbliche alcune carte, spinto dalle pressioni del settore anti-frode americano. Insospettito da anomalie e punti oscuri.


Questa volta John Elkann, l’uomo che fa diventare oro ciò che tocca, sembra aver combinato un bel pasticcio forse dovuto alla fretta. A rivelarlo, paradossalmente, è stato egli stesso. Ha «dimenticato» e tenute «nascoste» alle autorità italiane per ben 18 anni, nonostante ciò che impone la legge, le informazioni e i documenti riguardanti la sua cassaforte personale, che prima era del nonno, la «Dicembre società semplice».

Dal 2003 John è il socio di maggioranza e amministratore di questa società (dopo esservi stato ammesso da Gianni Agnelli nel 1996, a 19 anni) ma solo un mese fa ha finalmente deciso di mostrare le carte, non tutte, e tentare di mettersi in regola. Perché tanta segretezza e per tanto tempo? Perché solo ora far emergere tante notizie delicate sempre tenute nascoste?

La causa è principalmente il pressing che Margherita Agnelli sta intensificando contro il figlio. Il nuovo motivo del contendere è il gigantesco patrimonio che donna Marella, la vedova dell’Avvocato, ha lasciato dopo la morte, il 23 febbraio 2019. Margherita, diventata piena proprietaria degli immobili e delle opere d’arte di cui la madre era usufruttuaria, non si è accontentata e ha aperto un alto fronte. Un anno prima che Marella morisse aveva intentato una causa al Tribunale di Ginevra chiedendo la nullità dell’accorso stipulato con la madre nel febbraio 2004 per dividere con lei (alla figlia erano toccati 1,163 miliardi di euro) il patrimonio all’estero dell’Avvocato.

In quell’accordo Margherita aveva anche rinunciato «in via tombale» ai suoi diritti ereditari al momento in cui la madre fosse scomparsa. Tuttavia, da anni riteneva che la madre le avesse nascosto cifre ben più cospicue solo per metà spettanti a lei, ma ne ha atteso ben 15 prima di impugnare quell’accordo tra l’altro ormai prescritto in Svizzera. Quando la madre è scomparsa, Margherita ha chiamato in causa John considerandolo il principale beneficiario della successione della nonna.

L’avvocato di quest’ultimo, Carlo Lombardini, autore di quell’accordo del 2004 studiato nei minimi termini, aveva avuto buon gioco nel sostenere che se Margherita aveva firmato e poi ci aveva ripensato la ragione era semplice: nel 2004 credeva che il gruppo Fiat non avesse futuro, mentre negli anni successivi – grazie a Marchionne e a John – era diventato altamente redditizio. Facile, quindi, chiedere oggi di rivedere tutto.

In questa causa senza speranze, Margherita era pentita soprattutto di aver «svenduto» per 105 milioni di euro alla madre, che l’aveva girata al nipote, la quota della Dicembre, che ora vale molto di più e continua a essere il perno del comando e la vera fonte di grandissimi profitti. John si è allineato alla posizione sostenuta dal suo avvocato svizzero e ha fatto argine contro i tentativi della madre di avere altri quattrini. Ecco, come risposta, il tentativo di dimostrare che nelle manovre di occultamento del vero patrimonio del nonno, John era stato «complice» della nonna nel nascondere molti asset, a cominciare dai segreti mantenuti per anni sulla Dicembre.

Nell’ennesima puntata della lotta tra John e sua madre, col primo nel ruolo di «povera vittima» e la seconda dell’implacabile e avida carnefice sempre in cerca di vendetta, Jaki è stato «stanato» grazie a un esposto dell’avvocato Dario Trevisan di Milano, uno dei legali di Margherita. Il 14 maggio scorso, il legale (impegnato in quella causa impossibile di Ginevra in cui la madre ha citato il figlio chiedendo la nullità degli accordi del 2004 stipulati con sua madre Marella) ha chiesto l’intervento del Giudice delle imprese affinché Jaki, come amministratore della Dicembre dal 2003, consegnasse finalmente le carte della sua cassaforte personale.

Tra gli altri episodi sulla opacità di John Elkann – oltre al fatto che egli non aveva nemmeno comunicato un lungo elenco di soci ormai defunti come Gianni, Umberto, Marella, Gianluigi Gabetti, Cesare Romiti, Trevisan ha citato un fatto molto significativo. In un verbale del 3 settembre 2016 con cui l’assemblea straordinaria di Giovanni Agnelli Sapaz aveva approvato la proposta di fusione nella Giovanni Agnelli B.V., con sede in Olanda, il notaio Ettore Morone scriveva che «l’ing. John Elkann esprime il voto oltre che in proprio per un’azione, anche per le n. 1.206.536 azioni in rappresentanza di Dicembre semplice».

