Home » Attualità » Energia » L’illusione elettrica e le alternative reali

L’illusione elettrica e le alternative reali

L’illusione elettrica e le alternative reali

L’obiettivo «zero emissioni» entro il 2035 è una chimera. Lo dice la Corte dei Conti europea, analizzando la politica Ue sulle batterie. Ma altre soluzioni sono possibili, e proprio in Italia.


Ce lo chiede l’Europa. O, meglio, ce lo chiedeva l’Europa. Bruxelles, infatti, rischia di restare indietro nella corsa per diventare una superpotenza mondiale nel campo delle auto elettriche. Il raggiungimento dell’obiettivo di zero emissioni entro il 2035, sulla carta fondamentale, è a oggi una chimera. Ad affermarlo non sono anti-europeisti o esagitati complottisti, ma la Corte dei conti europea che ha analizzato la politica industriale sponsorizzata dall’Ue in fatto di batterie. Uno dei punti chiave su cui si giocherà la politica economica energetica comunitaria. Per due motivi. Primo: quasi un’auto nuova su cinque immatricolata in Europa a partire già dal 2021 è un’elettrica ricaricabile; secondo: la vendita di auto nuove a diesel e a benzina verrà vietata nel 2035. Le batterie diventeranno quindi un imperativo strategico.

Non a caso tra il 2014 e il 2020, il settore delle batterie ha ricevuto almeno 1,7 miliardi di euro di sovvenzioni e garanzie sui prestiti Ue, in aggiunta a quasi 6 miliardi di aiuti di Stato autorizzati tra il 2019 e il 2021, principalmente in Germania, Francia ed Italia. Risultato? «L’industria europea delle batterie resta indietro rispetto ai concorrenti mondiali, in particolare la Cina, che rappresenta oltre il 76 per cento della capacità di produzione globale» scrivono i magistrati contabili. E questo perché «i fabbricanti di batterie potrebbero abbandonare l’Ue e trasferirsi in altre regioni, non da ultimo gli Stati Uniti, che offrono loro massicci incentivi». Senza dimenticare, altro aspetto fondamentale, che l’Europa è sprovvista di materie prime.

Qualche esempio? L’87 per cento delle importazioni di litio grezzo proviene dall’Australia, l’80 per cento delle importazioni di manganese dal Sud Africa e dal Gabon, il 68 per cento delle importazioni di cobalto grezzo dalla Repubblica democratica del Congo e il 40 per cento delle importazioni di grafite naturale grezza dalla Cina. Con l’aggravante che negli ultimi anni il costo delle stesse importazioni – causa anche la guerra in Ucraina – è aumentato vertiginosamente. Ma se da una parte l’Ue rischia di far svanire miliardi di euro in una politica economica fallimentare, sono diverse le alternative vere, concrete e rivoluzionarie che stanno nascendo nella nostra Italia e che potrebbero fare da scuola non solo in Europa, ma in tutto il mondo. Andiamo a Chiari, in provincia di Brescia, dove sorge l’«Arena del Futuro» della società Brebemi – Aleatica. Il progetto è semplice nella sua genialità: auto elettriche che si ricaricano non tramite colonnine e lunghe soste, ma semplicemente viaggiando su corsie dedicate, grazie a un innovativo sistema di piastre posizionate sotto l’asfalto che trasferiscono direttamente l’energia necessaria ai mezzi. Tutto questo tramite la tecnologia di ricarica ad induzione dinamica o DWPT (Dynamic Wireless Power Transfer). Non solo. «Abbiamo poi collocato diversi stalli di ricarica a induzione, questa volta statica e non dinamica. Ciò vuol dire che semplicemente l’auto si parcheggia in zone dedicate e, con lo stesso sistema, si ricarica per induzione», spiega a Panorama Matteo Milanesi, direttore generale della società. Il vantaggio? Sicurezza (non bisogna scendere dalla vettura) e, soprattutto, necessità ridotta di importare litio: «Aumentando l’autonomia si riduce il numero di batterie necessarie all’auto. Il che vuol dire più efficienza, meno peso e meno costi». Già, perché quel che non si dice è che ormai le batterie assorbono quasi il 50 per cento dei costi delle auto elettriche.

Ma non è finita qui. A Napoli da anni è attivo un progetto che vede più attori in campo, a cominciare dal capofila, l’ateneo Uniparthenope. Obiettivo? Realizzare mezzi a idrogeno. Solo pochi mesi fa proprio da Napoli è partito per la Spagna il primo, e unico al mondo, trattore a idrogeno. I risultati sono stati più che positivi: «È stato dimostrato sul campo che ha le stesse prestazioni di un veicolo tradizionale e nella movimentazione dei carichi garantisce un’autonomia superiore a quella di un turno di lavoro», spiega il docente di ingegneria dell’ateneo, Elio Jannelli, la mente dietro tale innovazione. Anche perché non ci si è fermati al trattore, ma sono state fabbricate anche auto, moto, biciclette. «Il vantaggio dell’idrogeno è che abbiamo autonomie comparabili a quelle dei veicoli tradizionali e possibilità di rifornire l’auto con tempi rapidissimi, praticamente uguali a quelli di un veicolo a benzina o a gasolio». Cosa che, a oggi, con l’elettrico non è garantita. A meno che non si voglia pensare a uno scenario futuristico di batterie che si ricaricano immediatamente. Impossibile? Solo per ora.

L’innovativa ricerca arriva da Pisa dove, dopo alcuni promettenti studi delle scuole Sant’Anna e Normale, una start-up sta lavorando per realizzare le prime “pile quantistiche” che, appunto, permetterebbero una ricarica istantanea. E se torniamo a Napoli ecco un’altra idea già sul mercato realizzata da un giovane ingegnere, Stanislao Montagna: una batteria che si ricarica con acqua del mare o, se si preferisce, con acqua e sale sfruttando il processo di elettrolisi. Innovazioni che, tanto per dire, magari un giorno consentiranno di sviluppare nuovi modi di intendere la mobilità marittima. Né c’è da sorprendersi, d’altronde, se si pensa che sempre in Italia è nato – e, a scanso di equivoci, l’abbiamo anche testato – il primo prototipo di micro-car ultra-tecnologica che si mette in moto non con le chiavi, ma tramite telefono (dotata anche di telecamere che registrano la stanchezza del volto). Si chiama Kinekar. E ha il vantaggio, tanto per dire, di rendere impossibile l’utilizzo del cellulare alla guida dato che, per partire, il telefono deve essere inserito in un vano apposito. Per la tranquillità dei genitori.

Tante idee e tante alternative da considerare. Anche nell’ottica dell’economia circolare. Perché un altro dei problemi relativi alle batterie è il loro smaltimento. A meno che non si voglia partire da quanto fatto da una start-up pugliese che, sfruttando l’acido citrico delle bucce d’arancia, riesce a riciclare batterie recuperando e vendendo i metalli preziosi in esse contenute: litio, cobalto, manganese, nichel. Resta solo da capire quando l’Unione europea deciderà di aprire gli occhi.

© Riproduzione Riservata