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Bollette roventi d’autunno

Bollette roventi d’autunno

Le bollette di luce e gas sono destinate a crescere nei prossimi mesi. È un concorso di cause negative tra mancata strategia comune a livello europeo e manovre internazionali, dove la Russia si conferma abile a vendere le sue risorse. A dispetto delle sanzioni dell’Occidente.


«co-ansia? No, piuttosto palpitazioni per le bollette». Risponde così Antonio Noto, uno dei sondaggisti che misura umori e tendenze sociali dell’Italia: «L’allarme per il cambiamento climatico e in genere le tematiche ambientali sono un sentimento generico; i più giovani lo percepiscono come problema, i genitori e i nonni sono preoccupati dalla benzina, dalla luce, e indicano come causa di questi rincari la guerra in Ucraina che non finisce». Con buona pace della presidente della Commisione Ue Ursula von der Leyen e del suo piano Green deal. La questione energia è uscita dai radar dell’informazione, dopo lo scorso autunno che fu da «shock petrolifero».

Davide Tabarelli, presidente di Nomisma energia, massimo esperto italiano del settore, richiama al realismo: «Sento i telegiornali che si stupiscono dell’estate che non finisce. C’è da fare il tifo per un autunno e un inverno miti perché sul fronte delle risorse energetiche non siamo messi affatto bene. I prezzi sono in tensione. Già oggi il differenziale tra il nostro Paese e gli Stati Uniti sul gas naturale liquefatto che loro ci vendono (sono diventati il primo fornitore, ndr) è ai limiti della sostenibilità economica». Stando alle ultime quotazioni il Gnl – è sempre agganciato al mercato TTF di Amsterdam – in Europa si paga 36 euro al metro cubo, le aziende americane spendono 6,6 dollari. Basta questo dato a spiegare perché metà industria tedesca che ha costruito il suo modello di sviluppo sul gas a prezzi stracciati in arrivo dalla Russia si sia precipitata in America? Ragioni geopolitiche di cui ci si occupa distrattamente fanno presagire che i prezzi dell’energia torneranno a infiammarsi e a rendere ricco – nonostante la «vulgata» contraria – anche Vladimir Putin.

Stefano Besseghini, presidente dell’Arera, l’agenzia che regola l’energia in Italia, quasi allargando le braccia ha dovuto annunciare: «Per il quarto trimestre 2023, da ottobre a dicembre, le bollette dell’energia elettrica nel mercato tutelato aumenteranno del 18,6 per cento». Sul gas non si pronuncia perché le quotazioni sono in una fase di forte volatilità. Tabarelli con Nomisma aveva stimato un rincaro di almeno 10 punti. A settembre, per l’appunto, c’è stato un aumento medio delle bollette del 4,8 per cento. L’Arera però sottolinea come, dall’«ottobre orribile» di un anno fa, ci sia stato però un ribasso delle tariffe del 57 per cento, ma sa di giustificazione per mettere le mani avanti in caso di futuri rincari. Il governo, da parte sua, è al lavoro per l’ennesima proroga del mercato tutelato. Nel 2024, dal 10 gennaio per il gas e da aprile per l’elettricità, si dovrebbe passare a quello «libero». Lo sanno bene gli italiani che nonostante l’iscrizione al Registro delle opposizioni per bloccare le chiamate pubblicitarie (il dubbio legittimo è che serva a qualcosa) ricevono telefonate per mirabolanti offerte. È allo studio una nuova proroga di almeno sei mesi della tutela pubblica. Almeno 15 milioni di famiglie infatti potranno avere forti difficoltà se scatta il mercato libero in questa fase. Il ministro competente, quello dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, ha anche fatto sapere che al di là delle misure di salvaguardia, ma si tratta di dati di fine agosto scorso, «abbiamo il 91 per cento di riserve», e sui prezzi «credo non si vedranno più i 330 euro al megawattora».

Intanto, si aspetta che ripartano le trivellazioni nazionali annunciate un anno fa. «Siamo in riserva» soprattutto per colpa dell’Europa. Che continua a raccontare la favola delle energie rinnovabili. In Italia meno del 36 per cento è soddisfatto dalle «pile» verdi. Al tempo stesso, lo «switch« della Germania – che ha spento il nucleare, ma riacceso il carbone – farà crescere le emissioni continentali del 5 per cento. Bruxelles continua a farsi scudo del cosiddetto piano RepowerUe, di fatto non fa nulla per dare davvero sostanza agli acquisti collettivi di gas. La piattaforma comune scade a dicembre. Eppure la commissaria all’Energia Kadri Simson, dopo le sanzioni a Mosca, aveva invocato il «tutti per uno, uno per tutti». Invece, siamo al «si salvi chi può». Con la Germania che fa i propri interessi: basti dire che fino a luglio la sanzionata Russia è comunque il secondo fornitore dell’Ue con 13 miliardi di metri cubi (primo sono gli Usa con le navi gasiere). Lo comprano i belgi che attraverso i metanodotti lo smistano in Francia e, appunto, in Germania. Anche la Spagna, che ha un surplus di acquisti di Gnl, s’ingegna. È la prova che siamo in riserva e che ognuno fa per sé. Altro numero significativo, la piattaforma comune ha lanciato tre aste per acquistare metano: in totale si sono richiesti 50 miliardi di metri cubi, l’Europa in un anno ne consuma 400.

