Maria Porro, presidente del Salone Internazionale del Mobile, racconta a Panorama le novità della manifestazione in calendario dal 16 al 21 aprile prossimi, annunciando interventi degli ospiti e nuove riscritture dei codici fieristici. Per guardare e immaginare il futuro.
La necessità di riscrivere i codici di fruizione del Salone Internazionale del Mobile, attraverso una grammatica più moderna in grado, non solo di superare il concetto usurato di fiera, ma soprattutto di studiare nuovi modi di comunicare contenuti, la si riconosce già nell’impostazione della conferenza stampa di presentazione della prossima edizione della manifestazione, in calendario dal 16 al 21 aprile. Non una classica esposizione di ciò che si vedrà a Rho Fiera, ma un «vero evento nell’evento» per dirla con le parole della stessa presidente Maria Porro, che ha voluto la conferenza, non a caso, al Piccolo Teatro di Milano, con tanto di performance teatrale a cura del gruppo Sotterraneo, alla quale si aggiunga il video di Andrea Branzi, l’architetto scomparso lo scorso novembre: un racconto intenso, voluto e realizzato dalla famiglia con girati ritrovati tra volumi e documenti della biblioteca di casa. «Un modo per ricordare anche altri architetti come Italo Lupi e Rodolfo Dordoni scomparsi in quest’ultimo anno», sottolinea la Porro. Ma il vero effetto speciale arriva con l’annuncio di un nome, apparentemente estraneo al mondo del design, preso in prestito da Hollywood, quello del poliedrico regista americano David Lynch.
Presidente Porro, cosa farà Lynch al Salone?
L’idea è nata dalla convinzione che guardare il nostro mondo da un punto speciale come quello del cinema potesse essere interessante, così abbiamo pensato a questo regista perché è un visionario, il suo cinema non ha un approccio descrittivo e i suoi film guardano sempre oltre. Inoltre è innegabile la cura che mette nello scegliere location, ambientazioni, e soprattutto gli interni delle case. Che a quanto racconta lui stesso considera spazi facenti parte dell’interiorità di chi le abita e le vive, veri specchi delle personalità individuali. Cosa di cui ci si rende conto analizzando alcuni suoi film dove mondo interiore e mondo esterno spesso coincidono, generando cortocircuiti significativi. Non a caso, l’installazione che farà all’interno del Salone prende proprio il nome di «Interiors».
Si dice che Lynch non sia una persona facile, ha accettato subito il vostro invito?
Abbiamo avuto vari incontri virtuali e la sua adesione al progetto non è stata sconatata. ma quando gli abbiamo parlato di questa riscrittura del formato Salone, mostrandogli anche l’esperienza Euroluce, ha capito. Inoltre per realizzare l’impianto scenico della sua installazione abbiamo coinvolto il laboratorio del Piccolo Teatro: una scelta apprezzata da Lynch. Quindi diciamo che l’abbiamo conquistato un pezzo alla volta con la nostra coerenza e con la stessa voglia di avere un risultato di altissimo livello.
Ci può anticipare qualcosa su come sarà?
È un’installazione che dal punto di vista dello spazio appare concentrata, un vero gioiello posizionato al centro della fiera, un varco che permette di accedere a un altro mondo. E che promuove l’idea che il design degli interni offra la possibilità di entrare anche all’interno si noi stessi. Non aggiungo altro per non rovinare l’esperienza.
Il teatro, il cinema, le installazioni, una serie di progetti condivisi con varie discipline con l’intento di cambiare il format Salone. È una richiesta che viene dal basso, dall’alto, dagli espositori, dai visitatori?
