Per impegnarsi nella prima organizzazione italiana degli agricoltori, ha lasciato il lavoro in Giappone e ha fatto ritorno nella sua Sardegna. Dove ha rilanciato l’azienda del padre.
I capelli si agitano al vento dell’Alta Marmilla, come rami di corallo nero nell’infinito zaffiro del mare di Oristano. Li porta lunghi con la frangetta: «Una volta all’anno però li taglio: a Natale. Come tutte le cose della natura, della campagna ricrescono». Sta qui, in un sorriso largo eppure increspato da un’impercettibile doglia, in occhi vivissimi color di mora l’enigma di Mariafrancesca Serra l’ingegnera-pastora che guida le donne di Coldiretti verso la piena affermazione di un’agricoltura colta, forte, femminile. Da quei capelli che lei dona ogni anno alle donne malate oncologiche che la chemio trasfigura inizia una storia di dolore e di riscatto. Come se Mariafrancesca fosse una «canna al vento». Solo che con le protagoniste di Grazia Deledda ha solo la sardità in comune.
Lei ha fatto della volontà di riscatto l’energia della sua vita. Somiglia piuttosto a Eleonora d’Arborea che nel Trecento regnò su questi sassi consegnando al mondo uno scatto di civiltà giuridica. «Sì è vero le mie pecore, le mie mucche pascolano nelle terre di Eleonora: chissà che lei non mi sorvegli dall’alto. Di sicuro come lei io m’impegno per la giustizia: la giusta retribuzione di chi fatica la terra, il giusto riconoscimento delle donne. Occorre aumentare il contributo di maternità, che ora è bassissimo. E poi lavorerò per accrescere la presenza femminile nei ruoli apicali».
È una storia esemplare quanto insolita quella di Mariafrancesca. Ha dovuto lasciare la famiglia e la sua terra che era ancora bambina. A 10 anni la mamma è morta di tumore e lei la onora con quel dono di sé, dei suoi capelli. È andata in collegio a Oristano, poi a Cagliari per lo Scientifico e poi l’università con la laurea in ingegneria edile. Vedere il mondo dalla basilica di Bonaria rende urgente spiccare il volo per allargare sempre di più gli orizzonti. Così approda all’Università di Arti Applicate di Vienna per un master in costruzioni ecosostenibili, poi a Roma Tre per una specializzazione come tecnico competente in acustica ambientale. Infine, il lavoro in Giappone. «Fin quando due anni fa mio papà non mi ha detto: Mariafrancesca, non sto bene, sono stanco, vendo tutto. Papà non voleva che tornassi in azienda: troppa fatica diceva, e poi una donna. Ma io sono più sarda di lui e mi sono imposta. E sono qui tra i miei animali».
La chiamano «l’ingegnera-pastora» e lei un po’ se ne compiace, un po’ ci scherza su, ma molto si prende sul serio. «È bene che io sia un’ingegnera come mi dicono. Ho messo in azienda il massimo della tecnologia: di fatto governo il gregge e la mandria da remoto. I miei capi sono registrati su una app, ciascuno ha un codice che mi dà tutte le informazioni su come e dove sta l’animale. Il benessere di pecore e vacche per me è fondamentale. Con l’app faccio l’ecografia per gestire al meglio l’alimentazione anche durante la gravidanza, so quanti sono i parti previsti e quindi quanti capi avrò in ogni momento. L’allevamento di precisione è praticato da una nicchia di operatori, ma questo è il futuro. Ora sto studiando un progetto grazie ai miei studi in acustica: utilizzare certe frequenze per far stare bene gli animali, diffondere musica per calmarli, per fare la migliore lattazione, per tenerli vicini».
Mariafrancesca ha deciso di condividere le sue conoscenze con altri allevatori e pensa a delle startup per migliorare il livello tecnologico in agricoltura. Del resto, spiega, le donne portano innovazione, metà delle aziende al femminile oltre a coltivare gestiscono agriturismo, agri-asili, fattorie didattiche, agri-campeggi e poi fanno prodotti per la cosmesi naturale, hanno grande attenzione al cibo e alla trasformazione, innovano con intelligenza e passione. Un progetto che a lei sta a cuore è l’inserimento di lavoratori svantaggiati o di donne che hanno subìto violenza e per questo sono nate speciali iniziative di accoglienza. Da quando guida le donne di Coldiretti fa la spola tra Roma e la sua Usellus, ma non rinuncia «a fare quello che so fare meglio: la “pastora 2.0”: mungo, vendo il latte, assisto ai parti, guido la transumanza, coltivo il foraggio per gli animali. La mia campagna è la mia libertà. Capita che talvolta mastichi un po’ amaro quando un cliente chiede di parlare con l’uomo di casa o quando esprimo la mia femminilità in contrasto con l’opinione che di zootecnia debbano occuparsene solo i maschi. Ma io mi do da fare per dimostrare che i confini e i limiti sono solo mentali e culturali». Impossibile avere da lei un’indiscrezione sulla vita privata, sui sentimenti, sulle ambizioni. Mariafrancesca descrive il suo mondo fatto di vento, di roccia, di animali che stanno bene e l’orizzonte è lungo come il cammino per una vera emancipazione femminile, per un’agricoltura colta ed equa nel compenso. «Un amore? Certo che c’è, è la mia terra. Il resto è solo vita».