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Mozambico nel caos: tra jihadisti, elezioni truccate e il sogno italiano di cambiare l’Africa

Mozambico nel caos: tra jihadisti, elezioni truccate e il sogno italiano di cambiare l’Africa

Il Mozambico affronta violenze jihadiste, instabilità politica post-elezioni e sfide economiche nonostante le risorse naturali. L’Italia punta sulla stabilità con il Piano Mattei e investimenti nel gas e nell’agroindustria. Scopri come si intrecciano terrorismo, geopolitica e sviluppo nel cuore dell’Africa.

«Ero nascosto in bagno quando sono entrati in casa e hanno preso mio zio. È stato decapitato con una katana, come se sgozzassero una gallina o un capretto. Il corpo da una parte e la testa dall’altra» racconta Paulo Manuel mimando con le mani quella scena terribile. Il testimone mozambicano ha dovuto fuggire da Mocímboa da Praia nel 2019, all’arrivo dei jihadisti ispirati dall’Isis. La città è tornata sotto controllo governativo, ma l’offensiva islamista nel nord del Paese non demorde. Il primo aprile scorso è stato attaccato un villaggio con tanto di bandiere nere del Califfato che sventolavano davanti alle abitazioni in fiamme. A soli 100 chilometri da Pemba, dov’è rifugiato Paulo, il capoluogo della provincia di Cabo Delgado infiltrata dai terroristi. 

Il Mozambico, uno dei pilastri nell’iniziativa italiana del Piano Mattei per l’Africa, ha rischiato negli ultimi mesi di implodere dopo i contestati risultati delle elezioni presidenziali del 9 ottobre 2024. Secondo un rapporto mai reso pubblico degli osservatori dell’Unione europea, che hanno denunciato irregolarità, Daniel Chapo ha vinto, ma di misura (55 per cento) e non con le percentuali bulgare iniziali poi ridotte dalla stessa commissione elettorale al 65 per cento. Il nuovo presidente è del Frelimo (Fronte di liberazione del Mozambico) al potere da 50 anni dopo il dominio portoghese. Il pastore evangelico, Venâncio Mondlane, leader populista, passato per i principali partiti dell’opposizione, ha contestato il voto scatenando scontri, soprattutto a Maputo, che hanno provocato 300 morti. Grande comunicatore, si è autoproclamato «presidente del popolo» e dall’estero dove era riparato per timore di venire ucciso continuava a guidare la protesta via social. Negli ultimi giorni ha anche denunciato l’uccisione di 47 suoi sostenitori nella provincia di Quelimane. 

Una fonte di Panorama ammette che «si temeva la guerra civile o l’anarchia». Il 25 marzo i due rivali si sono stretti la mano per mettere fine al caos, ma l’impressione è che i nodi torneranno presto al pettine. Gran parte dei giovani nelle città e della classe media ha votato Mondlane. Il leader dell’opposizione ha fondato un nuovo partito Anamalala («Tutto è finito»). «Vogliamo cambiare rotta dopo mezzo secolo di potere del Frelimo» spiegano nelle strade di Maputo. Il marxismo-leninismo delle origini non esiste più, ma la vecchia guardia del partito al potere voleva ancor più pugno di ferro da parte delle Unità di intervento rapido della polizia, che si sono distinte per la repressione delle proteste. «Il maggiore interesse dell’Italia, come del resto della comunità internazionale è la stabilità» spiega Gabriele Annis, ambasciatore italiano in Mozambico, «in maniera tale che il nuovo governo possa procedere alle necessarie riforme politiche, sociali ed economiche annunciate nel discorso di insediamento dal presidente Chapo». Il Mozambico è una delle nove nazioni africane coinvolte nella prima fase dei progetti pilota del piano Mattei, con un investimento di 85 milioni di euro. Una delle realizzazioni è il Centro agroalimentare di Manica, che porterà benefici a circa 20 mila coltivatori delle zone centrali del Paese. «Sogno i cargo che atterrano all’aeroporto di Manica – che verrà allargato – per esportare i prodotti agricoli negli altri Stati africani, e perché no, anche in Europa» dice il nostro ambasciatore.

