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C’è un fiume di denaro che scorre in Borsa

C’è un fiume di denaro  che scorre in Borsa

Wall Street ha messo il turbo (oltre il 10 per cento da inizio 2024) spinta dai titoli tecnologici. Piazza Affari non è da meno (oltre il 15 per cento), grazie anche alle performance delle banche. Un’immensa massa di denaro è alla ricerca di investimenti sicuri. Una più realistica politica sui tassi della Bce aiuterebbe una crescita finalmente solida.


Sono numeri da fare «Nvidia». Il calembour viene facile visto che la società californiana che produce microchip ha trascinato con i suoi continui rialzi le altre sei sorelle del virtuale: Apple, Microsoft, Google, Amazon, Tesla e Meta Platforms. A questo si aggiunge che la società guidata da Jen-Hsun Huang con incrementi delle quotazioni del 28 per cento da inizio anno è arrivata alla capitalizzazione iperbolica di 960 miliardi di dollari insidiando quella di Amazon. A Wall Street, che ha chiuso un trimestre da primato (l’indice S&P 500 ha toccato i massimi 21 volte dal primo gennaio e si è incrementato di oltre il 10 per cento mettendo a segno il primo trimestre migliore dal 2019, quando registrò un incremento del 13,1 per cento), dicono che non siamo in presenza di una bolla come quella di fine secolo quando tutti, affascinati dall’orizzonte tecnologico, scommettevano sulle cosiddette «dot.com». Ai giorni nostri l’indice Nasdaq ha debuttato nel nuovo anno con un più 44 per cento. Dicono anche che l’intelligenza artificiale sia una cosa seria. Se sapessero che per l’algoritmo di Facebook la Via crucis del Venerdì santo trasmessa da Radio Maria è come un porno – e per questo ha bloccato la sua trasmissione – forse si ricrederebbero. Ma il virtuale va di gran carriera. Il Bitcoin arrivato a 69 mila dollari pochi giorni fa – ha fatto il più 60 per cento da inizio gennaio – è ormai un bene rifugio.

L’Europa come suo solito resta a guardare; dell’euro digitale se ne parla molto, ma non se ne fa nulla. Lo strabismo europeo rispetto agli Usa è evidentissimo in questo paradosso delle Borse che sembrano immuni da tutti i conflitti, dai punti di crisi, perfino dalle scommesse future: una su tutte le elezioni americane ed europee. In presenza di tassi mai così alti le azioni continuano a tirare. La ragione? L’M2 – il modello che misura la liquidità in circolazione – da gennaio è aumentato di ottomila miliardi di dollari. Non c’è mai stato tanto denaro in giro: si stima che la ricchezza finanziaria sia quasi otto volte quella del Pil mondiale e che ci sia una liquidità disponibile pari a 190 trilioni di dollari. A fronte di queste cifre gli sforzi del governatore Jerome Powell – che li fa intelligentemente dalla Federal Reserve – e della presidente Christine Lagarde – che li fa spannometricamente dalla Banca centrale europea – di limitare l’inflazione sembrano più buone intenzioni che strumenti efficaci.

Solo che di qua e di là dell’Atlantico va in modo diverso. L’economia Usa continua a tirare (prevista crescita del Pil del 2 per cento), l’inflazione va in altalena, ma Powell si è convinto che sia ora di allentare: annuncia tre ribassi dei tassi da qui a fine anno. E torna l’euforia basata soprattutto su due pilastri: l’hi-tech e le banche. Che però non se la passano splendidamente come nella vecchia Europa se è vero che il colosso Morgan Stanley ha affidato la massima responsabilità a Ted Pick, l’uomo dei tempi di crisi. Da noi, in Europa, tutto è in crescita: l’azionario, l’obbligazionario, i beni rifugio con l’oro ai massimi. Solo due cose calano: la produzione e la domanda. La Lagarde però non sente ragioni di abbassare i tassi nonostante il governatore di Banca d’Italia Fabio Panetta insista perché si metta mano a un allentamento. Nell’area euro non si va oltre lo 0,8 per cento di crescita. Il tema di cosa succede ai tassi è cruciale. La Francia che ha seri problemi di debito deve sperare in un ribasso, la Germania anche se viaggia sul filo della recessione chiede un supplemento di rigore, l’Italia ha bisogno di tassi più leggeri per il debito e per evitare che si fermi il sistema produttivo. L’Istat lo ha messo nero su bianco: il «combinato disposto »di crisi tedesca e rigore della Bce mette a rischio un’impresa su quattro.

