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Porto di Palermo: verso un hub del Mediterraneo

Porto di Palermo: verso un hub del Mediterraneo

Dopo tanto immobilismo, le banchine della città siciliana tornano a nuova vita grazie a investimenti e progetti di grande respiro. E a una visione consapevole delle sfide globali. Come spiega Pasqualino Monti, presidente dell’Autorità di Sistema portuale del Mare di Sicilia occidentale.


Pochi anni per cambiare un lungomare. Un primo passo concreto per cambiare l’entroterra e le politiche industriali della Sicilia e di pezzi del Mediterraneo. Marzo 2016. È difficile persino vedere il mare, per non parlare delle banchine del porto nascoste alla vista da edifici abusivi, mercati che rievocano fin troppo la mediterraneità del porto, bancarelle, montagne di detriti di cantieri aperti secoli addietro e mai chiusi. Marzo 2023. Due navi da crociera affiancano un terminal passeggeri nuovo di zecca, mentre una grande area verde e quello che, spiegano a chi scrive, diventerà un piccolo lago all’interno del porto, sono pronti a dare il benvenuto ai crocieristi. Al molo trapezoidale, è tutto un mondo nuovo. Un modernissimo terminal per gli aliscafi, tanto verde, e un’opera di riqualificazione che fa apparire questa parte del porto, addossata al centro storico, una piccola Miami mediterranea, con il valore aggiunto di storia e memorie del passato che certo alla Florida mancano.

È questa l’immagine del porto di Palermo. Dopo trent’anni, e forse più, di immobilismo, le cose sembrano essersi messe in moto, come dovrebbe accadere in molte parti d’Italia. Un interrogativo: «Qual è la formula per costruire le infrastrutture?». Risposta: «Costruirle». La replica sembra banale ma per Pasqualino Monti, attuale presidente dell’Autorità di Sistema portuale del Mare di Sicilia occidentale, non lo è affatto. Approdato nel 2017 ai vertici di un porto, quello di Palermo (con il contorno di quelli di Trapani, Termini Imerese, Porto Empedocle e più di recente anche Licata e Gela) da decenni impantanato fra inerzia, abusivismo e laissez-faire, Monti spiega i sei anni di investimenti.

Ha sbloccato investimenti per un miliardo di euro.

Possiamo dire di aver incrementato le entrate dei porti del Sistema, di aver costruito una delle più moderne stazioni crociere del Mediterraneo, attirando come investitori e gestori le più importanti compagnie del settore. E ora ci apprestiamo, dopo aver riportato alla luce le mura di un presidio archeologico come il Castello a Mare, e aver creato al centro del porto un parco urbano, anche a far costruire nel bel mezzo dello scalo marittimo un hotel a cinque stelle. Tutto questo in una prospettiva di pacificazione con la città… Che racconta storia e cultura, e che era squalificata nella sua parte di affaccio al mare. Questa era la prima missione.

Le altre?

La seconda missione era quella industriale, cioè far capire che i porti devono essere anelli forti di una filiera produttiva. Per mettere a sistema ciò che sta alle loro spalle. Nel 2022 noi abbiamo registrato incrementi in ogni singola filiera del 50 per cento rispetto al 2019, rispetto ai movimenti pre pandemia. Evidentemente tanto era su gomma e lungo lo Stretto. Adesso il porto di Palermo, grazie al miliardo di euro speso per gli investimenti è il punto di arrivo per la filiera industriale e presto diventerà il secondo bacino del Mediterraneo per dimensioni. In parallelo potremo sviluppare anche la terza missione, quella commerciale.

Il riferimento è al mondo delle crociere?

In generale alla possibilità di chiudere il cerchio. A fianco del terminal crocieristico dovrà sorgere un bacino per costruire ciò che serve agli armatori. Così si chiuderà il cerchio. Pensi che solo in questo modo abbiamo portato il numero degli addetti da 19 mila a 23 mila in circa cinque anni.

Dal suo punto di vista il fatto che il Mediterraneo sia tornato al centro dell’agenda politica sarà più facile o meno lavorare in un porto? Contro la burocrazia ha scritto e pubblicato un libro nel quale denuncia una solitudine analoga a quella dei numeri primi, il nuovo «piano Mattei» cambierà qualcosa?

La burocrazia resta un muro da abbattere. Ma celebriamo con piacere il fatto che il Mediterraneo sia tornato a essere al centro dell’Agenda internazionale, soprattutto celebriamo il fatto che il mare sia tornato al centro dell’agenda del governo. In anticipo anche rispetto ai proclami della premier Meloni sul ruolo di centro di smistamento energetico dell’Italia, lancia la sfida del grande «hub Sicilia» al centro del Mediterraneo, dove stimolare il reshoring di attività industriali, spostare centri produzione e creare occupazione.

In concreto?

Pensiamo al terminal di Gela e agli investimenti energetici che potrà attivare. Ecco, attorno a quel porto sarà necessario attivare laboratori di ricerca, poli di sviluppo. Così potranno consolidarsi i tasselli della politica energetica di questo Paese. I colossi mondiali non stanno fermi ad aspettare i nostri tempi.

A proposito di colossi. La Cina si sta muovendo con crescente intensità attorno a numerosi scali italiani dell’Adriatico, come Trieste e Ravenna. Ma soprattutto Taranto è al centro di frizioni e di spinte geopolitiche. A parte pochi che lanciano segnali di allarme, perché un simile silenzio?

Il silenzio spesso si deve a interessi politici, ma in molti casi anche al fatto che manca una percezione complessiva del «movimento tellurico» in atto. Oggi noi ci troviamo in una condizione che ci impone di comprendere questo fattore, capire che serve un contraltare agli interessi cinesi, che crei un equilibrio ed eviti all’Italia di diventare un vaso di coccio schiacciato tra superpotenze. Altrimenti perdiamo su tutta la linea.

Sicuro che basti bilanciare la Cina?

Non voglio dire che la Cina sia il male assoluto, ma bisogna comprendere la sua espansione e dobbiamo evitare che diventi una stella polare. Altrimenti ci saranno dei problemi. Noi non siamo di fronte a uno sviluppo casuale… La Cina è un Paese molto grande che ha compreso la centralità del Mediterraneo e sta muovendosi in maniera imponente.

Se da un lato si vede un fenomeno così importante, mi chiedo perché non ci debba essere un contraltare. Perché non c’è una mossa coordinata da parte dell’Occidente?

Quando si muove un emissario di Xi Jinping, c’è sempre un motivo fortemente geopolitico.

La guerra in Ucraina ha avuto come effetto una nuova centralità per il Mediterraneo?

Il nostro Paese si muove di fronte alle emergenze. È un po’ la costante degli italiani. Di certo l’invasione russa dell’Ucraina ha spezzato alcune tratte della via della Seta e riportato il Mediteranneo in primo piano nelle relazioni economiche e diplomatiche. Il governo è arrivato da poco, ma vedo che il concetto adesso è in cima all’agenda. Ed è un bene.

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