Era un dato stupefacente, poiché consultando la visura della stessa Dicembre il nome di Elkann non compariva e quindi non gli era consentito di intervenire in rappresentanza di quella società semplice. Come mai il notaio non aveva controllato e solo ora, dopo cinque anni si è finalmente messo in regola? E come mai John è diventato «trasparente» e non più «reticente», nonostante in questi anni non avesse mai temuto le iniziative della madre in questo campo e analoghe richieste di altri avvocati di Margherita (Filippo Sgubbi nell’ottobre 2012, Valerio Tavormina e Alberto Romano nel marzo 2013) non avessero sortito alcun effetto?

La Dicembre non è un’entità qualsiasi. Nonostante esistesse dal 1984, non era nemmeno stata iscritta al Registro imprese dalla Camera di commercio di Torino, come prevede la legge. Quando finalmente un giudice di Torino l’ha fatta iscrivere d’ufficio (nel 2012), qualcosa è cominciato a emergere mentre John continuava a tacere e non rispondeva nemmeno alle raccomandate del Conservatore del Registro delle imprese.

Da quell’atto costitutivo mai portato alla luce emergeva che, dopo la morte di Gianni, la società risultava avere tre soci molto anziani: Marella Agnelli, classe 1927, Gianluigi Gabetti del 1924, e Cesare Romiti del 1923. Inoltre c’era scritto che controllavano la società con 6,20 euro: Marella con dieci quote da mille lire ciascuna (5,16 euro) e gli altri due con l’equivalente di 0,52 centesimi.
Per di più, in quel 2012, la Dicembre risultava «inattiva» mentre invece era viva, vegeta e altamente redditizia.

Ha infatti incassato ogni anno cospicui dividendi per centinaia di milioni di euro grazie alle sue preziose partecipazioni: il 38% della holding olandese Giovanni Agnelli B.V. (l’ex Accomandita) che, attraverso Exor, controlla quote di Stellantis (14,4%), Ferrari (23%), Cnh Industrial (27%), PartnerRe (100%), The Economist Group (43,4%), Christian Louboutin (24%), il gruppo cinese del lusso Shang Xia (77,3%), e le meno redditizie Juventus (64%) e Gedi editoriale (86,9%).

La storia della Dicembre è significativa. La società era stata costituita il 15 dicembre 1984 (capitale 99 milioni e 980 mila lire) con cinque soci: Gianni Agnelli (99,9%), Marella Agnelli (10 quote da mille lire ciascuna), e con altre tre quote da mille lire Umberto Agnelli, Cesare Romiti, Gianluigi Gabetti. La sede è sempre stata in via del Carmine nello studio di Franzo Grande Stevens, presso le sue fiduciarie Fidam e Simon. L’idea di una società semplice era di Franzo: in genere veniva utilizzata dai modesti agricoltori piemontesi e da pescatori liguri perché aveva il vantaggio di non dover presentare il bilancio ogni anno.

La prima clamorosa modifica tra i soci era avvenuta il 13 giugno 1989: Romiti e Umberto Agnelli, nel pieno delle loro divergenze personali e aziendali, vengono liquidati da Gianni che, nonostante possa cogliere l’occasione per far entrare i suoi due figli, sceglie invece Franzo Grande Stevens e sua figlia Cristina Gandini (che aveva solo 28 anni).

Poi avviene che, con un trasferimento in Liechtenstein, il 30 luglio 1991, poco prima che scoppi Tangentopoli, Agnelli (da poco nominato senatore a vita da Francesco Cossiga) scherma la propria presenza attraverso due prestanome: René Merkt di Ginevra, classe 1933, e Herbert Batliner, classe 1928, il re delle fiduciarie di Vaduz, maggiordomo di Sua Santità, amico personale di Papa Ratzinger e del principe del Liechtenstein. Ad aprile 1996, mentre l’inchiesta Mani Pulite comincia a spegnersi la Dicembre torna in Italia.

Il 10 aprile 1996 arriva il momento-chiave: John, che ha solo 19 anni, entra tra i soci di Dicembre. L’Avvocato è l’unico a tirare fuori i 20,1 miliardi del nuovo capitale: ha il 25% e l’usufrutto del restante 75% diviso tra sua moglie, sua figlia e suo nipote. È un mistero come il notaio Ettore Morone abbia potuto stilare questo atto partendo dal vecchio capitale iniziale di 100 milioni di lire e non dai 2,1 miliardi della parentesi a Vaduz. A questo punto Dicembre ha otto soci: Gianni, Marella, Margherita, John e poi, con una azione, Gabetti, Ferrero, e i due Grande Stevens. Per la Camera di commercio di Torino la Dicembre continua a non esistere, nessuno comunica nulla. Gabetti consiglia: «Lasciamo perdere…». Grande Stevens è d’accordo. La parentesi di Vaduz non deve lasciare tracce, Morone si adegua, il giovane John capisce che l’argomento è top-secret.

