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Sanzioni agli oligarchi russi senza effetti né gloria

Sanzioni agli oligarchi russi senza effetti né gloria

Nell’Inghilterra che da decadi offre rifugio ai miliardari russi, il sistema pensato per bloccare i loro beni all’indomani della guerra in Ucraina è in pratica inconsistente e inefficace. Del resto, gli affari di quei «Paperoni» in trasferta sono una pietra angolare dell’economia d’Oltremanica.


I loro conti sono congelati, ma risiedono in dimore miliardarie e dispongono di autisti e maggiordomi. Per gli oligarchi russi amici di Vladimir Putin il Regno Unito è ancora un paradiso, alla faccia delle sanzioni. Dall’inizio della guerra in Ucraina il governo britannico, insieme a Stati Uniti e Unione europea, ha messo in campo una lunga serie di limitazioni economiche per indebolire il potere di Mosca, colpendo anche un numero significativo di uomini d’affari residenti all’estero ma sospettati di essere sostenitori del leader russo, come Roman Abramovich, ex proprietario della squadra londinese di calcio Chelsea, e come il magnate dell’alluminio Oleg Deripaska.

Lo scorso aprile Usa e Regno Unito hanno annunciato l’arrivo di nuove sanzioni destinate a rafforzare quelle esistenti e a colpire le importazioni russe di tecnologie usate nel conflitto ucraino. Il governo di Rishi Sunak ha inserito nella nuova lista 14 nuovi soggetti. «Stiamo chiudendo la rete di connessione tra l’élite russa e quelli che tentano di sostenerla nascondendo il denaro per la guerra» ha dichiarato il segretario degli Esteri James Cleverly. «Non avranno più posti dove nascondersi».

Già nel novembre 2022 il governo britannico aveva congelato più di 18 miliardi del patrimonio posseduto dagli oligarchi residenti nel Paese e le sanzioni erano state imposte a 1.271 soggetti, tra individui e società. Tuttavia il sistema pensato dagli inglesi si è rivelato fino a oggi debole se non inconsistente. Le magioni di Eaton Square, nel cuore di Belgravia, continuano a ospitare molti miliardari russi anche se la loro presenza abituale nei locali preferiti come Zima, Mari Vanna e Novikov si è un po’ diradata. Il denaro è stato sì bloccato, ma non sequestrato.

L’idea iniziale di limitare la quantità dei depositi bancari dei clienti russi negli istituti di credito inglesi sbandierata dal governo con grande enfasi, alla fine non ha avuto un seguito concreto. E i miliardari che avrebbero dovuto essere ridotti sul lastrico beneficiano di generose esenzioni che garantiscono loro la stessa vita da nababbi che hanno sempre condotto nel Regno Unito.

Queste esenzioni, o «licenze» come sono chiamate in gergo tecnico, in alcuni casi permettono ai soggetti sotto sanzione di spendere fino a 800 mila sterline utilizzate per pagare schiere di domestici personali, autisti e cuochi. Di recente il quotidiano americano New York Times ha rivelato che, durante il primo anno di guerra, il magnate russo della finanza Mikhail Fridman ha beneficiato di una licenza che gli ha consentito di pagare l’assunzione di 19 membri del suo staff personale per una somma di circa 300 mila sterline. Inoltre ha ricevuto un’indennità ulteriore pari a 7 mila sterline mensili per «i bisogni essenziali» della sua famiglia. Praticamente un caso umanitario.

Al partner in affari di Fridman, Petr Aven era stato garantito più o meno lo stesso trattamento di favore con una indennità complessiva di 60 mila sterline l’anno. La maggior parte di essa veniva versata direttamente a un società posseduta dal manager finanziario di Aven che, guarda caso, è attualmente sott’inchiesta perché sospettato di aver aiutato l’amico banchiere a sfuggire dalle stesse sanzioni.

Aven e Fridman sono soltanto un esempio delle decine di presunti sostenitori del governo di Putin che beneficiano delle esenzioni. Secondo i dati raccolti dal New York Times infatti, il Tesoro britannico ha approvato lo scorso anno almeno 82 richieste di licenza e altre rimangono in attesa di approvazione.

Il sistema delle licenze viene utilizzato anche in America, ma normalmente si tratta di esenzioni per motivi umanitari destinate a coprire spese essenziali o legali. I criteri usati dalla Gran Bretagna sono molto più blandi e qui viene preso in considerazione pure l’impatto che il flusso di denaro garantito dall’esenzione avrà sull’economia nazionale. I «benestare» vengono quindi concessi per salvaguardare anche gli interessi delle aziende e degli uomini d’affari inglesi. E poiché da decenni ormai la comunità russa costituisce una pietra angolare dell’economia inglese, ecco spiegate le licenze.

Il Regno Unito è considerato da decadi il rifugio, neppure troppo segreto, dei miliardari russi. Il gruppo anticorruzione Transparency International stima che i russi accusati di crimini finanziari o vicini al Cremlino possiedano oggi una larghissima fetta degli immobili inglesi, anche grazie a passaggi di proprietà dei soggetti sanzionati ai propri familiari. Si è scoperto, per esempio, che un appartamento da oltre due milioni di sterline nell’elegante quartiere londinese di Kensington è di legittima proprietà della figlia di otto anni di un ex governatore regionale russo.

Ma il sistema sanzionatorio messo in atto da Londra è talmente fragile che neppure le aziende nazionali si prendono la briga di rispettare le regole. Il governo continua a permettere a molte compagnie con base in Inghilterra di esportare attrezzature per l’estrazione di prodotti fossili in Russia dribblando le sanzioni. Nel 2022 la società Hill&Smith, all’interno del suo rapporto finanziario annuale, non ha menzionato alcun cliente russo.I dati delle importazioni tuttavia mostravano che una delle sue compagnie sussidiarie con base in India ha continuato a fornire attrezzature di supporto per la costruzione delle tubature del gas russe. Nel febbraio dello stesso anno il quotidiano Guardian rivelò che l’azienda Shell aveva acquistato petrolio russo attraverso la Turchia.

Il governo conservatore promette di stringere sempre di più il cerchio intorno agli amici di Putin, ma in questo momento ha anche altri grattacapi a cui pensare. Con i laburisti in testa di 18 punti nei sondaggi e una sconfitta quasi sicura alle prossime elezioni politiche, l’esecutivo di Sunak ha bisogno in questo momento di puntare la propria attenzione sulle questioni nazionali piuttosto che su quelle internazionali e deve ricomporre anche la frattura nel partito causata dalle divisioni sui temi ambientali. Inoltre, nella battaglia agli oligarchi è costretto a tener conto delle ingenti spese legali che dovrà sostenere nei prossimi anni.

Sono già numerosi infatti i ricorsi in appello dei soggetti sanzionati che chiedono il ritiro delle misure punitive. Uno dei primi a trascinare in tribunale il governo britannico è stato Eugene Shvidler, magnate del petrolio che si è visto congelare conti e jet privati e che accusa l’esecutivo di aver agito illegalmente e di aver distrutto il suo regno imprenditoriale, compromettendo anche lo «stile di vita» della sua famiglia.

L’esecutivo inglese ribatte che le sue azioni non sono state discriminatorie e ha chiesto l’archiviazione del caso, ma anche se ciò accadesse, ne dovrà affrontare molti altri simili pagando i conti con i soldi dei contribuenti. E loro, si teme, si ricorderanno anche di questo, quando si troveranno da soli nella cabina elettorale.

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