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Il «tasso di scontro» nella Banca Centrale Europea

Il «tasso di scontro» nella Banca Centrale Europea

All’interno della Banca centrale europea c’è forte tensione sulle scelte monetarie. Per paura dell’inflazione si imita la Federal Reserve americana. Ma al di qua e al di là dall’Atlantico la situazione è molto diversa. E il rischio è di azzoppare l’economia del Vecchio continente. Intanto, in Russia…


Con il fiato sospeso in attesa del T-day, tra pochi giorni. Il 6 giugno si riunisce a Francoforte la Banca centrale europea per decidere se «allentare» i tassi. La Borsa ci crede; i governi, come il nostro, super indebitati ci sperano; gli istituti di credito fanno cassa e l’economia arranca. Christine Lagarde, numero uno della Bce, ha fatto sapere che tutto dipende dai numeri. La verità è che non sa bene che pesci prendere: per uno scherzo di calendario stavolta è lei a dover anticipare le mosse della Federal Reserve. Siccome da due anni, da quel 21 luglio 2022 quando ci fu il primo tardivo rialzo di un quarto di punto, lei procede a rimorchio di Jerome Powell stavolta può succedere di tutto. Gli analisti più ottimisti si spingono a dire che ci sarà un taglio dello 0,25 per cento. Lagarde è però sovente più ostinata della realtà. Le ragioni sono due; chi comanda davvero in Bce è Isabel Schnabel che ha un mandato esclusivo: fare gli interessi della Germania; l’Europa che conosciamo e la Bce che ne è la più alta sintesi è solo un’espressione finanziaria e di come funziona l’economia reale gli importa molto relativamente. C’è poi il contesto internazionale: l’economia di guerra. Stati Uniti, Russia e Cina mettono alla frusta la produzione e stimolano quanto più si può la crescita; l’Europa, con la sua visione tutta statistica e banca, va in direzione ostinata e contraria. Il Pil americano – le stime sono del Fondo monetario internazionale – viaggia verso il più 2,7 per cento, la Russia si prevede in crescita del 3,2 e la Cina al 4,6 (l’India fa paura col suo 6,8 per cento d’incremento) e l’area Euro stenta al più 0,8. La produzione industriale a marzo in America ha fatto più 0,4 per cento (più 3 su base annuale), in Russia più 0,8 (più 3,2 è la proiezione sul 2024), in Cina più 7 per cento, in Ue è calata del 3,2 per cento. Di contro, l’indice delle banche europee – certifica il Financial Times – nei primi tre mesi di quest’anno è cresciuto in Borsa del 36 per cento e sempre nel primo trimestre l’utile delle maggiori banche italiane è stato pari a 6,3 miliardi e si avvia a fine anno a superare il record del 2023 con profitti pari a 22,5 miliardi (più 64 per cento).

Ma c’è un altro numero che conta, anzi è decisivo: l’inflazione. Quella americana è al 3,4 per cento (incremento di aprile 0,3 sotto le attese), quella dell’area euro è al 2,4 di fatto stabile e se Powell ha agio di dire che non muove foglia almeno fino all’autunno anche perché ha occupazione e stipendi in crescita (più 175 mila occupati ad aprile e retribuzioni su dello 0,2 per cento a 34,75 dollari ora), nel Vecchio continente suona un’altra musica: secondo le previsioni di primavera della Commissione l’occupazione calerà dello 0,6 per cento e i salari non sono ancora tornati ai livelli pre-Covid. In 18 Stati le paghe minime sono inchiodate sotto i mille euro. Ecco, Christine Lagarde avrebbe lo spazio, o forse l’obbligo, per allentare i tassi. Lo farà? Difficile dirlo, ma soprattutto impossibile sperare che se anche ci fosse un aggiustamento questo significherebbe l’avvio di una fase al ribasso di lungo periodo.

