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Polonia, l’aspirante guardiano d’Europa

Polonia, l’aspirante guardiano d’Europa

È un bastione contro i migranti dalla Bielorussia. Blocca il grano «illegale» dall’Ucraina. Offre soldati alla Finlandia contro gli appetiti di Mosca. Allarga l’esercito e gli arsenali (spinta dal miracolo economico e dall’aiuto americano). C’è una nuova Varsavia che punta a un ruolo di potenza regionale. Ma i rapporti con l’Ue sono tutt’altro che semplici.


Nonostante i venti artici che sferzano gli ultimi giorni d’autunno, il confine orientale della Polonia è più caldo che mai. Su quello con l’Ucraina, camionisti e agricoltori del Paese europeo bloccano le strade per impedire il passaggio di automezzi con i cereali in arrivo dal vicino Stato in guerra: sono produzioni considerate «una concorrenza sleale». Dove la frontiera divide dalla Bielorussia, il governo di Varsavia respinge poi ogni giorno dozzine di migranti che tentano la traversata, convogliati e strumentalizzati dal regime filorusso di Minsk come «arma ibrida» nel conflitto. Ancora più a nord, i polacchi si offrono di mandare soldati in Finlandia per aiutare Helsinki a pattugliare i valichi ormai chiusi verso la Russia, che minaccia ritorsioni se si si troverà le truppe dello storico avversario lungo la staccionata di casa.

