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Il grande bluff del riarmo dell’Unione Europea (e tutte le trappole per i cittadini)

Il grande bluff del riarmo dell’Unione Europea (e tutte le trappole per i cittadini)

Al parlamento UE, secondo voto pro Ursula von der Leyen per il sostegno al piano per la Difesa al 2030. La difesa dell’Europa si scontra con scarsità di risorse, forze militari insufficienti, competizione tra Stati per il comando. Così, nell’Unione, si prospettano «tasse di scopo» e persino la leva obbligatoria. E in questa ricostruzione degli arsenali da centinaia di miliardi di euro, c’è un Paese che ne approfitta: la Germania.

iamo alla vigilia dei 1.550 anni dalla caduta dell’impero romano. A dar retta a Niccolò Machiavelli «tutti li tempi tornano, li uomini son sempre li medesimi». Forse così va considerata la fretta con cui la presidente della Commissione europea ha chiamato alle armi la Ue, imbarcando anche il primo ministro britannico Keir Starmer, il leader canadese ancorché in attesa di giudizio elettorale Mark Carney e il rappresentante di Ankara Hakan Fidan, ministro degli Esteri e delfino di quel Recep Tayyip Erdogan a cui le elezioni piacciono solo se vince lui. Guest star è sempre stato Volodymyr Zelensky, il presidente «mimetico» dell’Ucraina in compagnia di Mark Rutte, segretario generale di una Nato che è pagata dagli Stati Uniti ma ha una gran voglia di ubbidire a Bruxelles. 

Tra i vertici che si sono susseguiti non si è ben capito chi abbia la leadership: se la baronessa-presidente tedesca Ursula von der Leyen; se Emmanuel Macron, il presidente francese in bilico che intende diventare il Generale Europa; se Keir Starmer, che sta mettendo su l’armata dei «volenterosi».  Una cosa è sicura: il nemico dichiarato si chiama Vladimir Putin, zar di tutte le Russie, ma l’arci-antipatico è Donald Trump. Che c’entra la caduta dell’impero romano? Von der Leyen con Friedrich Merz – leader dei democristiani tedeschi – cancelliere di fatto, paiono orientati a interpretare la parte di Odoacre. Giorgia Meloni, che la storia del 476 d.C. se la ricorda meglio, non ha però alcuna intenzione di fare la fine di Romolo Augustolo, l’ultimo imperatore. 

Spieghiamo. Tutto ruota attorno al progetto che la baronessa ha presentato e si è fatta approvare dall’Europarlamento con l’infelice nome di ReArm Europe – subito ribattezzato con una piroetta d’ipocrisia il «Piano prontezza» – che prevede una spesa di 800 miliardi di euro per la difesa del Vecchio continente. Un’ipoteca sul futuro, questo riarmo. Con quattro non trascurabili particolari: i soldi, i soldati, i comandanti e le concordanze politiche non ci sono. Eppure, nel poker mondiale, la Von der Leyen ha scelto il grande bluff. Come 15 secoli fa: allora c’era stata una pandemia, c’erano il crollo demografico e una pesante crisi economica.  Con queste remote coordinate c’è un primo punto per giudicare il ReArm Europe: la demografia. La Ue non ha i militari, come non è d’accordo sulle armi stesse, a partire dai missili: i tedeschi invocano i Patriot americani, Parigi e Roma spingono per i nostrani Samp/T.  La presidente della Commissione, però, sta seguendo lo schema Covid: diffondendo un allarme a più non posso per far diventare condiviso ciò che in partenza risultava inaccettabile. Come appunto l’idea che l’Unione debba tornare in trincea. Eppure gli europei erano convinti che Bruxelles avrebbe garantito la pace evitando errori e orrori del Novecento, con il «non detto» di impedire per sempre un riarmo alla Germania…

 Il risultato è che l’unico Paese in grado di costituire da solo un grande arsenale è proprio la nazione tedesca; da qui «l’effetto Odoacre». Che si materializzerà quando l’Europa sarà costretta a importare mercenari. Andò così anche 15 secoli fa: Odoacre si mise alla testa delle legioni germaniche… Oggi l’Europa – compresa la Gran Bretagna – dispone di 1,4 milioni di militari e con la riserva si arriva a 2,6 milioni. Putin conta su 3,2 milioni di soldati. Se Donald Trump ritirasse le sue truppe servirebbero almeno altri 300 mila uomini.  Ma dal 2021 nel continente si registrano più morti che nati e già oggi sono soltanto i migranti – poco meno del 10 per cento degli europei – a garantire la tenuta demografica. L’età media è di 44,7 anni; e dopo i 45 non si può essere reclutati! Così, per rafforzare i battaglioni, si fa strada l’idea di tornare alla leva obbligatoria. Attualmente solo in nove Stati della Ue – Cipro, Grecia, Austria, Lituania, Lettonia, Estonia, Finlandia, Svezia e Danimarca – c’è la «ferma», ma a Bruxelles c’è una proposta tedesca per il servizio militare per legge.

