ll normale cittadino italiano non riesce a fare nulla senza il codice fiscale. Se, al contrario, sei un giovane africano che arriva dal Mali, davanti al tribunale di Milano e chiedi il «patrocinio legale a spese dello Stato per garantire l’esercizio del diritto alla difesa» puoi ottenerlo presentando solo nome, cognome, data di nascita e sesso. All’inizio i giudici si erano opposti con una semplice motivazione: «Il richiedente non aveva neanche indicato un domicilio fiscale stabile in Italia così rendendo impossibile l’effettuazione dei controlli sulla sua situazione reddituale». Dettaglio non di poco conto. Solo con un reddito annuo inferiore a 11.746,68 euro si ha diritto al patrocinio gratuito. Ma la norma è durata poco: il 22 ottobre scorso la corte di Cassazione ha ribaltato la decisione di Milano stabilendo che lo Stato può pagare le spese legali del cittadino extracomunitario anche senza codice fiscale. Una curiosa punta dell’iceberg sull’ondata di patrocini gratuiti per gli stranieri, che lo Stato deve sborsare, in aumento vertiginoso dai 9.916 del 2003 ai 48.937 del 2022. I dati fanno parte di una relazione del ministero della Giustizia al Parlamento, che verrà aggiornata a giugno con l’ultimo biennio. La previsione è di un ulteriore boom. Nel 2022 la spesa totale a carico dello Stato per il patrocinio gratuito, compresi i cittadini italiani, è ammontata a 212.509.592 euro incassati per il 92,5 per cento dai difensori d’ufficio. Gli stranieri con l’assistenza legale gratuita rappresentava il 24,5 per cento del totale. Il costo relativo è circa di 52 milioni di euro. «Il numero degli stranieri interessati al beneficio, in termini assoluti, è risultato sempre crescente» si legge nella relazione del ministero. E «si evidenzia, relativamente al numero di stranieri ammessi, nel biennio 2021-2022, un aumento del 59 per cento». Secondo le tabelle ministeriali dal 2011 al 2022 gli stranieri sono stati 205.282. Se calcoliamo una percentuale media del 22 per cento, rispetto al totale che comprende gli italiani, la spesa negli ultimi dieci anni è di 407 milioni di euro.
La torta è grossa e in città come Milano la quota di patrocinio, secondo i dati dell’Ordine degli avvocati, sfiora il 50 per cento. In Rete si trovano studi specializzati «per stranieri», «avvocato immigrati», «permessi» con un costo medio procapite per il patrocinio gratuito pagato dallo Stato di 1.268 euro. I fondi per l’anno in corso, però, sono terminati e da ottobre le parcelle degli avvocati non sono state saldate provocando una «fuga» di difensori d’ufficio. Anche se i fondi scarseggiano, questo intervento legale ha mobilitato pure le Organizzazioni non governative come Caritas e Save the children con sportelli per i ricorsi contro il no ai permessi di soggiorno. E lo stesso vale per i patronati emanazione di Cgil e Cisl.
Alla fine paga sempre Pantalone, come nel nuovo caso di risarcimento danni causati «dalla restrizione della libertà» dell’eritreo Kefela Mulugeta Gebru a bordo di nave Diciotti, bloccata nel porto di Catania per dieci giorni nel 2018, per volere dell’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini, che aveva negato lo sbarco chiedendo un’immediata reidistribuzione dei migranti. Il 6 marzo scorso, le Sezioni unite civili della Corte di cassazione hanno dato ragione all’eritreo sostenendo che lo sbarco deve avvenire «nel più breve tempo ragionevolmente possibile» e «l’azione del governo, ancorché motivata da ragioni politiche, non può mai ritenersi sottratta al sindacato giurisdizionale». Alti funzionari della Pubblica amministrazione spiegano a Panorama «che la sentenza Diciotti ha affermato una sorta di diritto allo sbarco, anche se arrivi illegalmente, per di più immediato».
