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Perché alla Wagner i conti non tornano

Perché alla Wagner i conti non tornano

La compagnia di mercenari ha gravissimi problemi di liquidità a causa delle sanzioni alla Russia. Pur essendo ricca, i suoi traffici sono messi a rischio soprattutto per la difficoltà di poter operare in dollari. E prima del colpo di mano di Yevgeny Prigozhin, aveva già provato a uscire dall’angolo con una strana triangolazione monetaria…


Stavolta lo chef di Putin ha sbagliato menù. La testa dello Zar su un piatto d’argento è un pasto che nemmeno la Wagner è in grado di apparecchiare. E così Yevgeny Prigozhin, il Nibelungo che da semplice cuoco è diventato il capo assoluto di una compagnia di mercenari che con i circa suoi 50 mila mercenari si districa come uno Stato-ombra all’interno della Russia, è stato costretto a trovare rifugio a Minsk per sfuggire alla vendetta del Cremlino. Sotto l’ala del presidente bielorusso Aljaksandr Lukashenko che gli ha promesso asilo e incolumità (non si sa per quanto).

«Solo un’analisi superficiale può ricondurre il tentato golpe di fine giugno al gesto di uno sprovveduto» spiega a Panorama una fonte della nostra intelligence. «Prigozhin non coltiva ambizioni politiche né ha agito sotto una spinta popolare; è tutta una questione interna all’establishment russo. Era da settimane che contestava alla propria classe dirigente alcuni evidenti errori di strategia in Ucraina insistendo soprattutto sulla insostenibilità di una guerra di logoramento senza adeguate risorse a disposizione. I soldi sono sempre l’inizio e la fine di ogni conflitto». E su questo Yevgeny ha avuto ragione. Quasi nelle stesse ore della marcia su Mosca, Putin è stato costretto ad ammettere, per la prima volta, che l’economia rischia il tracollo a causa delle sanzioni occidentali che da oltre un anno la stanno bersagliando. «E la Wagner» prosegue il nostro interlocutore «proprio per la sua caratura transnazionale prima di altri ha avvertito la crisi mordere».

Non che la compagnia militare sia a corto di fondi. I forzieri sono pieni di ricchezze di ogni genere, accumulate in decine di campagne, ma è il flusso finanziario ordinario a essere stato interrotto. «Il crollo del rublo e l’embargo del circuito bancario russo hanno congelato l’operatività della struttura in diverse regioni del globo pregiudicandone il funzionamento e danneggiandone il prestigio». Questo perché l’industria della guerra «lavora coi dollari, non con il rublo». E se alla Wagner viene impedito di accedere al mercato della divisa americana tutto diventa più complicato. I pagamenti delle truppe, delle armi e dei fornitori di servizi (foto satellitari, connessioni sicure, aerei…) si arenano creando fibrillazioni e innescando competizioni interne di leadership che possono sfociare in contese sanguinosissime.

«Un colosso dai piedi d’argilla», l’ha definito un report del ministero degli Esteri inglese. «Wagner muove quantità gigantesche di denaro a una velocità impressionante» sottolinea la fonte di Panorama. «Se non ci riesce più, va in agonia e muore come uno squalo tirato in secca sulla spiaggia». Che sia questo uno dei motivi dietro la rivolta di Prigozhin? Quest’ultimo potrebbe aver visto in pericolo la sopravvivenza della sua creatura in un contesto in cui è facilissimo finire preda degli appetiti bestiali degli oligarchi e avrebbe deciso di fare la prima mossa. «Con il risultato», riassume il nostro contatto, «che per non morire, Prigozhin si è suicidato». La società di contractor nasce nel 2014 come fornitore di armi a noleggio. Oggi è un network che, per usare le parole dell’Fbi che su Prigozhin ha messo una taglia da 250 mila dollari, «fa affari con la guerra, con l’impresa e con il traffico di influenze». Opera come forza di sicurezza in Libia, Mozambico e Mali. Nella Repubblica Centrafricana Wagner controlla direttamente numerose miniere di diamanti e oro, e come scrive il New York Times «ne saccheggia decine di altre» nella più totale impunità.

