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Il sinodo Cei in panne su gay e donne: per la base il testo era troppo bigotto

Il sinodo Cei in panne su gay e donne: per la base il testo era troppo bigotto

I delegati (oltre la metà laici) hanno bocciato il documento d’indirizzo della Conferenza episcopale, ritenuto poco inclusivo. L’assemblea dei vescovi slitta a ottobre. Zuppi glissa: «Continuiamo a camminare, ci fa bene»

La seconda tappa di quella che è definita come la «fase profetica» del cammino sinodale della Chiesa italiana si è chiusa con una pioggia di critiche al testo finale, tanto che tutto viene rinviato all’assemblea prevista per il 25 ottobre. La cosiddetta «base» si è messa contro la dirigenza del sinodo perché, in buona sostanza, il testo è ritenuto ancora troppo «povero», cioè «chiuso». Soprattutto sui temi della omoaffettività, delle situazioni affettive «particolari», delle donne e dell’accompagnamento dei giovani e delle persone «fragili».

Il cammino sinodale, che ormai è diventato uno status per la Chiesa guidata da papa Francesco, quindi assomiglia sempre di più a quello che non vorrebbe essere, cioè un parlamento o, più prosaicamente, a un’assemblea permanete attiva. I 1.008 partecipanti, di cui 168 vescovi, 7 cardinali, 252 sacerdoti, 34 religiosi, 17 diaconi, 530 laici (di cui 253 uomini e 277 donne), riuniti a Roma in questi giorni, infatti, hanno fatto oltre il 95 per cento degli interventi sulle 50 proposizioni sinodali in modo critico. Evidenziando appunto quello che qualche vescovo ha definito come un atteggiamento «ribelle», ma che monsignor Erio Castellucci, presidente del Comitato Nazionale del Cammino sinodale ha preferito considerare come un’assemblea «viva, critica, leale, appassionata per la Chiesa e la sua missione».

Sarà anche una «palestra di sinodalità», come l’hanno definita gli stessi vescovi che hanno scritto al Papa dopo la conclusione dei lavori, ma di certo è una condizione di continuo rimpallo. Con il risultato che anche vescovi tendenzialmente aperti alle novità missionarie si sono trovati davanti a richieste sempre più difficili da coniugare tra le esigenze della cosiddetta pastoralità e i punti fermi della dottrina cristiana. «Ci sentivamo come due orsacchiotti cui si tirano le palle come al tiro a segno», ha ironizzato Castellucci guardando monsignor Valentino Bulgarelli, segretario del Comitato, nel briefing con i giornalisti martedì pomeriggio. Ma il risultato di ieri, cioè il rinviare tutto al 25 ottobre, era già nell’aria. 

L’Assemblea sinodale, si legge nella mozione che ha ottenuto 835 voti favorevoli, 12 contrari e 7 astenuti, «stabilisce che il testo delle Proposizioni, dal titolo «Perché la gioia sia piena», venga affidato alla presidenza del Comitato nazionale del Cammino sinodale perché, con il supporto del Comitato e dei facilitatori dei gruppi di studio, provveda alla redazione finale accogliendo emendamenti, priorità e contributi emersi». Questo rinvio comporterà anche un rinvio dell’assemblea dei vescovi da maggio a novembre, perché i vescovi devono appunto esaminare un testo che evidentemente a maggio non può esserci. Per sottolineare l’eccezionalità di quanto accaduto basti pensare che questo è successo solo tre volte negli ultimi vent’anni: nel 2005 per la morte di Giovanni Paolo II e due volte negli anni del Covid.

La pioggia di «critiche», ha detto ieri Castellucci, «richiedono un ripensamento globale del testo e non solo l’aggiustamento di alcune sue parti», mostrando così che il «motore» del sinodo è comunque assai sensibile alle richieste di «apertura» avanzate. Tanto che lo stesso monsignore ha tenuto a sottolineare come «la Chiesa non è composta da guide che ignorano il “sentire’’ del popolo (di Dio), tirando dritto come se avessero sempre ragione – cosa purtroppo molto diffusa oggi nelle tendenze sovraniste e dittatoriali – ma è composta da guide chiamate a discernere la presenza e l’azione dello Spirito nel Popolo di Dio, del quale fanno parte». 

Così per spiegare il senso del sinodo, che «non è un parlamento», si tirano però in ballo talune categorie politiche, sempre quelle, come se il sinodo fosse baluardo liberal contro le pretese dottrinarie ridotte a sovranismo. 

Che poi non si comprende quali ulteriori aperture possano essere integrate nel testo. La proposizione n°5 indica già che «le diocesi, avvalendosi anche di esperienze formative, prassi già in atto, si impegnino nella formazione di operatori e nuovi percorsi perché le comunità siano compagne di viaggio e favoriscano l’integrazione delle persone che soffrono perché si sentono ai margini della vita ecclesiale a causa delle loro relazioni affettive o condizioni familiari ferite o non conformi al matrimonio sacramentale (sposati civilmente, divorziati in seconda unione e conviventi eccetera) o del loro orientamento sessuale e della loro identità di genere». Parole che hanno fatto dire allo stesso Castellucci: «Come vedete non sono neanche tanto chiuse, queste proposizioni». Come quella sulle donne, dove si è criticato il fatto di aver espunto il riferimento al diaconato, ma resta una sostanziale apertura laddove si dice che è necessario «promuovere la nomina di donne (laiche e religiose) a guida di uffici diocesani, in ruoli di responsabilità pastorale in diocesi, parrocchie e associazioni, […] di promuovere il loro accesso ai ministeri istituiti, perché – come lettrici, accolite, catechiste e referenti di piccole comunità – possano servire le comunità cristiane […]».

«Ci fa bene questo dinamismo, è il segno di una Chiesa viva», ha commentato il presidente della Cei, il cardinale Matteo Zuppi, «continuiamo a camminare, quanto ci fa bene camminare insieme».

C’è da sperare che tutto questo camminare conduca a riportare le anime all’ovile, perché un recente sondaggio del Pew research center di Washington rileva che proprio in Italia si registra un crollo senza precedenti dell’appartenenza alla Chiesa cattolica.

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