I problemi endemici del Mozambico, però, sono enormi. Nonostante possegga un «tesoro» di tremila miliardi di metri cubi di gas naturale, ancora in gran parte da sfruttare, rimane uno fra gli ultimi 20 Stati al mondo nell’indice di sviluppo delle Nazioni Unite con circa due terzi dei 31 milioni di abitanti sotto la soglia di povertà. Alexis Meyer Cirkel, rappresentante del Fondo monetario internazionale ha sottolineato che il 73 per cento del bilancio statale viene utilizzato per pagare i salari pubblici «del 3 per cento della popolazione occupata». Un altro 20 per cento serve a pagare gli interessi sul debito, uno dei più alti dell’Africa sub-sahariana. Simone Santi, presidente della Camera di commercio del Mozambico, nel Paese dal 1996, è ottimista e sostiene che «le aziende italiane hanno una presenza rilevante e il nuovo governo sta dimostrando la volontà di continuare una collaborazione, in linea con il Piano Mattei, basata sull’utilizzo delle risorse per industrializzare di questa nazione. Una grande opportunità per le nostre imprese».

L’8 aprile scorso l’esecutivo di Maputo ha approvato lo sviluppo di una seconda piattaforma galleggiante dell’Eni per l’estrazione e produzione del gas naturale liquefatto, Coral Norte, nel bacino di Rovuma, al largo del Mozambico. Un progetto di 7,2 miliardi di dollari, che dovrebbe iniziare nel 2028. La prima piattaforma, Coral Sul, opera già dal 2022 nello stesso bacino con una capacità di liquefazione di 3,4 milioni di tonnellate di gas naturale all’anno. Il mega giacimento scoperto dall’Eni, di 2.500 miliardi di metri cubi, è a 35 miglia al largo di Cabo Delgado, la provincia infestata, non a caso, dagli islamisti. «La confinante Tanzania lascia passare imam radicali o jihadisti che fomentano il nord del Mozambico» spiega una fonte di intelligence. 

Quattromila ruandesi, i «prussiani d’Africa», sono intervenuti al fianco dell’esercito mozambicano assestando duri colpi ai terrorismo. La zona ricca di gas e anche di miniere di pietre preziose, è stata ribattezzata «il nuovo Qatar», ma l’emirato rimane fuori dai giochi per lo sfruttamento dei giacimenti che potrebbero dare fastidio ai suoi interessi nel mercato energetico. La Tanzania, che possiede bacini con 1.600 miliardi di metri cubi di gas vorrebbe calamitare più gli investimenti di grandi compagnie come la Exxon, che partecipa alla joint venture con l’Eni più a sud nelle acque mozambicane.

L’ondata di violenza islamista ha provocato seimila morti e due milioni di sfollati. I terroristi, guidati da veterani arabi, sarebbero appena 500, ma gli emissari jihadisti reclutano giovani fra i 17 e 25 anni, pagando seimila euro ai capifamiglia. «Le incursioni continuano e rapiscono i ragazzi per arruolarli a forza o le ragazzine più belle costringendole a rapporti sessuali» denuncia Paulo, sfollato a Pemba, dove vive con la famiglia in un tugurio di fango e canne senza acqua corrente né elettricità.

A fronteggiare l’Isis sono ricomparsi i Naparama, una milizia dei tempi della guerra civile fra Renamo e Frelimo, che combatte solo con archi, frecce, lance e machete. Giovani con le bandane rosse, come segno distintivo, che si credono «immortali» grazie a una pozione. L’8 aprile, nella zona centrale di Caia, un gruppo di uomini armati ha teso un’imboscata sulla strada nazionale depredando e dando alle fiamme alcuni camion. La zona verso Gorongosa è una storica roccaforte della Renamo, che ha ancora qualche arsenale nascosto. Gli assalitori, fra i 50 e 60 anni, sono probabilmente ex guerriglieri, che protestano per rivendicare aiuti e pensioni previsti dalla smobilitazione.

Nel passato, la sanguinosa guerra civile si chiuse con un accordo siglato a Roma nel 1992, grazie alla mediazione della Comunità di Sant’Egidio e garantito dall’operazione Albatros dei nostri alpini. Trent’anni dopo le penne nere dell’Ana stanno costruendo un centro pastorale con una chiesa, a Pemba, per ricordare la missione. Suor Franca Bottin, in Mozambico dal 2002, mostra a Panorama le fondamenta. E dice: «Il popolo si aspettava un cambiamento con le ultime elezioni. Speriamo che non riprenda la guerra civile, ma il pericolo esiste: la gente è stanca e ha aperto gli occhi».

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