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La casa (di pregio) nel mirino dei fondi

La casa (di pregio) nel mirino dei fondi

Tra debiti fatti a causa dei bonus e norme green, il patrimonio edilizio degli italiani è sempre più appetibile per i grandi investitori.


Si prepara il grande esproprio. Gli italiani saranno sfrattati dal «combinato disposto» del Superbonus che si è rivelato un Supermalus, un macigno che pesa sui conti pubblici per almeno 40 miliardi di euro all’anno nei prossimi quattro anni – la stima è del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti – e dalla direttiva sulle case green approvata il 12 marzo scorso dal Parlamento europeo. I fondi esteri hanno a disposizione migliaia di miliardi di euro per aggredire il patrimonio edilizio italiano che subisce una fortissima svalutazione a causa dei nuovi indici energetici imposti dall’Unione europea, di contro lo Stato non ha risorse per aiutare chi dovrà ristrutturare casa perché ogni possibilità di manovra è stata azzerata dai vari bonus edilizi. A interessarsi delle case degli italiani sono dunque 31 fondi sovrani, metà sono arabi. Particolarmente attivi Qatar ed Emirati Arabi, ma anche americani, inglesi e svizzeri ci osservano con grande attenzione. Il Superbonus è un’ottima opportunità. Lo schema è questo: i grandi investitori comprano i crediti fiscali – come si fa con gli Npl (i crediti incagliati delle banche) – e con questa provvista arrivano in Italia approfittando di chi non ha i soldi per mettersi in regola con la nuova direttiva green.

L’ultimo rapporto dell’istituto Scenari Immobiliari dice che i fondi dispongono appunto di un patrimonio complessivo di 4.550 miliardi di euro, in crescita del 2,3 per cento. L’Europa in questo immenso capitale – vale più di un terzo – ha raggiunto un volume di 1.580 miliardi di euro, in aumento del 3,3 per cento, con l’Italia che ha un valore di 127 miliardi di euro nel 2023 (+3,2 per cento sul 2022) destinato a salire a 132 miliardi quest’anno con un incremento del 3,9 per cento. Il più pernicioso dei bonus edilizi è però il «facciate» voluto dall’ex ministro dei beni culturali e ancora potentissima eminenza grigia del Pd Dario Franceschini. L’esponente politico ha copiato male la legge Marlaux (che in Francia era riservata solo a edifici e centri storici); così il vantaggio fiscale è stato concesso a tutti – dalla villa al condominio, dalla prima casa alla fattoria per le vacanze – con uno sconto in fattura del 90 per cento interamente a carico dello Stato. È costato fino all’agosto scorso, ultimo dato disponibile, 26 miliardi di euro contro una previsione iniziale di 5,9. Ha prodotto truffe dirette per quattro miliardi e ci sono almeno 12,5 miliardi di crediti fiscali sospetti. È la stessa traiettoria del Superbonus. Doveva costare 35 miliardi. Le stime a febbraio parlano di 143. Per approfittarne, stimano le Camere di commercio, sono nate undicimila imprese che appena incassati i crediti sono scomparse. Anche qui ci sono 30 miliardi di crediti «sospetti» e tre miliardi di truffe accertati. A novembre alla Camera la sottosegretaria onorevole Lucia Albano ha rivelato che ci sono 135 miliardi ancora da scontare.

Sono una spada di Damocle sui conti pubblici che hanno proiettato il rapporto deficit/Pil al 7,2 per cento. Al conto vanno aggiunte 30 mila imprese sull’orlo del fallimento e dodicimila cantieri bloccati. È questa la smentita più clamorosa delle parole di Giuseppe Conte, il leader dei 5 Stelle, che il 13 maggio 2020 da presidente del Consiglio succeduto a se stesso, ma stavolta a capo di un governo pentastellato-Pd, proclamava: «Tutti quanti potranno ristrutturare gratis per rendere le abitazioni più green, non si spenderà un soldo». Al contempo la Guardia di finanza cominciava a scoprire le truffe. In una intercettazione le Fiamme gialle ascoltano un impresario che commenta: «Lo Stato è pazzesco, vuole farsi fregare». Davvero nessuno – come direbbe la segretaria del Pd Elly Schlein – lo «ha visto arrivare» il pericolo Supermalus? La sentinella sarebbe dovuta essere la Ragioneria generale dello Stato che è incaricata della cosiddetta «bollinatura» delle leggi di cui valuta la congruità della spesa. Alle Camere che chiedevano conto dello tsunami bonus edilizi un po’ meno di un anno fa Biagio Mazzotta, Ragioniere generale dello Stato, rispondeva: «Bisognerà in prospettiva dotarsi di modelli di valutazione ex ante ed ex post: è fondamentale».