Ed eccoci alla morte di Gianni, il 24 gennaio 2003. L’11 aprile 2003 John diventa amministratore di Dicembre. Un mese dopo la morte del nonno ne diventa anche il padrone assoluto: sua nonna (che conserva il 7,9%) gli ha donato gran parte delle sue quote (che portano Jaki al 58,7%) relegando Margherita in minoranza. Quel giorno era cominciato con l’apertura del testamento di Gianni, scritto il 20 aprile 1999: Jaki non viene nemmeno nominato mentre invece figura Edoardo Agnelli (che morirà un anno e mezzo dopo e suo padre nemmeno alla luce di questo modificherà il proprio testamento inserendo John). Chiaro segno che la volontà del defunto non era quella che si è voluto far credere?

John probabilmente non sente l’esigenza di mettersi in regola e di portare alla luce la Dicembre poiché in quel periodo è ancora sotto la «tutela» dei due consiglieri del nonno. Sono in corso le trattative per estromettere Margherita, lei cede alla madre il suo 35 per cento in cambio di 105 milioni di euro.

La Camera di commercio era l’unica a Torino a non sapere nulla, anche se avrebbe dovuto intervenire d’imperio segnalando al giudice una serie di incredibili anomalie. Fino a che, il 25 giugno 2012, finalmente Dicembre viene iscritta nei Registri su ordine del giudice Anna Castellino, ventotto anni dopo la sua nascita, e su iniziativa dell’autore di questo articolo che era impegnato a scrivere un libro sulla vicenda e incredibilmente non trovava alcun documento ufficiale della Dicembre, come se non fosse mai esistita.

La «mancanza di curiosità» della Camera di commercio era anche dovuta al fatto che fino al 2014 l’ente era presieduto dall’ex amministratore delegato Fiat, Alfredo Barberis, e poi fino 2020 da Vincenzo Ilotte che aveva ha perfino premiato in pompa magna Gianluigi Gabetti, proprio uno dei soci muti e reticenti di Dicembre, come «Torinese dell’anno 2015»? Forse. Ma forse si tratta di maliziosa interpretazione.

John, nel frattempo, otteneva come di recente altri «premi» dalle istituzioni, nonostante il suo comportamento (e il trasferimento delle attività in Olanda): cavaliere del lavoro nominato da Sergio Mattarella; 6,5 miliardi di euro concessi da Giuseppe Conte per il Covid e garantiti dallo Stato (sono serviti soprattutto a pagare gli extra-dividendi alla famiglia); essere diventato grazie a Domenico Arcuri il primo fornitore di mascherine per le scuole (237 milioni di euro, contratto del luglio 2020) con tanto di esposti per frode in pubbliche forniture e genitori che rifiutano di farle indossare ai figli.

Sulla «folgorazione» improvvisa di John è emerso un secondo elemento, oltre al pressing della madre. Stando ad alcune indiscrezioni, stavolta l’Ingegnere si è messo paura nel momento in cui ha saputo che non si trattava più di rischiare una misera multa da 500 euro per ognuna delle omesse informazioni al Registro delle imprese, ma c’era il rischio di qualcosa di ben più grave, a livello internazionale, con danni enormi alla sua reputazione e alla sua credibilità imprenditoriale.

Infatti, ad accendere i fari sulla vicenda non erano più le due signore torinesi che per dovere d’ufficio chiedevano inutilmente notizie senza che qualcuno se le filasse (ovvero Maria Loreta Raso e Claudia Savio, conservatrici del Registro delle imprese presso la Camera di commercio), ma Katherine M. Shiu, branch chief di Oiea (Office of investor education and advocacy), il settore anti-frodi della Sec, Security exchange commission, l’organismo che sovrintende e controlla tutte le attività legate alle società quotate alla Borsa di New York e alle loro partecipate.

Secondo alcune fonti il 5 aprile scorso i vertici della Sec (il presidente Gary Gensler e i due commissioner Elad L. Roisman e Hester M. Peirce) hanno ricevuto dall’Italia un dettagliato dossier cui erano allegate le visure della Dicembre. Da esse emergeva che la controllante di due società quotate dall’ottobre 2014 alla Borsa di New York (Fca fino al gennaio scorso e Ferrari NV) era interamente composta da tre persone da tempo defunte con quote per un controvalore di euro 6,20. Nel documento non figurava mai il nome di John Elkann.

In un esposto si chiede poi di aprire un’investigazione sulle due società (secondo i codici Sec, Ferrari è catalogata come «Race», mentre Fca è «Fcau») ipotizzando che alle autorità di Borsa fossero stati forniti dati non veri e tenuti nascosti elementi essenziali per ottenere la quotazione. Ancora: fonti americane affermano che la Sec ha subito aperto una indagine e ovviamente ha interpellato la controparte invitandola a fornire la sua versione sulle accuse. Il rischio di gravi sanzioni ha indotto John a uscire finalmente dall’ombra e a smetterla di far finta di nulla.