La Bce teme che l’euro perda appeal rispetto al dollaro che è in rialzo, ma soprattutto è preoccupata dalla concorrenza dei titoli di Stato americani. Dunque continua a guardare oltreatlantico dove appare chiaro l’orientamento a tenere fermi i tassi. Raphael Bostic, presidente della Fed di Atlanta – una delle 12 articolazioni regionali della banca centrale statunitense – ha dichiarato: «Agiremo quando saremo certi che l’inflazione sia chiaramente su un percorso di ritorno al 2 per cento. Penso che ci vorrà un po’ di tempo». Più o meno sono le stesse espressioni della Bce, ma come si è visto, il quadro economico è diametralmente opposto. Uno studio approfondito condotto negli Usa da Mary Amiti, Oleg Itskhoki e David E. Weinstein e pubblicato dalla Fed di New York dimostra che sull’andamento dei prezzi hanno influito prima la restrizione dell’offerta e poi l’espansione di domanda. Secondo i tre economisti dal primo trimestre 2021 al primo trimestre 2022 l’aumento dei prezzi è dovuto all’instabilità globale. Dalla seconda metà del 2022 a dare impulso all’inflazione in America è stata la domanda interna. In Europa a fiaccare l’economia e a infiammare l’inflazione sono state le sanzioni alla Russia, il rimbalzo del costo dell’energia e ora c’è un nuovo rischio di strozzatura delle forniture per i conflitti in Medio Oriente e le imboscate degli Houthi. Il rischio è che riparta l’inflazione. Sull’energia qualche allarme già suona, ma se la Bce non allenta adesso l’economia si blocca.

Se in Europa il conflitto ha generato costi e stagnazione, in Russia non ha determinato il crollo del sistema economico. Spicca la figura di Èl’vira Nabiullina, la governatrice della Banca centrale della Federazione russa che tiene testa a Vladimir Putin, il quale le riconosce una caratura assoluta. La politica monetaria voluta dall’economista russa è stata l’arma che ha tenuto in piedi il Paese. Ha praticato continui rialzi dei tassi sino al 16 per cento per stabilizzare il rublo – si trova ai massimi contro dollaro – e ammortizzare la perdita di valore derivante dal crollo dell’esportazioni energetiche, ora che Mosca ha nuovi mercati e deve stimolare la domanda, la Nabiullina ha annunciato: «L’istituto vede spazio per tagliare il suo tasso di riferimento nel 2024, un taglio è più probabile nella seconda metà dell’anno».

Da giugno in avanti la Russia darà quindi corso a stimoli monetari. Che non si vedono in Europa e di cui invece ci sarebbe grande bisogno. Lo ha ribadito Piero Cipollone, membro italiano nel board di Francoforte, che incalza: «La Bce deve essere pronta a tagliare i tassi con rapidità». Dello stesso avviso e con ancor maggior vigore il governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta che proprio a Francoforte ha avvertito: «La Bce dovrebbe considerare il rischio che la politica monetaria possa diventare troppo restrittiva. Può provocare una profonda recessione, ma è anche troppo restrittiva se spinge l’inflazione al di sotto del target e provoca una stagnazione prolungata. Siamo abbastanza lontani dalla recessione, ma non possiamo ancora escludere la stagnazione».

L’osservatorio Findomestic stima che la propensione all’acquisto del 78 per cento degli italiani sia al punto più basso degli ultimi mesi, nella Gdo (supermercati) i volumi sono a meno 1,3 per cento, la crescita a valore è contenuta allo 0,4 per cento con il crollo dei beni durevoli. Le ragioni? Inflazione, ma anche perdita di potere d’acquisto e di risorse drenate dal caro mutui, causa tassi Bce. Per le imprese siamo a una contrazione del credito concesso del 7,7 per cento pari a 44 miliardi di euro nei primi tre mesi. L’Italia che col nuovo Patto di stabilità deve accantonare 10 miliardi all’anno per i prossimi sette al fine di ridurre il debito, e che ha visto in forza dei cresciuti interessi passare il servizio del debito da 60 a quasi 100 miliardi, attende con estrema urgenza una sforbiciata dei tassi. Ma a Francoforte nicchiano. Isabel Schnabel ha lasciato intendere che «a giugno un minimo taglio potrebbe essere appropriato, ma sulla base dei dati attuali un taglio a luglio non è giustificato». Al quotidiano giapponese Nikkei Shinbun ha confidato: «Dovremmo essere cauti: dopo tanti anni d’inflazione elevata e con i rischi di inflazione ancora verso l’alto, c’è il rischio di un allentamento prematuro». Tra una settimana, in seno al direttorio di politica monetaria, è probabile che si ripeta ciò che è avvenuto ad aprile. Per la prima volta è stato messo a verbale un severo contrasto tra «alcuni che si sentivano fiduciosi per una riduzione dei tassi e chi ha deciso di attendere con prudenza fino alla prossima riunione per avere sufficiente fiducia su un calo tempestivo e sostenibile dell’inflazione, verso il valore obiettivo del 2 per cento». Il taglio, minimo, forse ci sarà, ma di sicuro si va verso un forte tasso di scontro.

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