Oltre al mancato accordo nell’Ue, il rischio è che il rincaro di gas e petrolio diventi senza freni. Arabia Saudita e Russia hanno stretto un accordo per tagliare la produzione del greggio, oggi a 100 dollari al barile; la previsione è che se riparte l’economia cinese si arrivi ai 160. L’organizzazione dei produttori Opec+, dunque Russia compresa e Stati satellite, alla fine hanno ridotto le forniture di oltre 2 milioni di barili al giorno. È una manovra che rischia di vanificare le politiche di stretta monetaria decisa dalla numero uno della Banca centrale europea Christine Lagarde per contenere l’inflazione (strozzando così, va ricordato, l’economia). Lagarde spera che l’energia a prezzi più contenuti possa dare una mano. In ottobre ci confronteremo con l’inflazione dello stesso mese del 2022, quando si registrò la fiammata dell’energia impazzita ed è chiaro che il tendenziale (ovvero il confronto anno su anno) scenderà a precipizio. Si tratta, però, di un fenomeno di «fata morgana»: andrà misurato l’aumento dell’inflazione mensile e, se le bollette pesano come si annuncia, non ci sarà da stare allegri.

Anche perché c’è un altro fattore: la stretta sui tassi decisi dalla Bce ha indebolito l’euro che da agosto ha iniziato a scendere sul dollaro (siamo a 1 contro 1,05). E siccome l’energia si paga in divisa Usa – altro fallimento della politica di Bruxelles che non è riuscita a far diventare l’euro moneta di riferimento del mercato energetico, neppure di quello domestico – non solo ci costa di più, ma importiamo altra inflazione. Che si scarica anche sui costi di raffinazione rendendo benzina e diesel sempre più cari e innescando un circolo vizioso inflattivo. Se si confrontano i prezzi con quelli 2021 – lo scorso anno fu un’eccezione – la spesa attuale del gas è cresciuta del 6,9 per cento, rispetto al 2020 siamo oltre il 50. Per le imprese il conto sale al 70 per cento rispetto ad anni «normali». E tutto questo mentre Arabia e Russia condizionano il mercato estraendo meno petrolio, con l’America che con il suo «shale oil», ottenuto dalle rocce di scisto, non tiene il passo della domanda. Putin si è imposto così al centro del mercato, al ritmo di 8 milioni di barili venduti al giorno nel 2023. Attraverso società commerciali in Arabia e a Hong Kong intermedia il greggio che viene richiesto alla Russia. Ha anche il vantaggio di poter raffinare, mentre in Europa i costi industriali crescono – causa Green deal e tasse sulle emissioni di CO2 – e la capacità di trasformazione cala.

Oggi la domanda globale di petrolio ha raggiunto il record di 102,2 milioni di barili al giorno. Perciò è saltato il «price cap», il metodo di regolamentazione che l’Europa si era illusa di imporre al petrolio russo. Al livello attuale dei prezzi, Putin nel 2024 potrebbe incassare 188 miliardi di dollari. Portando i «fossili» anche in Europa con petroliere «fantasma»: ex navi greche vendute a società off-shore. Secondo Kpler, la più importante società di analisi del mercato dei combustibili, nel 2023 l’Unione europea ha comprato da Mosca il 40 per cento in più di Gnl rispetto al 2021, pagando 5 miliardi di euro. A guadagnarci anche la Total francese: possiede giacimenti in Siberia da cui arriva oggi il Gnl che la Russia ci ha venduto – il 15 per cento del nostro fabbisogno – scontato rispetto al prezzo che praticano gli Usa. In ogni caso, gli Stati Uniti hanno fatto ottimi affari con l’Europa: hanno aumentato del 137 per cento le vendite di gas, oltre a 3,4 milioni di barili di petrolio e 3 milioni di barili di altri prodotti raffinati al giorno. Se ci si chiede perché il Vecchio Continente sia in riserva e a chi giovino le sanzioni, forse una risposta c’è.

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