Tradotto: non ci siamo accorti del disastro. Giancarlo Giorgetti però lo ha correttamente descritto nel documento Nadef: «Rispetto a quanto previsto nel Documento di economia e finanza della primavera si è verificato uno scostamento di deficit aggiuntivo dell’1,1 per cento». Malcontati si tratta di 23 miliardi di euro in un semestre! Con il Superbonus che doveva servire a rendere più efficienti dal punto di vista energetico e meno inquinanti gli appartamenti e le villette – certifica l’Enea, l’agenzia nazionale per le nuove tecnologie – a fine gennaio scorso sono stati ristrutturati poco meno di 472 mila edifici con una spesa attorno ai 108 miliardi così ripartita: 24,1 per cento condomini, 51,2 per cento villette e case indipendenti e il 24,7 per cento altri edifici. Stando alla stima più recente i palazzi da ristrutturare secondo direttiva europea non sono meno di cinque milioni, senza contare quelli pubblici per cui i limiti sono ancor più stringenti. Stando ai conti fatti sin qui, serviranno almeno dieci Superbonus!

La messa a norma costerà tra 25 e 55 mila euro a unità abitativa. Entro sei anni almeno il 16 per cento degli edifici dovranno essere a emissioni zero, il 22 per cento entro il 2035, il patrimonio pubblico deve risultare «ambientalmente neutro» entro il 2028 ed entro il 2030 si potranno costruire solo case a emissioni zero. Chi paga? Si dice che una parte dei fondi del Pnrr potranno essere dirottati allo scopo; di certo c’è che dal prossimo anno si azzerano i bonus caldaie e che entro 15 anni dovranno sparire del tutto gli impianti che utilizzano energia fossile. Una rivoluzione onerosissima che gli italiani forse non si possono permettere e che di certo non si può accollare lo Stato. Gli effetti sul mercato immobiliare già si fanno sentire. Per Federico Filippo Oriana presidente di Aspesi-Unione immobiliare «si andrà incontro a una svalutazione del patrimonio immobiliare tra il 30 e il 40 per cento». Per Giorgio Spaziani Testa di Confedilizia la «direttiva è irrealistica». Però le conseguenze sono reali.

Nomisma stima che già oggi un edificio in classe energetica A, la più virtuosa, costi il 68 per cento in più di uno in classe G. Anche ottenere mutui su edifici «non green» è complicato: le banche ormai non finanziano più acquisti oltre la classe C mentre – lo sottolinea Facile.it – su case totalmente green si può arrivare a tassi del 2,50 per cento contro il quasi 4,8 richiesto su altri immobili in un contesto di contrazione dei finanziamenti che, segnala la Federazione autonoma bancari italiani, è pari a meno 2,3 miliardi in un anno per effetto del caro interessi.

Proprio quest’ultimo ha determinato un crollo di dieci punti del mercato immobiliare in Italia, ma non va meglio nel resto del continente. Sempre Nomisma stima che fino al 2025 ci sarà una contrazione con prezzi in diminuzione. Tranne che nell’edilizia di lusso. Un esempio di scuola è diventato ormai Citylife, il nuovissimo quartiere di Milano dove alla torre Libeskind non si paga meno di 15 mila al metro quadrato. Comunque dentro l’Area C, in zona centrale, non si compra a meno di ottomila euro al metro. Secondo Marco Breglia di Scenari Immobiliari: «Dal 2020 le quotazioni delle case in centro a Milano sono aumentate del 15 per cento e così gli affitti, il triplo che nel resto d’Italia, ma meno che in Europa. A Parigi l’aumento è stato di 20 punti, a Berlino di 27».

Ad acquistare, come si è detto, sono i fondi esteri e italiani. Degli oltre 40 milioni di metri quadrati di superficie complessiva in gestione ai fondi, Milano «vale» 6,8 milioni di metri quadrati di immobili seguita da Roma con 6,5 milioni di metri quadrati. C’è quindi una migrazione verso le periferie e si cerca di fare affari, restando a Milano, nella zona della nuova linea blu della metropolitana. Ormai in Italia è comunque diaspora dalle città. Secondo Tecnocasa tra 2022 e 2023 si è avuta una flessione del 6 per cento di acquisti da parte di chi risiede in grandi centri. Solo il 54 per cento di chi risiedeva a Milano ha acquistato casa, il 31 ha scelto l’hinterland e il 12 si è spostato in altre province. Nella Capitale l’11 per cento di chi ci lavora preferisce avere la residenza altrove e quasi metà dei romani ha casa extra-Comune. Essere periferici in Italia pare un destino.

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