Il conclave si avvicina. E uno dei dossier principali che i cardinali si troveranno ad affrontare è quello dell’accordo sino-vaticano sulla nomina dei vescovi. Si tratta di un’intesa che, siglata nel 2018, è stata rinnovata finora tre volte: l’ultima a ottobre scorso, quando è stata prolungata per altri quattro anni.
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Non è un mistero che questo accordo abbia spaccato internamente la Chiesa. Fortemente voluto da Papa Francesco e dal cardinale Pietro Parolin, è stato appoggiato da alcuni gruppi storicamente favorevoli alla distensione con Pechino, come la Comunità di Sant’Egidio e la Compagnia di Gesù. Dall’altra parte, i porporati di area “ratzingeriana” hanno criticato l’intesa, auspicando che il baricentro della politica estera vaticana tornasse più a Occidente. Sotto questo aspetto, tra le voci più ostili all’accordo figurano cardinali come Timothy Dolan, Raymond Burke, Joseph Zen e Gerhard Müller.
Ora, il prossimo conclave viene a inserirsi in un quadro geopolitico piuttosto turbolento. Da quando Donald Trump è tornato alla Casa Bianca, le tensioni tra Washington e Pechino sono riprese. Già durante il primo mandato, l’attuale presidente americano si era mostrato contrario all’intesa sino-vaticana. È altamente probabile che lo sia ancora, vista la crescente competizione tra Stati Uniti e Cina. È d’altronde noto che Trump sta puntando non soltanto a disaccoppiare l’economia americana da quella cinese ma anche, se non soprattutto, a isolare il più possibile la Repubblica popolare sul piano diplomatico e commerciale (è infatti in questo quadro che va principalmente letta la strategia dei dazi).
In attesa del Conclave, tutte le norme per eleggere il nuovo Papa
Ebbene, Pechino ha bisogno della sponda vaticana per aumentare il proprio prestigio politico e diplomatico soprattutto agli occhi del Sud Globale (con particolare riferimento all’Africa e all’America Latina). E proprio sul Sud Globale Trump punta a recuperare influenza, ragion per cui mira ad allentare i rapporti tra la Santa Sede e la Cina. Ma non è tutto. Il presidente americano è considerato abbastanza vicino ai cardinali Dolan e Burke. E conta numerosi cattolici all’interno della sua stessa amministrazione. In un certo senso, Trump si sta facendo anche, per così dire, portavoce, di quella Chiesa statunitense che, nel corso degli scorsi anni, non ha sempre intrattenuto dei rapporti idilliaci con Papa Francesco: una Chiesa statunitense che auspica una Santa Sede più lontana da Pechino e maggiormente concentrata sulle tematiche eticamente sensibili.
La scelta del nuovo pontefice riguarda quindi (anche) la direzione geopolitica che la Santa Sede dovrà intraprendere nei prossimi anni. A prima vista, sembrerebbe che l’accordo sino-vaticano non sia a rischio, dal momento che la maggioranza dei cardinali elettori è stata nominata da Francesco. Tra i papabili figurano inoltre vari fautori dell’intesa: dallo stesso Parolin a Luis Antonio Tagle.
Papa Francesco e quei segni sul volto che alimentano i sospetti
Tuttavia attenzione. I porporati di designazione bergogliana non sono un gruppo compatto e, in molti casi, si conoscono a malapena tra loro. Questo vuol dire che i fautori della linea più filo-occidentale, se riescono a organizzarsi, possono avere delle chances di successo. Inoltre, i porporati che si accingono a entrare nella Cappella Sistina sanno ormai che l’accordo sino-vaticano ha dei rilevanti problemi. Innanzitutto è stato più volte violato da Pechino. In secondo luogo, non ha portato a un miglioramento della condizione dei cattolici cinese: cattolici che sono stati sottoposti da Xi Jinping a un processo di indottrinamento sulla base dei principi del socialismo (la cosiddetta “sinicizzazione”). A questo si aggiunga che le difficoltà, che la Repubblica popolare inizia a riscontrare a causa dei dazi americani, potrebbero svolgere indirettamente un ruolo nelle decisioni dei cardinali. Sicuramente gli ambienti filocinesi cercheranno di mantenere la linea attuale. Tuttavia un loro successo non è del tutto scontato.