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Remanufactoring: la seconda vita delle cose è un business

Remanufactoring: la seconda vita delle cose è un business

Dalla tecnologia all’abbigliamento, passando per batterie elettriche e componenti di aerei. Al di là dell’opzione sociologica, riparare e rigenerare è diventato un affare. Che crea anche nuova occupazione.


Nei Repair Cafè le persone si incontrano per prolungare la vita dei loro prodotti. Qui trovano strumenti e materiali per aggiustare insieme agli specialisti oggetti danneggiati come mobili, vestiti e elettrodomestici. Nati ad Amsterdam nel 2009, oggi si contano oltre 2 mila Repair Cafè in tutto il mondo, Italia compresa. Invece, il gigante degli accessori per stampanti Lexmark raccoglie le proprie cartucce per stampanti e le restituisce a una fabbrica centrale per l’intera Europa da dove «tornano a nuova vita» dopo la rigenerazione. E poi c’è il marchio Patagonia che attraverso il progetto Worn Wear ha dato nuova vita a oltre 100 mila capi di abbigliamento attraverso i centri di riparazione, incoraggiando le persone a prendersi cura dei propri abiti.

È un trend dell’industria mondiale e un pilastro dell’«economia circolare»: smontare un oggetto già usato, sistemarlo e rigenerarlo per riportarlo sul mercato, garantendo qualità e prestazioni come quelle di un modello nuovo. I benefici del remanufacturing sono prima di tutto ambientali – si evita di utilizzare l’energia per trasformare una materia prima in un prodotto finito. Eliminando i vari passaggi – estrazione, raffinazione, assemblaggio – si preservano le risorse naturali e si riducono rifiuti e inquinamento. Il produttore guadagna di più rispetto alla fabbricazione ex novo e i clienti possono continuare a usare apparecchiature che non vengono più prodotte.

Con un altro, fondamentale vantaggio: si crea occupazione. Ecco che il remanufacturing – attività a elevato tasso di manodopera – può assorbire parte della disoccupazione dovuta a delocalizzazioni industriali e automazione. Include un vasto ventaglio di competenze: tecnici, ingegneri, scienziati, designer. E visto che il settore manifatturiero è il più grande datore di lavoro e il maggior contributore del Pil, in futuro la rigenerazione sarà sempre più centrale.

Con un potenziale di mercato dell’Unione europea vicino ai 100 miliardi di euro entro il 2030, può offrire lavoro a oltre mezzo milione di persone ed evitare circa 21 milioni di tonnellate di anidride carbonica equivalenti, secondo il Remanufacturing Market Study. È un settore in crescita e interessa la componentistica, l’elettronica nell’aerospaziale, le apparecchiature mediche e l’automotive. Soltanto quest’ultimo comparto e quello della costruzione di macchine industriali rappresentano, ciascuno, circa il 30 per cento del mercato. Con un valore totale di 4,7 miliardi di euro di pezzi di ricambio rigenerati venduti nel 2020, l’«aftermarket» automobilistico sta già contribuendo agli obiettivi di economia circolare proposti dalla Commissione europea nel Green deal (fonte: Clepa).

Tommaso D’Alessandro, Remanufacturing Manager per CNH Industrial, che sviluppa in tutto il mondo macchinari per agricoltura e costruzioni, spiega che l’azienda rigenera i motori e le componenti fondamentali dei suoi macchinari con una qualità equivalente al nuovo, permettendo al cliente un risparmio del 30 per cento. «Negli Stati Uniti in questo settore abbiamo risultati soddisfacenti e lo stiamo sviluppando anche in Europa». Poi suggerisce: «La Ue potrebbe avere un vantaggio dalla rigenerazione in tutti i settori dell’industria, permettendo di recuperare anche le infrastrutture non utilizzate. E la possibilità di reimpiegare le materie prime già prodotte per generare Pil rappresenta un’opportunità enorme, considerato che l’Italia deve acquistarle altrove per venderle».

Il valore totale del remanufacturing per l’aerospaziale nell’Unione è stimato in 12,4 miliardi di euro e conta 70 mila posti di lavoro. In questo campo la rigenerazione è stimolata dall’invecchiamento della flotta aerea che necessita di manutenzione. La Boeing, per esempio, riutilizza le parti ottenute dallo smontaggio di aerei fuori servizio e le certifica garantendo la qualità: un aereo «disassemblato» può fornire fino a 6 mila componenti.

Altro settore importante, quello delle attrezzature mediche. Grazie al progresso tecnologico i sistemi sanitari dell’Occidente hanno un rapido ricambio di macchinari come raggi X, risonanza magnetica, scanner per Tac. Attraverso la rigenerazione, questa ampia scorta di apparecchiature per l’assistenza usate potrebbe essere utile nei Paesi in via di sviluppo dove invece mancano.

Un terzo del fatturato europeo della «rigenerazione» è rappresentato dalla Germania. In Francia e Regno Unito ha dimensioni simili tra i due Paesi e corrisponde a circa la metà di quella tedesca. Il mercato italiano è invece più piccolo del previsto, considerando le dimensioni del settore della manifattura.

«Funziona molto bene negli Stati Uniti dove la produzione della rigenerazione vale 60 miliardi di dollari, con 180 mila posti di lavoro a tempo pieno» dice a Panorama Nabil Nasr, ceo del Remade Institute, il più grande programma di ricerca americano sulla rigenerazione, con oltre 140 milioni di dollari di finanziamenti. Qualche esempio? «Caterpillar è leader a livello mondiale. Ha creato un sistema a circuito chiuso: vende un prodotto rigenerato a un rivenditore e addebita un deposito di base sulla vendita. Quando lo stesso prodotto è restituito, viene rimborsato anche il deposito, abbassando così il costo totale della transazione per il cliente e garantendo un’elevata probabilità di ritorno. Se invece il prodotto non viene reso, si paga lo stesso prezzo di uno nuovo. Aziende europee come Renault e Siemens hanno un’eccellente storia di rigenerazione».

Sebbene sia una realtà in crescita, solo il 2 per cento dei prodotti viene recuperato, mentre tutti quelli arrivati «a fine vita» sono eliminati. Spiega David P. Fitzsimons direttore del Conseil Européen de Remanufacture: «Per far crescere il settore bisogna premiare le aziende che selezionano prodotti rigenerati. Se i produttori avessero questa opzione, aumenterebbe la domanda. I consumatori potrebbero invece cercare prodotti che sono stati progettati per la riparazione e acquistare telefoni, laptop e strumenti tecnologici ricondizionati».

Tra gli ostacoli maggiori che la «neo-industria» deve affrontare c’è il commercio internazionale. I rigeneratori recuperano componenti e materiali fuori uso (i cosiddetti «core») da tutto il mondo. Molti Paesi che rappresentano mercati-chiave vietano o limitano l’importazione di questi beni. «La confusione su come vengono descritti i processi e i prodotti provenienti da rigenerazione provoca percezioni sbagliate nei consumatori, politiche commerciali dannose e blocchi per garantire la qualità perché non esiste uno standard globale» riflette Nabil Nasr. Nonostante le barriere, promuovere il re-manufacturing è un elemento chiave nel ridurre le emissioni di CO2, che per circa il 45 per cento derivano dai cicli di vita dei prodotti. E, fondamentale, per generare nuove opportunità di guadagno.

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