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Qatar: Ucraina invasa, emirato fortunato

Qatar: Ucraina invasa, emirato fortunato

Il più ricco tra gli Stati del Golfo da anni sta puntando a entrare nel «club dei grandi» della Terra. E oggi, nel conflitto in corso, ha intravisto un’occasione preziosa: sostituirsi alla Russia come primo fornitore di gas naturale dell’Europa. Ma la sua partita globale è più ampia, e viene giocata su vari (e ambigui) fronti.


L’Aspire Tower è un hotel-grattacielo alto 300 metri. Sulla sommità, un mano gigantesca di cemento e vetro regge una torcia e domina lo skyline di Doha, capitale del più ricco degli emirati del Golfo, il Qatar, Paese tra i primi dieci con un Pil pro capite all’anno più alto del pianeta, circa 97.000 dollari. La torre è stata realizzata per ospitare la simbolica fiamma dei Giochi asiatici del 2006, un segno architettonico voluto dalla famiglia reale Al Thani con l’obiettivo di comunicare modernità e apertura al mondo. Anche se lo Stato del Golfo non cede di un millimetro nelle proprie convinzioni religiose e ideologiche. Lo sguardo al futuro va di pari passo con la sua più grande ambizione: diventare un player globale ed entrare nel club dei grandi della Terra.

La «petro-monarchia» intende giocare le sue carte in maniera ben calcolata. E oggi ha trovato anche il modo di entrare nella vicenda ucraina. Come? Ovviamente con il gas, candidandosi a sostituire parte di quello russo, e diventando il primo fornitore dell’Europa. È la soluzione dell’emiro Tamim bin Hamad Al Thani, alternativa a quella rappresentata dal presidente americano Joe Biden. Doha sarà «solidale con l’Europa» anche se altri clienti sono disposti a pagare di più.

Le azioni del Qatar sono spesso imprevedibili proprio come in una partita a poker. Veloci, intuitive, spiazzanti. Nel 2020 l’emirato ha estratto circa 171,3 miliardi di metri cubi di gas naturale, confermandosi terzo produttore mondiale, dopo Russia e Iran, e il secondo esportatore di gas naturale liquefatto al mondo con 18,2 miliardi di dollari di gas. Una vera potenza in termini economici e geopolitici. Con cui oggi deve aver a che fare anche l’Italia. A inizio marzo il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, insieme con l’a.d. di Eni Claudio Descalzi, hanno incontrato a Doha l’emiro. La visita è stata preceduta da una telefonata di Mario Draghi al sovrano. Per l’Italia, al momento, il Qatar è il terzo esportatore di gas naturale dopo la Russia e l’Algeria e il primo di gas naturale liquefatto, con una fornitura di 6,9 miliardi di metri cubi l’anno. Una certezza per la diversificazione delle fonti.

«Dopo la crisi del 2017con gli altri Stati del Golfo il Qatar è diventato molto attivo a livello internazionale. L’emirato intrattiene relazioni forti con gli Stati Uniti e ora vuole aiutare l’Europa colmando il suo deficit di gas» conferma a Panorama Khalid al Jaber, direttore del Mena Center, un think tank di Washington. «L’evacuazione dall’Afghanistan è avvenuta con voli della Qatar Airways, inoltre Doha sta esercitando un ruolo importante per facilitare un accordo nucleare con l’Iran. Molte ambasciate al di fuori delle usuali sedi – tra cui quella americana in Afghanistan – si trovano attualmente nella capitale qatariota».

La volontà dell’emirato di «fare il pieno» all’Europa in conseguenza della guerra può aiutarlo a diversificare ulteriormente i suoi clienti di gas. «E può servire a dimostrare agli Usa e ai loro alleati della Nato fino a che punto questo Stato è legato all’Occidente» sottolinea Giorgio Cafiero, fondatore e ceo di Gulf State Analytics. «L’obiettivo del Qatar è rappresentare il Paese a cui le potenze occidentali possono rivolgersi per chiedere aiuto in caso d’emergenza. Questo è ciò che è successo l’anno scorso con il ritiro degli Stati Uniti da Kabul».

L’emirato d’altra parte non si arresta nelle ambizioni su scala globale e intesse relazioni, a prima vista anche improbabili. Ecco che, con Turchia e Iran, si pone come perno di una strana alleanza. L’intesa riunisce tre Paesi di lingua differente: araba, turca e persiana. Inoltre, mentre Doha e Ankara sono emanazione dei Fratelli musulmani di religione sunnita, Teheran è invece sciita. L’unione si basa sull’opposizione agli Accordi Abramo voluti da Donald Trump che vede alleati Israele con le monarchie del Golfo per il riconoscimento dello Stato ebraico.