Il nostro ministro della difesa Guido Crosetto – assai tiepido come Giorgia Meloni sul ReArm, l’Italia vuole muoversi in ambito Nato e in accordo con gli Stati Uniti – ha già detto: «Le forze armate hanno bisogno di professionalità, non è un luogo dove insegnare o educare i giovani». Mancano anche le armi. C’è un dossier del centro studi Bruegel e dell’Istituto di Kiel (la Von der Leyen lo ha riversato nel suo libro bianco sulle armi europee, giurando che il 65 per cento dei famosi 800 miliardi saranno spesi in industrie del continente), secondo cui in caso di attacco russo nel Baltico all’Ue servirebbero 2.200 droni, 1.400 carri armati, duemila autoblindo, 700 cannoni, un milione di proiettili per affrontare i primi tre mesi di conflitto.  Ecco: oggi la Ue può produrre al massimo 3.600 proiettili al giorno, dispone di 3.400 carri armati e la Rheinmetall – principale costruttore di armamenti tedesco, che con la nostra Leonardo leader delle produzioni militari ha una joint venture per realizzare mezzi blindati – non va oltre i 300 pezzi all’anno. Putin ne sforna cinque volte tanto. 

Nel piano della Von der Leyen il punto dolente sono i soldi. La presidente fa sempre riferimento al Covid: 150 miliardi di euro di debito comune e gli altri 650 li devono trovare i singoli Paesi nei loro bilanci con la possibilità, chiesta con forza dall’Italia, di escludere la spesa militare dai deficit di bilancio. Neppure i 150 miliardi comunque appaiono facilmente reperibili, dato che la Germania ha già detto di no agli eurobond. I cosiddetti «frugali», capitanati dall’Olanda, sono contrari a qualsiasi schema che ricalchi il Next Generation (il Piano nazionale di ripresa e resilienza per capirci), partendo dal presupposto che i Paesi già fortemente indebitati hanno ricevuto – l’Italia più di tutti – troppi fondi comuni.  Si fanno forti di un richiamo della Corte dei conti europea e obiettano che il piano post-Covid ha raddoppiato i soldi spesi e che nel 2028 potrebbero mancare proprio 800 miliardi di euro, chiesti in prestito sul mercato, per finanziare il Pnrr, con un aggravio di 350 miliardi di interessi… Un disastro finanziario. 

Perciò, per fare cassa, la presidente della Commissione vuol far confluire, in unico capitolo fondi di coesione e fondi agricoli, nonché aumentare di quasi 70 miliardi all’anno i contributi degli Stati membri. Allo studio ci sono anche tre «eurotasse»: una patrimoniale dal 2 al 3 per cento su patrimoni oltre i cento milioni di euro (in Italia il gettito oscillerebbe tra i 9 e i 15 miliardi), un aumento delle accise sul gasolio dal 2026 in forma di tassa green, un incremento selettivo dell’Iva interna ai singoli Stati e quella all’importazione.  In tutto ciò, gli unici che hanno risorse sono i tedeschi, ma da destinare appunto al proprio esercito. Il cancelliere Merz si è fatto approvare – a Parlamento quasi scaduto – la riforma costituzionale che gli consente di sfondare il debito. La Germania ha quindi disponibile da subito per armamenti l’1 per cento del suo Pil (40 miliardi di euro all’anno) e un programma da 500 miliardi, che può arrivare a mille in 12 anni. Da qui il tentativo di Emmanuel Macron – che non può essere da meno – di puntare a noleggiare a tutta l’Europa il suo «ombrello» atomico: 290 testate contro le migliaia di Putin. Soprattutto di rilanciare l’industria militare francese, intestandosi il comando dell’inesistente esercito comune.  I tedeschi non hanno intenzione di rinunciare a far crescere la loro Rheinmetall; anche se l’americana Lockheed Martin – da sola con un fatturato di 73 miliardi di dollari – vale di più della somma del fatturato delle prime dieci aziende europee della difesa, di cui l’italiana Leonardo è di gran lunga la più importante. 

Uno studio dell’Università Cattolica di Milano – autore è l’osservatorio diretto da Carlo Cottarelli – ha rifatto i conti sul rapporto di spesa militare tra Russia ed Europa: risulta così che quella della Ue, nella definizione Nato, ha toccato i 730 miliardi di dollari nel 2024; il 58 per cento in più rispetto ai 462 miliardi spesi da Mosca. Dunque anche nell’ammontare il piano di Von der Leyen si conferma un bluff: non è vero che non spendiamo in assoluto, semmai spendiamo male.  Lo ha rivelato l’ex capo del governo Mario Draghi che dice: «È chiaro che gli angusti spazi di bilancio non permetteranno a tutti gli Stati significative espansioni del deficit, né sono pensabili contrazioni nella spesa sociale e sanitaria. Occorre un’attività finanziaria comune, come i buoni del tesoro americani e poi deve essere certa una quota di investimenti privati». È la linea di Giancarlo Giorgetti. Il ministro italiano dell’Economia, in accordo con la presidente del Consiglio Meloni, ha rilanciato l’idea di attivare una garanzia pubblica per innescare investimenti privati – con 17 miliardi di euro se ne attiverebbero 200 – senza gravare sui bilanci pubblici, il che non significa far mai venire meno gli aiuti all’Ucraina.  È chiaro che Ursula von der Leyen bluffi per favorire la Germania, che vuole riconvertire in fabbriche belliche la sua industria in crisi (principalmente il settore auto); ma come a poker basta dire «vedo» – Giorgia Meloni lo ha fatto – per scoprire questo gioco truccato.

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