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Il ritorno dell’Arabia Saudita

Il ritorno dell’Arabia Saudita

Da quando Trump è tornato alla Casa Bianca, Riad ha assunto un peso geopolitico sempre più significativo

Il peso geopolitico dell’Arabia Saudita sta progressivamente crescendo. Una situazione, questa, che è anche frutto di una ritrovata intesa con Washington. I rapporti tra Riad e l’amministrazione Biden erano stati particolarmente tesi: il che aveva man mano spinto i sauditi tra le braccia di Mosca e Pechino. Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca ha cambiato la situazione. Il gioco di sponda tra Washington e Riad è tornato a farsi particolarmente solido. E questo è chiaro, considerando vari fronti.

Innanzitutto, Trump ha riconosciuto all’Arabia Saudita un ruolo di primo piano nel processo diplomatico ucraino e nel tentativo di disgelo tra Stati Uniti e Russia. È stata proprio l’Arabia Saudita a ospitare gran parte dei colloqui finora tenutisi. In tal senso, Riad ha inferto un duro colpo politico ad Ankara, che puntava a dimostrarsi centrale nel quadro di queste dinamiche. Un dossier, quello ucraino, che, come è facile comprendere, si intreccia inestricabilmente con quello mediorientale.

Non è un mistero che Trump punti a rilanciare gli Accordi di Abramo e a mediare un processo di normalizzazione nei rapporti tra Arabia Saudita e Israele: uno scenario, questo, a cui la Turchia guarda con estremo fastidio, anche perché la Casa Bianca ha intenzione di inserire la risoluzione della crisi di Gaza nella cornice degli Accordi di Abramo. Nonostante ufficialmente si dicano contrari, i sauditi non disprezzano affatto il piano di Trump per la ricostruzione della Striscia. E, non a caso, stanno probabilmente cercando di coinvolgere anche i russi nella partita.

A questo si aggiunga la questione siriana. Riad e Gerusalemme non apprezzano affatto la recente ascesa di Mohammed al Jolani a Damasco: ascesa che, notoriamente, è stata spalleggiata da Recep Tayyip Erdogan. In tal senso, sauditi e israeliani auspicano una ripresa dell’influenza russa in Siria in chiave antiturca. Entrambi temono infatti i legami di Jolani (oltreché del presidente turco) con la Fratellanza musulmana. Consapevole di ciò, Trump potrebbe offrire al Cremlino assistenza nel recuperare terreno nel Paese, in cambio di un ammorbidimento di Mosca sulla crisi ucraina. 

Certo, sullo sfondo si staglia il nodo del nucleare iraniano. Né Riad né Gerusalemme sono disposte a tollerare che Teheran si doti dell’arma atomica. Non a caso, Trump sta mettendo sotto pressione il regime khomeinista per costringerlo a sedere al tavolo delle trattative e negoziare così un nuovo accordo sul nucleare che lo renda inoffensivo da questo punto di vista. Trattative al cui tavolo il presidente americano potrebbe decidere di far sedere anche Arabia Saudita e Israele. Era inoltre inizio marzo quando Vladimir Putin si era proposto come mediatore nell’ambito di eventuali negoziati tra Trump e Teheran. 

Ma non è tutto. Sì perché, la settimana scorsa, Riad ha avuto un ruolo significativo nel far sì che l’Opec aumentasse considerevolmente la produzione di greggio. Il che ha portato a un abbassamento del prezzo del petrolio: esattamente quanto era stato auspicato da Trump. Insomma, l’asse tra l’attuale Casa Bianca e Riad si sta facendo sempre più forte. E i sauditi sono ormai decisivi in tutte le principali partite geopolitiche di questa fase storica.

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