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e l’emiro Tamim bin Hamad Al Thani erano insieme a Doha il 7 dicembre scorso. E i due Stati hanno firmato 15 accordi in settori quali commercio, investimenti, sviluppo, cultura. Il Qatar ha così confermato i forti legami con la Turchia quando l’Arabia Saudita e altri tre Paesi della regione, inclusi gli Emirati Arabi Uniti, hanno imposto l’embargo di metà 2017 a causa dei legami con l’Iran e i Fratelli musulmani.

Di fatto, le relazioni tra i due Paesi islamici, risalenti al 1972, si sono intensificate nell’ultimo decennio, allineandoli su vari scenari. In Libia hanno sostenuto il governo di autorità nazionale, in Siria erano a fianco dell’opposizione al presidente Bashar al-Assad. Oltre all’affinità ideologica – il tradizionalismo dei Fratelli musulmani – Ankara ha soprattutto la disponibilità nell’emirato di un’importante base con 5.000 soldati.

Ma in questo strano gioco delle alleanze, non meno importante è la relazione con Teheran. Il presidente iraniano Ebrahim Raisi ha incontrato Al Thani poche settimane fa, a fine febbraio. Raisi, alla sua prima visita in uno Stato del Golfo, ha rilanciato il piano sull’accordo sul nucleare e ha insistito sulla revoca delle sanzioni alla repubblica islamica. E in questo caso, le relazioni sono ancora più complesse e profonde. Qatar e Iran infatti condividono la proprietà del più grande giacimento di gas al mondo, a cavallo delle rispettive acque territoriali. Il North Dome è di Doha e il South Pars è di Teheran. Estensione complessiva: 9.700 chilometri quadrati.

Nel complicato incastro dei vari rapporti, non tutto è però lineare. Il Qatar, che sulla carta dovrebbe essere nemico giurato di Israele, foraggia sì con ingenti quantità di dollari i palestinesi di Hamas, tuttavia ha anche il beneplacito dello Stato ebraico, in tal modo tenendo a bada il movimento islamico che rappresenta un grave pericolo per la sua sicurezza. E le ambiguità non finiscono qui. Doha, che come detto è alleata dell’Iran, ospita la base aerea di Al Udeid, il maggiore insediamento dell’aeronautica americana al di fuori degli Stati Uniti. Nel giugno 2017, la base ha accolto oltre 11.000 effettivi della forze della coalizione anti-Isis e più di 100 aerei coinvolti nelle operazioni. Questo coinvolgimento ha fornito al Qatar una sponda anche durante il blocco imposto dai vicini del Golfo.

«L’emirato cerca di bilanciare gli Stati del Medio Oriente a suo vantaggio, come con i governi di tutta l’Asia occidentale» conferma Cafiero. «In ogni caso, i legami che mantiene con Teheran integralista, i talebani, Hamas, i gruppi legati ai Fratelli musulmani in Libia hanno potenziato la sua funzione di canale tra questi “attori” statali e non statali e le potenze occidentali. Un vantaggio strategico indubbio». Nell’ultimo anno, però, gli equilibri hanno segnato una nuova, sorprendente evoluzione. L’8 dicembre il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman ha incontrato Al Thani. E il 3 marzo ha affermato che il suo regno e l’Iran sono vicini e non possono sbarazzarsi l’uno dell’altro, riconoscendo che l’unica soluzione è la convivenza. Tutto ciò mentre la Turchia ha spostato a Riad il processo per l’uccisione del giornalista Khashoggi avvenuto a Istanbul, l’ultimo sforzo di Erdogan per migliorare i rapporti con l’Arabia Saudita. Il ruolo di Doha nel generale riassetto è evidente.

Non va trascurata, poi, un’altra sua proiezione europea attraverso le «charity» che destinano fondi per moschee, scuole, centri culturali nel Vecchio continente. Uno dei cinque pilastri dell’Islam, lo si ricordi, è la carità. Ogni fedele ha l’obbligo di destinare una quota delle proprie ricchezze agli ultimi nella società. E queste organizzazioni diventano un efficace strumento di promozione di immagine (e ideologia) del piccolo Stato del Golfo. Così come lo è stata la propaganda diffusa dalla celebre al-Jazeera nel sostegno alle «primavere arabe», favorita anche da robusti iniezioni di «petro-dollari».

A Doha, il 18 dicembre prossimo, si terrà anche la finale per la Coppa del mondo di calcio – da cui l’Italia è stata clamorosamente eliminata. «L’evento rafforzerà il marchio del Qatar, farà crescere la sua influenza e il suo “soft power”», conclude Cafiero. Un’occasione da non perdere (nonostante lo sfruttamento della manodopera straniera nella costruzione dei futuribili impianti) per accreditare agli occhi del pianeta il proprio status di alleato rassicurante.

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