Sono sempre più venduti i prodotti «private label», ossia con il marchio dei supermercati anziché con quello delle grandi aziende. Perché fanno risparmiare garantendo un’ottima qualità. E anche l’elettronica entra in questo mercato.
Fino a pochi anni fa erano considerati prodotti di serie B. Per un consumatore come quello italiano, corteggiato dalle griffe, acquistare un «private label», anche di un semplice detersivo, era considerata una scelta da portafoglio povero, un ripiego nei periodi di crisi. Una serie di pregiudizi ha sempre circondato questo mercato, che anziché brand «nobili» offre marchi privati riconosciuti e in grado di offrire un carrello della spesa vantaggioso. I private label sono infatti prodotti senza etichetta che le catene della grande distribuzione acquistano da fornitori o prodotti dalle stesse aziende che possiedono i big brand. Non avendo costi di marketing, come l’industria di marca, e riuscendo a saltare il passaggio del grossista, possono incassare margini più alti e vendere un prodotto, assimilabile a quello griffato, a un prezzo più basso del 20-25 per cento, in alcuni casi anche oltre il 40.
È evidente che se il produttore è il big brand, ciò che arriva sullo scaffale a listino ribassato non è totalmente sovrapponibile alla versione «alta»; ci possono essere differenze nella percentuale di alcuni ingredienti o nella provenienza delle materie prime, ma la qualità è garantita. In un periodo di alta inflazione, un mercato di questo tipo rappresenta un bel paracadute per il consumatore. I distributori, per fidelizzare i clienti, offrono di continuo prodotti qualitativamente in linea, se non superiori, ai competitori industriali. Si possono citare esempi nell’alimentare, come la Coop, Esselunga, Conad, Carrefour, che hanno assunto un’importanza a livello internazionale e investono in modo massiccio sui private label. Nel piano strategico 2026, Carrefour prevede un incremento deciso delle quote dei marchi privati, puntanto ad arrivare al 40 per cento rispetto all’attuale 33. Coop Italia ha come obiettivo, a breve, un’incidenza dei marchi del distributore del 50 per cento dell’assortimento totale.
Alcuni gruppi hanno lanciato linee specifiche in settori di particolare richiamo. Esselunga punta sul bio e il naturale, posizionandosi nell’area del benessere, mentre Conad valorizza le specialità regionali e il legame con il territorio. Secondo i dati NielsenIQ, raccolti per la Plma – Private Label Manufacturers Association, che rappresenta oltre 4 mila insegne in tutto il mondo, nel 2022 la quota di mercato delle etichette delle distribuzione, nel comparto «grocery» (il largo consumo confezionato) in Europa è arrivata al 37 per cento, in aumento del +1,2 sul 2021 per un valore di 302 miliardi di euro. I Paesi con la maggiore crescita sono Repubblica Ceca (+3,5 per cento), Portogallo (+2,9), Spagna (+2,2) e Ungheria (+2,2). In Italia i marchi del distributore valgono il 31 per cento delle vendite dei supermercati, ovvero un prodotto su tre. Al World of Private Lebel, la più importante fiera mondiale di categoria che si è svolta ad Amsterdam lo scorso maggio, il nostro Paese si è aggiudicato ben 14 riconoscimenti, con insegne come Md, Coop Italia, Crai, Despar e Vega.
Il Rapporto Coop 2023 sui consumi e stili di vita degli italiani ha messo in evidenza per il primo semestre dell’anno un calo del 3 per cento delle vendite a prezzi costanti, rispetto allo stesso periodo 2022. Mentre la nuova formula convince sempre di più: resta infatti elevata l’attenzione verso ciò che si mangia, con una predilezione per il made in Italy; e i marchi «poveri» assicurano anche attenzione all’ambiente e tracciabilità. «Ormai sono entrati nelle scelte dei consumatori in quasi tutte le categorie merceologiche. Laddove il valore aggiunto è basso, c’è una preferenza per il marchio privato di primo prezzo» afferma Eugenio Neri, direttore commerciale di Esselunga. Per private label di primo prezzo si intendono quelli con il minor costo nella categoria, inferiori di oltre la metà rispetto al brand leader. Neri spiega che «le vendite sono in salita per due motivi: negli anni la qualità è aumentata e i prezzi hanno subìto incrementi minori rispetto agli altri. La nostra politica è di mantenerli allineati a quelli più bassi del mercato per i prodotti confrontabili». Rispetto alle etichette di marca, precisa Neri, «ci sono politiche differenti. Le prime sono oggetto di promozioni costanti, i prodotti a nostro marchio hanno un prezzo fisso. Senza considerare l’aspetto promozionale, in media il costo continuativo è più basso del 20 per cento».
I marchi del distributore nel gruppo Selex, seconda catena della Gdo italiana dopo Conad, hanno registrato nel 2022 un incremento a doppia cifra (+18,5 per cento). Il direttore generale, Maniele Tasca, spiega che l’attenzione del consumatore è rivolta soprattuto ad «alimenti di maggior diffusione come latticini e salumi, pasta e riso, tonno, biscotti e merendine e alcune categorie di surgelati. Abbiamo notato una crescita anche nel settore della cura della casa e della persona, del pet food, dei prodotti salutistici e delle specialità regionali, che mantengono un ottimo rapporto qualità-prezzo». Tasca conferma che il vantaggio per il consumatore è significativo. «Confronto ai marchi leader della categoria, il risparmio è tra il 20 e il 30 per cento. Il minor costo è garantito anche attraverso panieri a prezzo bloccato e ribassato. In questo caso i clienti possono beneficiare di un ulteriore 10 per cento».
Quanto alle differenze qualitative, «sul piano tecnico sono minime e variano a seconda delle categorie» prosegue il manager. C’è ovviamente l’aspetto della percezione dei clienti, che monitoriamo con i nostri panel consumer, ma le votazioni mediamente si equivalgono». Il fenomeno delle private label si è così diffuso in ogni tipo di commercio. Nell’elettronica un esempio è Mediaworld, che ha un portafoglio di private label, Peaq (elettronica di consumo), Isy (accessori), Koenic (elettrodomestici). Decathlon nello sport o Ikea nell’arredo rappresentano fenomeni mondiali di aziende che hanno sposato questa via con distribuzione esclusiva. Anche i giganti del web propongono proprie linee brandizzate in concorrenza con i marchi più noti. Amazon è un caso di scuola. Con prodotti marchiati Amazon Basic, a cui si sono aggiunti, nel tempo, oltre 100 brand, copre, a basso costo, quasi tutti i settori merceologici in cui opera, dall’elettronica agli articoli per la casa fino all’abbigliamento. Così, mentre il carrello della spesa si riempie, il portafoglio si svuota un po’ meno.