Un record dietro l’altro, da mesi. L’oro ha segnato la storia, superando i 3500 dollari, cioè 100 volte tanto rispetto al 1971. Solo da gennaio il rialzo è stato di oltre il 28%. Le quotazioni salgono alle stelle per la debolezza del dollaro, la crisi geopolitica e la corsa ai beni rifugio. E per le mosse della Cina, che sta facendo incetta di oro, più di quello che dichiara.
Nella notte tra il 21 e il 22 aprile il metallo prezioso ha sfondato per la prima volta la soglia dei 3.500 dollari l’oncia, toccando i 3.504 dollari, un picco mai visto prima. Poi ha ripiegato, attestandosi intorno ai 3300 dollari dopo le dichiarazioni distensive del presidente americano: “Non ho alcuna intenzione di licenziarlo”, ha detto Trump riferendosi al presidente della Federal Reserve. Ma il rally dell’oro continua e lo fa da mesi.
Oro record per dollaro debole, inflazione e tensioni geopolitiche
L’impennata del metallo prezioso è alimentata dalla combinazione di tre fattori. Primo fra tutti, la debolezza del dollaro, che ha perso il 10% da inizio anno rispetto all’euro, come conseguenza della politica americana sui dazi. È così da sempre: quando il biglietto verde scende l’oro sale. A ciò si aggiungono le tensioni geopolitiche: la guerra in Ucraina, la crisi in Medio Oriente, il riacutizzarsi della rivalità tra Stati Uniti e Cina. L’oro è ancora di salvezza quando c’è instabilità. E poi c’è l’aumento della domanda, delle banche centrali e degli investitori istituzionali e privati, davanti a timori di recessione globale e inflazione. L’oro è l’unico asset che non si congela e non si manipola. Bene rifugio per eccellenza. E così le partecipazioni in ETF legati all’oro hanno toccato i massimi da settembre 2023 e, in termini di controvalore in dollari, siamo ai livelli record. Nel primo trimestre 2025 si stimano afflussi verso l’oro di 3,8 miliardi di euro, il livello più alto dal secondo trimestre del 2022.
La Cina all’assalto: riserve record, anche nascoste
A infiammare il rally c’è poi Pechino, che da mesi, anzi da anni, sta accumulando oro in silenzio. A marzo, la Banca Popolare Cinese ha registrato il quinto mese consecutivo di acquisti, portando le riserve ufficiali a 2.292 tonnellate, pari al 6,5% delle riserve totali del Paese. Secondo Goldman Sachs a fianco dei numeri ufficiali però ce ne sono altri: la Cina avrebbe acquistato a febbraio ben 50 tonnellate di oro, dieci volte quanto dichiarato, per un valore che supera i 6 miliardi di dollari. Pechino, inoltre, ha annunciato la creazione di magazzini all’estero per lo stoccaggio e il regolamento internazionale dei metalli preziosi tramite la Borsa dell’oro di Shanghai. La Cina sta facendo incetta dell’asset che la affranca dal dollaro, per rafforzare lo yuan come valuta di riferimento nel mercato aurifero globale. E così Pechino mina l’egemonia del dollaro, riempiendo le casse di lingotti.
Tutto indica che la corsa dell’oro non è finita. Fintanto che permarranno incertezza politica, instabilità monetaria e tensioni geopolitiche, il metallo prezioso continuerà a salire. Non per speculazione o abitudine, ma per ricerca di stabilità, indipendenza e sfida al dominio del biglietto verde.