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La Germania si riarma, ma c’è da fidarsi?

La Germania si riarma, ma c’è da fidarsi?

Missili, «caccia», navi, panzer e più soldati. L’ex locomotiva d’Europa stanzia centinaia di miliardi per ricostituire i propri arsenali, facendo debito e rinnegando 80 anni di antimilitarismo. Così rilancia il suo modello industriale in fortissima crisi. E continua a dettare le regole nel Vecchio continente.

Per dare solennità all’anniversario, quest’anno la città di Berlino ha deciso che l’8 maggio sarà festa. Quel giorno ricorrerà l’80esimo anniversario della fine della Seconda guerra mondiale in Europa: la Capitolazione della Germania nazista secondo gli Alleati ovvero il Giorno della Liberazione nella vulgata tedesca post-bellica. Il presidente federale Frank-Walter Steinmeier e il cancelliere – oggi è ancora in carica il socialdemocratico uscente Olaf Scholz, ma per allora il nuovo capo del governo dovrebbe essere il cristiano democratico Friederich Merz – celebreranno la fine del dominio hitleriano sul Vecchio continente. Un giogo imposto con la forza della Wehrmacht, a lungo l’esercito più potente d’Europa, braccio armato di un regime totalitario. Ma mentre festeggerà libertà, democrazia e pace ritrovate, la Germania avrà cominciato a riarmarsi per rilanciare la sua forza militare – la Bundeswehr – famosa in anni recenti solo per la ruggine di aerei e carri armati, e la carenza di uomini e proiettili. 

Il cambio di rotta è iniziato il 18 marzo scorso, quando con 513 sì e 207 no il Bundestag ha dato luce verde a uno stanziamento da poco meno di mille miliardi di euro in cinque anni, metà per investimenti infrastrutturali e metà per la Difesa. Il voto a maggioranza dei due terzi è avvenuto a pochi giorni dall’insediamento del Parlamento votato lo scorso 23 febbraio, scatenando le proteste dei sovranisti di AfD e di due partiti socialisti secondo cui quell’Assemblea «vecchia», eletta nel 2021, non era legittimata a caricare un debito imponente su una legislatura nascente.  «Ma il consenso per dotarsi di una Difesa forte in caso di attacco russo è largo e trasversale nel Paese» dice a Panorama Karl-Heinz Kamp, membro della Società tedesca di Politica estera (Dgap), secondo cui l’antimilitarismo degli anni passati «è ormai folklore». Eppure, alle elezioni del 23 febbraio oltre un terzo degli elettori ha votato per formazioni filorusse come AfD, che sul riarmo della Bundeswehr non si esprime, e come i gruppi di sinistra Die Linke e Bsw per i quali serve, al contrario, tornare a buoni rapporti con Mosca. «Non ne sarei così sicuro» replica Kamp. «Chi vota a sinistra lo fa soprattutto per motivi sociali; chi sceglie Alternative für Deutschland pensa alla questione migratoria». 

L’idea che dalla Russia bisogna proteggersi meglio, insomma, attraversa tutti i partiti, e non è neppure tanto recente: «Si è imposta nel 2014 con l’invasione russa della Crimea ed è diventata concreta con la guerra in Ucraina nel 2022». Allora il cancelliere Olaf Scholz annunciò al Bundestag una «svolta epocale», staccando un primo assegno da 100 miliardi in dotazioni militari. L’Europa deve preoccuparsi del riarmo tedesco? «Durante la Guerra fredda, la Germania aveva l’esercito più forte della Nato dopo quello degli Usa». Kamp si esprime in termini di divisioni da combattimento, «ne avevamo dodici, più di tutti in Europa»; e ricorda le continue esercitazioni della Bundeswehr contro una possibile invasione russa attraverso il varco di Fulda, in Assia; la massiccia presenza di truppe alleate e le tantissime testate nucleari dispiegate sul suolo tedesco: «Erano settemila, quasi tutte statunitensi e rappresentavano il 10 per cento delle 70 mila testate esistenti fra Est e Ovest». Con la fine della Guerra fredda, la Bundeswehr è stata accantonata perché la minaccia si è spostata più a Est. Armarsi in funzione antirussa è diventata una priorità delle Repubbliche Baltiche e della Polonia, mentre in Germania si pensava solo a tagliare. 