Le concessioni estrattive in Sudan hanno invece consentito al capo della Wagner di portare in dote al Cremlino 130 miliardi di dollari di metallo prezioso che, teme il Dipartimento del tesoro degli Stati Uniti, saranno la riserva aurea a cui a breve attingerà Putin per rimettere in piedi il moribondo rublo. Nella nazione africana lavora a pieno regime la Meroe Gold, impresa riconducibile al giro di Prigozhin, il cui direttore si chiama Mikhail Potepkin, con un passato di funzionario presso l’Internet Research Agency, la fabbrica di «troll web» accusata di aver tentato di manipolare le elezioni statunitensi del 2016 attraverso 172 profili successivamente disattivati da Facebook. La Wagner paga appena 3.600 dollari per nove tonnellate di roccia da cui estrarre le pepite attraverso processi di raffinazione e setacciatura fatti da operai schiavi reclutati sul posto. Un affare straordinario che rende milioni di euro ogni anno a fronte di costi risibili. Sempre in Sudan, la Wagner ha fatto sponda ai progetti di Mosca per costruire una base navale sul Mar Rosso dove ospitare le navi da guerra a propulsione nucleare. Sul versante occidentale del più grande Stato africano, il gruppo di mercenari sta verificando poi la possibilità di mettere le mani sull’uranio. Una squadra di geologi russi, nei mesi scorsi, è arrivata sul posto proprio per studiare i possibili risvolti di questo insperato business dai significativi impatti geopolitici.

Nel continente nero, la compagnia è accusata dal dipartimento del Tesoro degli Usa di «numerosi casi di violazioni dei diritti umani contro civili tra cui esecuzioni sommarie di massa, stupri, detenzioni arbitrarie, torture ed evacuazioni forzate». Ma Prigozhin – che nella savana si atteggia a filantropo nascondendo il suo ruolo al vertice della Wagner e muovendosi come un uomo d’affari a bordo di un jet privato – ha saputo anche costruirsi una solida reputazione personale. L’anno scorso, l’ex chef di Putin ha donato 198 tonnellate di cibo ai poveri del Sudan durante il Ramadan. Sulle confezioni di riso, zucchero e lenticchie era riportata a caratteri cubitali questa frase: «Un regalo di Yevgeny Prigozhin». E, sotto, uno slogan che è tutto un programma: «Dalla Russia con amore». Come il titolo del film di James Bond con Sean Connery. In Siria, invece, l’uomo che ha sfidato Putin ha ottenuto con la sua altra società Evro Polis concessioni energetiche milionarie in cambio di sostegno militare.

Un impero che, privato delle transazioni in divisa statunitense, rischia di collassare sotto il proprio peso come un corpo a cui sia rimosso, improvvisamente, lo scheletro. Ed è per questo che, nelle scorse settimane, quando la ribellione allo Zar sembrava un’ipotesi ancora irrealizzabile, un gruppo di alti dirigenti della Wagner ha provato a convertire centinaia di milioni di rubli nella moneta del Turkmenistan, il manat, per poi cambiare questi ultimi in dollari. L’operazione è però fallita perché la banca di appoggio ha scoperto il gioco della triangolazione monetaria. Prestarsi, in questo momento, a una manovra del genere significa infatti attirare su di sé le ruvide attenzioni dei servizi segreti occidentali. Né sembra destinata a maggior successo l’accordo, sbandierato nei mesi scorsi dall’agenzia di stampa russa Vedmosti, che vede la collaborazione della Banca centrale dell’Iran con il governo di Mosca per creare insieme una «nuova criptovaluta sostenuta dall’oro da utilizzare come metodo di pagamento nel commercio estero», è stato scritto.

Ma i dollari sono tutta un’altra cosa, e Prigozhin questo lo sa bene. Tuttavia non avrà modo di spiegarlo. Il suo personaggio è già in fase di smantellamento in patria per sostituire alla figura dell’eroe di guerra quella della belva assetata di sangue e denari. Il circuito di giornali online e testate di settore, che facevano capo alla sua holding «Patriot», è stato chiuso su ordine del procuratore generale per impedire che funzionino da megafono alle dichiarazioni del Nibelungo. Mentre uno dei più famosi presentatori televisivi della Russia, Dmitry Kiselev, ha svelato che a innescare la rivolta sarebbe stato il rifiuto del ministero della Difesa di rinnovare il contratto per le vettovaglie alla società Concord, sempre di proprietà di Prigozhin. Insomma, il capo della Wagner avrebbe perso la testa per l’appalto del pranzo ai soldati. Beffardo destino per il cuoco che si credeva dio.

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