È stato attivato Ettore Morone, notaio «storico» della Real Casa e console onorario del Lussemburgo (il che garantisce immunità diplomatica e divieto di eventuali perquisizioni), il quale ha girato la pratica a suo figlio Remo Maria, 45 anni, detentore di un record: è stato il primo in Italia a rogitare una transazione immobiliare in bitcoin. Morone jr. ha preparato un lungo aggiornamento e, il 9 luglio, ha «inondato» la Camera di commercio di documenti mai resi pubblici.

Tuttavia, in questa sua improvvisa corsa alla trasparenza, Jaki ha svelato circostanze che aprono nuovi fronti, soprattutto fiscali nei confronti suoi e di Lapo e Ginevra Elkann. E in pratica si è autoaccusato di non aver rispettato la legge italiana in numerose circostanze. Le notizie più importanti riguardano la quota di John in Dicembre (pari a 61,8 milioni) e la novità che ce ne sono solo altre due, a favore di Lapo e Ginevra Elkann pari a 20,6 milioni ciascuno. Fratello e sorella di John sono soci dal 19 maggio 2004. Ma che cosa è accaduto, per esempio, della quota di Lapo nell’ottobre 2005 dopo l’annuncio che era stato «liquidato» a causa della notte brava col transessuale Donato Brocco, in arte Patrizia?

C’è un altro aspetto incredibile: se oggi i soci di Dicembre sono solo i tre Elkann, come e a quale prezzo gli altri siano stati liquidati nonostante si tratti di «grossi calibri» e conoscitori di segreti da far tremare i polsi: in particolare Franzo Grande Stevens e sua figlia, Cesare Ferrero e gli eredi di Gianluigi Gabetti (Alessandro e Cristina, ai quali sicuramente il padre ha lasciato istruzioni su questo prezioso asset). Ogni quota nominalmente valeva un euro ma lo statuto conferiva a esse un valore e un potere enorme: e quindi come è stato possibile convincere i possessori a privarsene, specie i due Grande Stevens?

E le domande continuano: quando sono stati modificati alcuni articoli dello statuto che consentivano la vendita di quote tra i soci a particolarissime condizioni (ci volevano due voti dei soci maggiori, ma anche due voti contrari dei «piccoli» per bloccare tutto), senza considerare che in caso di morte di un socio la sua quota non passasse agli eredi ma venisse consolidata, come accadde per Gianni? Come ha fatto a passare di mano la quota di Marella nel 2004, 15 anni prima che morisse, anche se lei ha probabilmente conservato l’usufrutto? E, dopo la sua morte, dove è stata aperta la sua successione che ha riguardato solo tre degli otto nipoti?

John è entrato in un campo minato che apre fronti fiscali di vaste dimensioni. Infatti, mentre taceva col Registro delle imprese, ogni anno presentava all’Agenzia delle entrate il modello Unico della Dicembre. Se dice di essere proprietario, dal 2003, di quote pari a 61,8 milioni, come mai nelle denunce di redditi da lui firmate la quota è inferiore? Tra le carte (che i pm di Milano, Fusco e Ruta, hanno racchiuso in sei faldoni relativi al procedimento penale 26961/09) ci sono anche tali denunce dei redditi presentate da John come amministratore di Dicembre. Egli non dichiara mai che tra i soci ci sono anche i suoi fratelli. Nel modello unico che presenta per la società nel 2005, 2006, 2007, 2008 (quelle che abbiamo potuto verificare) dichiara che i soci di Dicembre sono altri (per l’esattezza egli stesso, sua nonna Marella, Gabetti, Ferrero, i due Grande Stevens).

In tutte queste denunce dei redditi, John dichiara che la società di cui egli ha il 58,70% e sua nonna il 41,29%, ha realizzato utili per 2,37 milioni di euro (nel 2006), 2,37 milioni (nel 2007, con plusvalenze pari a 41,44 milioni di cui 25,24 imponibili e 3,15 di imposta), e infine 2,762 milioni (nel 2008). E Lapo e Ginevra che nelle loro denunce al fisco hanno dichiarato tra le loro proprietà quei 20,6 milioni ciascuno relativi alla loro quota nella Dicembre? Tanti interrogativi che ora Jaki, dopo aver cercato di illustrare al suo migliore amico – il raffinato ingegnere Carlo Ratti, architetto, urbanista e accademico di fama internazionale – dovrà spiegare anche al Fisco. Ah, quando c’era Sergio Marchionne (nemmeno ricordato a tre anni dalla morte) certe cose non sarebbero mai capitate.

© Riproduzione Riservata