«Fu il ministro della Difesa Volker Rühe della Cdu, era il 1992, il primo a dire che, circondata com’era da nazioni amiche, la Germania non aveva più bisogno della Bundeswehr» ricorda Kamp. Dopo trent’anni di incuria, oggi quella Cdu che tagliava la Difesa è il partito del riarmo, «ma la retorica, anche tedesca, del ritorno della Germania nazista che fa paura agli alleati è un’invenzione per non spendere. Ora fra i più preoccupati per la nostra debolezza c’è il ministro degli Esteri della Polonia, Radoslaw Sikorski…». Sia come sia, anche nelle settimane in cui Merz e la Spd trattano sul nuovo governo, in Germania non si parla che di armi. A inizio marzo Scholz ha respinto la proposta di Emmanuel Macron di allargare l’ombrello nucleare francese alla Repubblica federale, ricordando che Berlino resta fedele alla deterrenza nucleare Nato, leggasi Stati Uniti. A metà marzo la Bundeswehr ha lanciato una nuova divisione per la sicurezza interna, «alla luce delle crescenti minacce della Russia». Pochi giorni fa è partito il dibattito sul ripristino della leva obbligatoria, sospesa dal 2011: per il generale della Bundeswehr Harald Gante «con tutti i compiti aggiuntivi nel campo della sicurezza interna serve molto più personale, e per questo servono i coscritti». Fra i contrari c’è l’istituto Ifo di Monaco, secondo cui sarebbe più conveniente rendere il servizio militare più attrattivo con stipendi più alti dei militari di professione.  Due opinioni, una sola premessa: i 181 mila effettivi di oggi non bastano e tutti puntano almeno a quota 210 mila. Intanto, secondo l’ultimo rapporto del Parlamento sulle forze armate, l’età media dei militari si sta alzando troppo mentre molte caserme cadono a pezzi. 

Ma la coscrizione obbligatoria non si riattiva dal mattino alla sera, osserva con Panorama Gesine Weber. L’esperta di geo-strategia del German Marshall Fund ricorda che i 52 distretti militari che organizzavano la leva non esistono più. In generale, Weber segnala come la Bundeswehr vada non solo rafforzata ma ripensata perché anche in Germania «invece di sviluppare il concetto della difesa territoriale, in anni recenti si è pensato ai teatri di crisi all’estero», ossia a missioni di «peacekeeping» o «peace enforcing» – dal Libano all’Afghanistan, al Mali. Weber osserva anche come la decisione tedesca di investire oltre 400 miliardi di euro nella Difesa «è molto gradita negli Usa tanto ai repubblicani quanto ai democratici».  Possiamo parlare di un rafforzamento della Nato? «Se fossimo ancora sotto l’amministrazione Biden, sì. Ma oggi vediamo rimessi in discussione l’articolo 5 del Patto atlantico e la difesa collettiva. Gli Stati Uniti potrebbero non considerare un’aggressione russa all’Estonia come contro l’intera Alleanza. E per far scattare questo articolo serve l’unanimità fra i membri del Consiglio atlantico…». Agli altri Stati rimarrebbe l’opzione della difesa a titolo individuale.   Mentre gli alleati cercano un nuovo equilibrio, gli occhi sono puntati sull’industria europea della difesa. Un settore «a lungo privo di obiettivi di produzione a breve, medio e lungo termine» spiega Weber. «Sono mancate la trasparenza e la domanda interna. Fino a ieri, le nazioni Ue soprattutto esportavano le armi: oggi il settore ha bisogno di commesse chiare e affidabili».

Di che cosa ha dunque bisogno la Bundeswehr per proteggere la Germania? «Di tutto», riprende Kamp. «I primi 100 miliardi sono andati in attrezzature di base per i soldati e qualche F-35. Penso che oggi ci servano soprattutto i cosiddetti “moltiplicatori di forza” che l’Europa non ha: capacità di rifornimento aereo, comunicazione, intelligence, logistica. Per trasportare le proprie truppe in Mali, anche la Francia ha chiesto aiuto agli Stati Uniti». Intanto i soldati dovrebbero essere dotati di 120 mila nuovi fucili d’assalto HK416 prodotti da Heckler & Koch, di Oberndorf, in Baden-Württemberg. In casa dunque. «Ma non dobbiamo produrre tutto da soli» aggiunge Kamp. «Se i soldi ci sono, i sistemi di Difesa si possono anche comprare». A fine 2024 la Germania ha pagato quattro miliardi di dollari per acquistare da Israele l’Arrow 3, un sistema contro i missili balistici a lungo raggio. Con i primi 100 miliardi del governo Scholz sono stati ordinati anche 60 elicotteri da trasporto Chinook, quattro fregate, altrettanti sistemi antiaereo Patriot e 123 carri armati Leopard. Ma la difesa area resta ancora un punto debole della Germania. Ecco perché rivolto giorni fa al quotidiano Welt am Sonntag, il primo ministro della Baviera Markus Söder ha stilato la sua «lista della spesa» cominciando con una flotta di 100 mila droni: oggi la Germania è del tutto priva di droni da combattimento armati. Servono poi duemila missili Patriot come scudo protettivo sempre sul modello dell’Iron Dome, la «cupola di ferro» israeliana. E ancora, mille missili Taurus da crociera definiti da Söder «l’arma di precisione più importante della Germania». Non solo: lo scorso dicembre, il produttore di Taurus, il consorzio europeo MBDA, aveva reso pubblico un ordine della Bundeswehr per la modernizzazione dei missili da crociera esistenti. La Repubblica federale non ha un’industria della Difesa «pura» ma conglomerati misti come la Rheinmetall. «Però abbiamo sovracapacità produttiva nell’automotive» conclude Kamp. «E sono iniziati colloqui tra Rheinmetall e Mercedes affinché la prima usi alcune linee produttive della seconda. Da una berlina al carro armato non è un attimo… Ma intanto le parti discutono di capacità tecniche, impianti e di operai».

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