E allora perché Milano nell’ultimo anno e mezzo è cresciuta di quasi il 62 per cento ed è maglia rosa in Europa? Perché il Ftse Mib di Piazza Affari nel primo trimestre di quest’anno ha fatto più del 15 per cento con l’indice sopra i 34 mila punti come non accadeva dal 2008? Milano – guidata da Fabrizio Testa, a.d. di Borsa Italiana – ha fatto meglio anche di Wall Street (come detto, a oltre il 10 per cento) di Francoforte (più 10,5), di Parigi che cresce dell’ 8,8 per cento e di Madrid (9,6 per cento d’incremento). Le ragioni sono due: c’è un’euforia d’importazione legata al comparto dell’alta tecnologia (e pensare che il motore di tutto questo sono i microprocessori inventati da un fisico vicentino: il professor Federico Faggin ormai statunitense), ci sono gli utili delle banche. Gli istituti di credito italiani – che appaiono i più solidi in Europa – hanno fatto 22,5 miliardi di utili con un più 64 per cento: 8,6 miliardi UniCredit, 7,7 miliardi Intesa Sanpaolo, 2,05 miliardi Mps, 1,5 miliardi Bper e 1,26 Banco Bpm. Sono le «big five» che si aspettano risultati analoghi anche quest’anno. Sanno che la Bce non molla il freno. Invece ci scommette la Borsa, convinta che appena scenderanno i tassi, i soldi si sposteranno dall’obbligazionario – i risultati straordinari del Btp Valore confermano il ritorno del Btp people – di nuovo all’azionario.

Giancarlo Giorgetti, ministro dell’Economia, deve però collocare 400 miliardi di debito pubblico e lo sforamento dei conti del Superbonus (ormai ci si aggira verso un’incidenza di 70 miliardi quest’anno) non lascia tranquillo il governo. Che la faccenda sia delicata lo confermano le voci sempre più insistenti del possibile avvicendamento di Biagio Mazzotta, Ragioniere generale dello Stato, che avrebbe sbagliato le previsioni d’impatto del bonus sui conti dello Stato, sottostimandolo in larga misura.

Riepilogando, l’ipertrofia della Borsa si spiega con tanta liquidità e con una spinta di chi investe a diversificare. A latere c’è una crescita anche dei beni rifugio e degli investimenti in materie prime (questo gonfia i listini) che per adesso non deprime la domanda di obbligazioni. Ma la prospettiva non è così rosea. Per due motivi. Le manovre restrittive della Bce in Europa – al contrario di quanto avviene negli Stati Uniti – generano profitti per le banche, ma deprimono l’economia reale e allargano la forbice di ricchezza. La prova? In Europa e in Italia in particolare non ha mai girato così tanto denaro e non ci sono mai stati così tanti poveri: l’8,3 per cento della popolazione (più uno per cento in un anno) e gli italiani a rischio povertà sono il 19,7 per cento (più 2,2 in un anno). Il secondo motivo è che se si allentano i tassi può darsi che il risparmio fugga dal finanziamento del debito pubblico. Anche perché il Btp ha un pericolosissimo concorrente: l’oro. È arrivato a 64 euro al grammo; un record. La ragione va ricercata nei massicci acquisti che sta facendo la Cina -11 tonnellate solo a febbraio – e nella richiesta di usare i beni confiscati alla Russia per finanziare la guerra in Ucraina. Ciò significa che le riserve di un Paese o di una banca non sono più inviolabili. Ed ecco la corsa alla tesaurizzazione in beni non attaccabili, che si estende anche al piccolo risparmiatore. «Il quale è in parte disorientato» spiega Simone Gallai consulente finanziario di Banca Generali nell’Aretino. «Perché non sa se puntare al rendimento immediato o tesaurizzare. La richiesta è di un utile sul breve periodo nonostante ci siano disponibilità liquide rilevanti».

Banca Generali è oggi la prima «retail» in Italia; sotto la direzione del ceo Gian Maria Mossa è arrivata a una massa amministrata di 93 miliardi di euro. La situazione dell’Aretino è emblematica: si sono avuti il record di società di capitale in utile nel 2023 e una raffica di dismissioni d’imprese per mancato ricambio generazionale. Spiega Gallai: «Da una parte si incrementano i patrimoni, dall’altra si perde capacità produttiva. In un simile quadro chi si rivolge a noi chiede rendimenti certi e tutela del capitale. Dunque la strategia è utilizzare le performance dell’azionario per realizzare e poi entrare sull’obbligazionario e sui beni rifugio per mantenere. Cresce la domanda di risparmio gestito, ma non c’è una disponibilità a investimenti di lungo periodo. C’è una sorta di ansia da prestazione, in larga misura derivante dall’instabilità complessiva: conflitti, elezioni europee e americane, andamenti delle materie prime sono incognite per chi investe. Quanto ai tassi a me sembra che gli imprenditori siano più preoccupati dall’attuale costo del denaro che da dove mettere i soldi se calano». Anche in provincia la globalizzazione ha cambiato la propensione al risparmio. Durerà? Si accettano scommesse.

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