La Cassazione sorvola sul fatto che i migranti erano stati soccorsi in acque di competenza maltesi e rischia di aprire una corsa al risarcimento: «Solo a bordo del Diciotti erano in 177, ma ci sono altri casi simili. Il paradosso è che dall’immigrazione illegale, deriva, una responsabilità transitoria dello Stato». L’ammontare del danno sarà stabilito dalla Corte d’appello. Le richieste presentate per le 41 cause aperte del caso Diciotti variano da 42 mila ai 71 mila euro. Solo una è arrivata in Cassazione, ma la sentenza potrebbe aprire una voragine. Le stime indicano un massimo di 2,9 milioni di euro di risarcimento ed il precedente rischia di allargarsi ad altri casi. I migranti non fatti sbarcare da Open arms nel 2019, nonostante Salvini sia stato assolto dall’accusa di sequestro di persona, potrebbero chiedere fino a quattromila euro al giorno di danni. Un esborso per le casse pubbliche che si aggirerebbe sui nove milioni di euro. «Il ricorso dell’eritreo era stato respinto tre volte: in primo e secondo grado e c’era pure il parere contrario del Procuratore generale» fa notare a Panorama l’avvocato Giuseppe Loffrida, esperto di diritto marittimo. «Se passa il principio che il migrante è limitato nella libertà ogni volta che si trova a bordo di una nave in attesa di sbarco, che non venga inviata nel porto più vicino, a Lampedusa o al massimo in Sicilia e Calabria, si scateneranno migliaia di ricorsi».
Nella pubblica amministrazione si conferma che «la sentenza crea incertezza e potrebbe venire sollevata la questione dell’assegnazione dei porti lontani alle navi delle Ong con i migranti (da parte del Viminale ndr), che comporta anche una settimana di navigazione in più». Il rischio è che i giorni di navigazione «imposti» e fortemente criticati dalle Organizzazioni non governative rientrino nella «limitazione della libertà personale». Commenta Loffrida: «Una volta c’era l’effetto calamita delle navi troppe vicine alle coste nordafricane. Adesso i migranti sono attratti dal patrocinio gratuito e dal risarcimento del danno».
Il 5 marzo si è tenuta l’udienza preliminare per il naufragio di Cutro, contro sei graduati delle Fiamme gialle e della Guardia costiera. L’ondata di richieste di costituzione di parte civile, che si prospetta, punta a risarcimenti milionari. Un altro tassello del «business» giudiziario legato al fenomeno dell’immigrazione illegale. A parte i sopravvissuti e i familiari delle vittime, che sono «persone offese», l’arrembaggio annovera Ong del mare, associazioni pro migranti, partiti politici, parlamentari e addirittura due scafisti. Francesco Vetere, difensore di uno degli imputati, fa notare a Panorama: «Nel processo agli scafisti, che sono stati condannati, erano presenti 17 parti civili, compreso il ministero dell’Interno. Contro le forze dello Stato le richieste di parte civile arriveranno probabilmente a un centinaio».
Gli stessi familiari dei sopravvissuti sanno che dagli scafisti non ottengono nulla a differenza dello Stato. E aggiunge: «Spicca l’aspetto politico della vicenda con conseguente strumentalizzazione dello stesso dibattimento». Il 10 dicembre scorso sono stati condannati i pachistani Hasab Hussain, a 16 anni, e Khalid Arslan, a 11 anni, ritenuti scafisti. Nella tragedia del 2023 morirono 94 migranti, compresi bambini. Salvatore Perri, avvocato penalista, ha argomentato che «sono persone offese come le altre. Chi è chiamato a soccorrere deve salvare tutti. Inoltre, sono stati assolti dal reato di naufragio colposo perchè non hanno mai governato la barca». Fra i primi a inviare l’atto di costituzione di parte civile è il Sindacato dei militari, che chiede 100 mila euro per danni d’immagine. Le associazioni invece sono guidate dalle Ong del mare Sea Watch, Emergency, Louis Michel, Mediterranea, Sos Humanity e Sos Mediterranee. «Il giudizio non può fermarsi ai funzionari di grado inferiore e ogni decisione, anche quelle delle autorità superiori, deve essere presa in considerazione risalendo la catena di comando» spiegano in un comunicato. I fondatori di Mediterranea, come Luca Casarini, che ha sventolato la bandiera di «parte offesa» nel processo per il naufragio di Cutro, sono sotto accusa a Ragusa per favoreggiamento aggravato dell’immigrazione clandestina. Anche Rifondazione comunista, Sinistra italiana, Arci, Asgi, la costola legale pro immigrazione finanziata da George Soros, sono «parti offese». Ilaria Cucchi e altri parlamentari Pd, il Sindacato dei finanzieri democratici e associazioni come il Codacons sono nello stesso elenco, che si affronterà nell’udienza del 12 maggio prossimo. Con l’accesso agli atti del fascicolo, i parlamentari potranno sfruttare politicamente il processo. «Mi auguro non chiedano di costituirsi parte civile» auspica Vetere. «Altrimenti sarebbero richieste scriteriate».