Le competenze in fatto di energia atomica si sono frammentate da decenni. È il momento di ripensare agenzie ed enti, per prepararsi a un passo che appare inevitabile. Intanto, una prima «Piattaforma nazionale» è già qui.
Più potenza elettrica. Se c’è una certezza in Europa è quella: i Paesi tendono a richiedere sempre più energia. Non soltanto per la diffusione della mobilità con le batterie, ma anche per l’abbandono di sistemi domestici basati sul gas. Così, 36 anni dopo il referendum che in Italia stoppò la produzione di quella dal nucleare, si è capito che non abbiamo alternativa, e pur senza arrivare ad agire come la Francia (che produce dall’atomo oltre il 70 per cento del suo fabbisogno), dobbiamo reinserire le centrali per la fissione tra le fonti energetiche del prossimo futuro. Ma certo scegliendo tecnologie evolute applicate a nuovi reattori, specialmente quelli piccoli e modulari. Ce l’hanno fatta l’India e gli Emirati Arabi Uniti, ed anche la Turchia, che stanno perseguendo politiche per aumentare il numero delle centrali.
Coerente con quanto detto in campagna elettorale, l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni sta quindi cominciando a riorganizzare il nucleare italiano a partire da «chi fa che cosa», poiché nel nostro Paese le competenze in fatto d’energia da atomo sono sparpagliate in un dedalo di enti. Sogin (per il decommissionamento delle vecchie centrali e lo smaltimento delle scorie), Rse (Ricerca sul sistema energetico), Enea (già Ente nazionale energia atomica, che l’onda giallo-green ha trasformato in Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile), Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, che lavora con Euratom), Isin (Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare); e naturalmente gli organi internazionali come l’agenzia internazionale Iaea, che fa capo all’Onu, e il suo recente braccio più tecnico e innovativo, l’Inpro (international Project on Innovative Reactors and fuel cycles), che si occupa proprio dei reattori di nuova generazione. Ci sono poi le associazioni nazionali come l’Ain, i consorzi universitari specializzati e altre entità che, seppure non tutte pagate dai contribuenti, dicono la loro.
Così la «Piattaforma nazionale per un nucleare sostenibile», avviata ufficialmente il 21 settembre, come ha spiegato una nota del dicastero diretto dal ministro Gilberto Pichetto Fratin, sarà il soggetto di raccordo e coordinamento fra tutti i diversi attori nazionali che a vario titolo si occupano di energia nucleare, sicurezza, radioprotezione e rifiuti radioattivi. Il coordinamento sarà del ministero stesso, e i primi attori che dovranno agire per rimettere in piedi il nostro nucleare saranno Rse ed Enea.
Tra le tante cose da fare, c’è anche riattivare la formazione di specialisti a partire dall’università, poiché uno degli effetti più lenti e silenti del referendum antinucleare del 1987 è stata proprio la riduzione al lumicino dell’offerta formativa universitaria specializzata, anche perché secondo quanto diffuso dal Consorzio università italiane Ricerca nucleare, sta aumentando tra i giovani l’interesse per l’energia atomica anche se nel 2018 erano stati quasi azzerati i fondi per la ricerca sulla fissione. Ma seppur abbiamo ingegneri, ormai mancano i tecnici, ovvero elettricisti, informatici e altri specialisti che sappiano agire in ambiente nucleare. E su questo sarà necessario lavorare poiché coloro che erano in servizio nelle centrali di Trino vercellese o Caorso sono ormai in pensione e comunque esperti sì, ma in tecnologie ovunque superate.
In realtà la prima mossa dell’esecutivo in tema di energia nucleare è stata fatta nel luglio scorso, quando a Montecitorio l’Associazione italiana nucleare guidata da Stefano Monti aveva illustrato «Nucleare in Italia: scenari e prospettive». Nella presentazione era emerso come, prima di compiere investimenti tecnici, fosse necessario riordinare competenze e scopi delle agenzie esistenti nel settore tornando a essere un Paese «pronto a sfruttare le tecnologie necessarie per raggiungere i target climatici e primeggiare nell’industria», come disse lo stesso Pichetto Fratin. Così il primo passo è proprio rendere efficienti le infrastrutture di base, come anche raccomandato dalla stessa Agenzia internazionale per l’energia atomica (Iaea), ovvero avere un organo coordinatore che parli direttamente al governo. Seppure una delle conseguenze del referendum post-Chernobyl fu quello di impedire all’Enel di partecipare alla costruzione di centrali all’estero, l’industria italiana ha continuato a contribuire fattivamente in progetti internazionali, partecipando a operazioni innovative fino ai lavori per estendere la vita operativa di centrali esistenti.
Quindi le competenze esistono e bisogna sfruttarle per accorciare i tempi. Il nuovo nucleare italiano vedrà la costruzione di reattori di terza generazione – se non a lungo periodo di quarta – di quelli piccoli e modulari e di quelli detti «veloci». Come vuole fare Ansaldo Energia, che non ha mai smesso di operare all’estero e che nel marzo scorso aveva annunciato un accordo con Edison e con il produttore di energia nucleare numero uno al mondo, Edf. L’idea è proprio proporre il nucleare in modo complementare alle fonti rinnovabili con l’utilizzo dei piccoli reattori modulari.
Allo spegnimento delle vecchie centrali italiane seguì l’azzeramento di forniture e servizi, per questo motivo, in fatto di infrastrutture necessarie, secondo la Iaea si intendono anche quelle non materiali, come un regolamento nazionale per l’approvvigionamento di combustibile, le garanzie di non proliferazione, in totale una ventina di azioni da dimostrare, a cominciare dall’avere una posizione nazionale chiara che però si potrà vedere soltanto dopo aver raccolto le richieste a livello nazionale. E da qui il primo lavoro della nuova Piattaforma del ministero.
La Iaea vuole anche poter analizzare il Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (Pniec), in modo da controllare che il ritorno all’uso dell’energia nucleare porti effettivamente vantaggio alla decarbonizzazione. A quel punto sarà necessario approvare un quadro legislativo che consenta la costruzione di nuovi impianti e le loro caratteristiche e compatibilità con l’ambiente. Una storia già sentita per la realizzazione del Deposito nazionale delle scorie, che al momento attende la pubblicazione della mappa dei siti compatibili (che si chiama Cnapi e la deve approvare l’Isin), e l’attivazione del meccanismo che permette alle istituzioni locali di offrire la propria disponibilità. Alcune delle agenzie italiane che si occupano di nucleare dovranno essere rafforzate nelle dotazioni e nelle competenze, come l’Isin, che dopo lo stop al nucleare non ha più potuto occuparsi di autorizzare nuove costruzioni.
Tutte azioni dai tempi lunghi, quindi è necessario che le regole del nuovo nucleare italiano possano attraversare almeno tre legislature senza subire ribaltoni. Varata la Piattaforma, il rischio è infatti anche quello di perdersi in mille rivoli normativi e burocratici e, se non potremo contare su una cabina di regia che possa agire rapidamente coordinando gli enti senza soffrire di troppi lacciuoli, l’impresa di tornare a produrre energia dal nucleare fallirà. Forse nelle parole dette da Giorgia Meloni all’ultimo Gran Premio di Monza «Dobbiamo correre di più» è anche l’invito a muoversi in questa direzione.