L’invasione dell’Ucraina ha offerto alla Polonia l’occasione di soddisfare la propria ambizione di ritagliarsi un ruolo di preminenza nel Vecchio continente, autoproclamandosi guardiano contro la minaccia di Mosca. Forte di una miracolosa crescita economica e con il ritorno al potere dell’europeista Donald Tusk, Varsavia può riuscire nell’impresa di iscriversi al novero delle nuove potenze regionali. Sempre che sappia trasformare in opportunità le sfide che l’attendono nell’accidentato percorso verso la vetta. Calatasi nella parte, e percependo le nostalgie di Vladimir Putin per l’impero zarista e il blocco sovietico come minaccia esistenziale assoluta, la Polonia non sta badando a spese pur di trasformare il suo esercito nell’armata più grande e meglio equipaggiata dello schieramento europeo occidentale, e tra le migliori della Nato, di cui fa parte ormai da quasi un quarto di secolo. Varsavia lo scorso anno ha proiettato il budget per la difesa dal 2,4 per cento del Pil al 4 per cento circa. Un’iniezione di capitale che, nei piani dello Stato maggiore, servirà per aumentare di un terzo i soldati in servizio effettivo, nel giro di un decennio, e per pagare le centinaia e centinaia di mezzi militari ordinati in giro per il mondo, compresi circa 500 lanciarazzi americani Himars, diventati il terrore delle truppe russe in Ucraina.Un sostegno concreto al riarmo del Paese è arrivato dall’alleato americano, più che interessato a sostenere la capacità deterrente polacca contro l’espansionismo russo. Quest’anno il Pentagono ha concesso un finanziamento da due miliardi di dollari ai generali di Varsavia e ha schierato la prima guarnigione permanente dell’esercito americano sul suolo polacco, con diecimila uomini di stanza. Tusk, una volta ben saldo al potere, non potrà che mantenere la rotta tracciata: la chiamata alle armi piace a quattro suoi concittadini su cinque. Dove invece il premier in fieri dovrà impegnarsi sul ricucire le relazioni, diventate sempre più tese, con la Germania. Anche per compiacere Washington, che non vede di buon occhio il battibecco tra due alleati Nato fondamentali per il sostegno a Kiev.
Segnate dal trauma storico dell’occupazione e distruzione del Paese per mano nazista, le relazioni di Varsavia con Berlino sono però diventate tanto strette quanto complesse. La straordinaria crescita economica della Polonia, che dura ininterrotta da 30 anni, si è basata largamente sul ruolo di subappaltatore e produttore di componentistica per le aziende tedesche. La Germania è ancora oggi il principale partner commerciale del Paese vicino, ne assorbe un terzo di tutto l’export e dà lavoro, con le succursali delle sue imprese, a 300 mila polacchi. Peccato che nell’ultimo decennio il governo uscente, guidato dal partito Diritto e giustizia (Pis), euroscettico e ultraconservatore, abbia spesso e volentieri soffiato sul fuoco dei sentimenti germanofobi per alimentare il consenso interno. Emblematica è la richiesta avanzata a Berlino lo scorso anno dall’allora ministro degli Esteri polacco Zbigniew Rau di 1,3 trilioni di euro di risarcimento per i danni della Seconda guerra mondiale, riaprendo una porta chiusa decenni prima con vari trattati bilaterali. Inoltre, Varsavia ha ritenuto Berlino troppo morbida e ambigua nei confronti di Putin negli anni precedenti all’invasione dell’Ucraina. In particolare, non ha perdonato che la cancelliera Angela Merkel abbia voluto portare avanti il progetto del gasdotto NordStream 2 nel 2014, a Crimea già annessa d’imperio alla Russia. Ora però Tusk ha tutto l’interesse a ricucire i rapporti col vicino, e tramite la Germania con le istituzioni europee in cui quest’ultima detta la linea. Il suo Paese è infatti il maggior beneficiario di fondi comunitari di tutta l’Unione: oltre 225 miliardi di euro finiti nelle casse nazionali dal 2004, anno del suo ingresso nel consesso continentale, a oggi. Rubinetto che però ha clamorosamente rischiato di far chiudere: le autorità di Bruxelles hanno infatti condizionato lo sblocco dei fondi del REPowerEU per la transizione energetica destinati, 60 miliardi, all’abolizione della controversa e illiberale riforma della giustizia messa in atto dai governi del Pis. Il governo polacco ora ha dodici mesi di tempo per rimettere in riga il Paese prima che l’assegno venga stracciato.
E oggi più che mai quei soldi servono alla Polonia: perché se è vero che il miracolo economico l’ha portata a essere la sesta economia dell’Europa comunitaria, e se è vero che il Pil negli ultimi vent’anni è cresciuto di quasi il 50 per cento mentre, a paragone, quello italiano è aumentato di poco più del 2 per cento, è anche vero che la locomotiva polacca sta vistosamente rallentando. Effetto collaterale del conflitto in Ucraina: impennata del costo dei combustibili fossili, in un Paese dove ancora l’85 per cento dell’energia si genera bruciando carburante, e rallentamento delle filiere di industrie fondamentali quale, per esempio, quella dell’auto.Se la strada verso il tavolo dei grandi sembra ormai individuata, Tusk dovrà calibrare i correttivi necessari col mantenimento del consenso interno, necessario a tenere in piedi il suo governo di coalizione, in una società evoluta ma anche polarizzata da una distribuzione diseguale dello sviluppo economico e culturale. La Polonia oggi è una nazione al tempo stesso con una percentuale di laureati più alta della Germania e una percentuale di vaccinati contro il Covid 19 tra le più basse dell’area comunitaria. Il sostegno all’Ucraina, che per ora tiene in virtù del generale sentimento antirusso, potrebbe un giorno dover fare i conti con le paure di milioni di agricoltori e trasportatori di trovarsi a tasche vuote. Con quasi un polacco su due che giudica le istituzioni europee troppo invasive, anche il riavvicinamento a Bruxelles, e quindi un suo rafforzamento, non sono scontati quanto il passato ruolo di Tusk come presidente del Consiglio europeo potrebbe far pensare.«La visione di questo politico sull’assetto istituzionale europeo non sembra essere rivoluzionaria ed è in linea con la tradizione politica della Polonia di non limitare la propria sovranità nazionale» dice Eleonora Poli, Head of the Italian office del Centres for European Policy Network. «Il suo partito è infatti contrario alla riforma dei Trattati che dovrebbe rendere più efficace il metodo di intervento della Ue, passando dal voto all’unanimità a quello di maggioranza qualificata. Quindi, anche se è probabile che la Polonia continuerà a supportare l’allargamento continentale a Est, soprattutto in funzione antirussa, c’è un problema. Senza una riforma del processo decisionale questo si tradurrà in ulteriore indebolimento delle istituzioni che dovrebbero rappresentare l’interesse comunitario, a favore dei singoli Stati. O, peggio, degli egoismi nazionali».
La concezione dell’Europa come una confederazione di Stati-nazione di Tusk potrebbe piacere a Giorgia Meloni, che troverebbe così un valido successore agli ottimi rapporti già intrattenuti con i governi Pis, tanto da essersi recata già due volte in Polonia dalla sua elezione lo scorso anno. Visti gli eccellenti rapporti bilaterali, l’Italia potrebbe puntare sulla scommessa di grandeur di Varsavia, anche in ambito militare, facendo leva ad esempio sulle commissioni già in essere tra esercito polacco e industrie della difesa italiane o sulla comune esperienza come caschi blu nella missione Unifil in Libano. Sperando che, quando i militari di Roma e Varsavia dovessero trovarsi spalla a spalla lungo gli innevati confini orientali, si tratti di un’esercitazione e non di una battaglia.■©️ riproduzione riservata

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