Tutto viene da un processo di lungo ascolto: noi abbiamo fatto otto workshop dedicati alle due Biennali della cucina e del bagno, nel 2023 abbiamo effettuato più di 1.200 interviste in fiera. Arrivo da un tour mondiale che ha toccato la Cina, gli Stati Uniti, diversi Paesi europei e sto partendo per l’India. Sono momenti di confronto con la stampa locale, con le associazioni di categoria, con gli architetti e i designer. Tutto questo perché crediamo che da un lato ci sia la necessità di raccontare cos’è il Salone come «ecosistema», cosa genera, qual è la sua storia, il suo heritage e il suo peso valoriale. Al tempo stesso credo che, nel momento in cui si tenta di trovare una chiave evolutiva, sia importante confrontarsi con i vari soggetti coinvolti. In ogni caso, tutto il progetto Salone viene dall’idea di mettere al centro i visitatori, coinvolgendoli in un’esperienza che offra la sensazione di essere imperdibile.
Potrebbe spiegare meglio questa sensazione?
In sostanza, lo spettatore deve percepire l’idea che quello che sta accadendo può succedere solo lì e in nessun altro luogo. Quindi, ecco la scelta di David Lynch, di un’istallazione sull’acqua per il padiglione del bagno, oppure di avere ogni giorno un food designer diverso in occasione della Biennale Cucina, senza parlare dei talk che terranno famosi architetti. Insomma. tutti questi sforzi – in alcuni casi titanici – sono rivolti al visitatore. Lo stesso si dica per gli espositori chiamati ad allestire non un semplice stand, ma la loro idea di abitare. Per far sì che attraversare i corridoi del Salone del Mobile diventi un’esperienza che non si può vivere in nessun’altra parte del mondo.
E questo, si suppone, dovrebbe servire anche a massimizzare gli investimenti economici degli espositori.
Senza dubbio. Stiamo lavorando tantissimo sull’esperienza di visita ma anche sulla qualità del visitatore, cioè sull’audience giusta, sui buyer giusti, sugli architetti giusti. E anche sulle nuove generazioni, perché se vogliamo dare un futuro al design e al made in Italy è necessario coinvolgere i più giovani.
Il Salone Satellite dedicato alle promesse del design compie 25 anni, come festeggerete?
Con una grande mostra in Triennale a cura di Beppe Finessi e naturalmente Marva Griffin, la fondatrice del Salone Satellite dal quale in questi anni sono passati 14 mila studenti. Altro non sono autorizzata a dire.
Ci può anticipare, invece, cosa accadrà alle Biennali bagno e cucina?
Per il Bagno, ci sarà un’installazione sull’acqua curata da Emiliano Ponzi, un illustratore fantastico, già artefice della campagna per i 60 anni della Manifestazione, insieme a Accurat e Design Group Italia, due studi che si occupano anche di analisi dei dati, quindi forniranno informazioni sullo stato dell’industria produttrice rispetto a tematiche come quella dell’ambiente e dei comportamenti rispettosi nei confronti del pianeta.
Per la Cucina ci saranno invece degli chef?
Non degli chef bensì dei food designer, quindi specialisti dell’estetica del cibo, esperti dell’immagine del piatto e di come essa influenzi chi lo assapora. È una disciplina interessante in dialogo anche con chi poi progetta le cucine, un ulteriore passo avanti nella ricerca della ristorazione.
È vero che avete fatto ricorso anche alle neuroscienze per testare il layout del Salone?
Sì, abbiamo usato le neuroscienze per misurare l’esperienza di visita, chiedendo a più di 30 persone con un corredo di elettrodi e Oculus di percorrere i corridoi della fiera. Da questa esplorazione sono emerse diverse suggestioni rispetto alle vie di fuga, agli incroci oppure alle zone di pausa e nella ricostruzione di un percorso per questa città ideale abbiamo tenuto conto delle diverse reazioni. Perché sappiamo che 123 mila metri quadri possono portare a quella che si chiama «fatica da museo», dunque per evitare effetti negativi abbiamo interpellato le neuroscienze, per migliorare l’esperienza di visita e tenere alta e costante la soglia d’attenzione.
Per sintetizzare, qual è il titolo di questa riscrittura del Salone?
Direi: il Salone sta sulla frontiera, dove il design evolve. Da sempre il design guarda al futuro e il Salone è uno specchio di questo futuro immaginato da architetti e aziende. Le installazioni, invece, vogliono essere sulla frontiera per cercare di spingere lo sguardo ancora più lontano.


