In Puglia le riserve si sono dimezzate in un anno. La Calabria sta per chiedere lo stato di crisi per carenza di pioggia. E il Po registra portate anomale. L’Italia è il Paese mediterraneo più esposto alla crisi climatica. E spera nel Green New Deal dell’Ue.
Sarà pur vero che l’Italia è un Paese dove per sei mesi si parla di siccità e per sei mesi di alluvioni, ma con un inverno tra i più caldi degli ultimi anni, l’emergenza acqua è un problema reale e le piogge che probabilmente cadranno nei prossimi giorni non saranno sufficienti a cambiare la tendenza.
A macchia di leopardo tutto il territorio è interessato dalla siccità a cominciare proprio dal Sud dove i bacini idrici sono in maggior sofferenza, come dimostrano i dati rilevati dall’Osservatorio dell’Anbi, l’Associazione nazionale consorzi gestione e tutela delle acque.
In Puglia le riserve di acqua sono addirittura dimezzate in 12 mesi: circa 140 milioni di metri cubi contro i 280 di un anno fa con un calo di circa 35 milioni di mc dal 21 gennaio al 3 febbraio. La diga di Occhito, sul Fortore, principale invaso della regione, che segna il confine con il Molise, registra un -95 milioni di mc circa. Non sta meglio la Capaccio-Capitanata, sul fiume Celone, nel foggiano, passata da 23 milioni di mc dello scorso anno a 13,6 di febbraio, praticamente dimezzata.
E se in Calabria si sta per chiedere lo stato di crisi a causa della carenza di pioggia, anche in Basilicata manca un terzo delle risorse disponibili a febbraio dello scorso anno: oggi ci sono quasi 258 milioni di mc con un -144 milioni circa rispetto a 12 mesi fa, ma – 43 milioni rispetto alla fine di gennaio. L’invaso di monte Cotugno, il più capiente della Lucania, registra quasi 102 milioni di mc in meno.
Non sta molto meglio il Nord. Portate «anomale», cioè basse per il Po anche a causa dell’assenza del manto nevoso, ma sono largamente sotto la media i flussi dei corsi d’acqua in Emilia Romagna: il fiume Savio segna una portata di 4,11 metri cubi al secondo contro una media di 20 e il fiume Secchia registra mc/sec 3,46 invece di mc/sec 24,1. Se confrontiamo tali dati con quanto evidenziato nella rivelazione dello scorso 21 gennaio si segnala un progressivo calo nella portata del Savio, mentre il Secchia registra una leggera crescita grazie alle precipitazioni più concentrate nel tempo e nello spazio.
«Per quanto ci compete, non possiamo che ribadire la necessità di nuovi invasi per raccogliere l’acqua, quando arriva, aumentando la resilienza dei territori e la capacità di riserva di un Paese, che oggi riesce a trattenere solo l’11% della pioggia che, se non adeguatamente gestita, da risorsa si trasforma in pericolo» dice Francesco Vincenzi, Presidente dell’Anbi.
Grandi o piccoli, gli invasi rientrano nel Piano nazionale che, presentato alla fine del governo Renzi, prevede la realizzazione di 2.000 invasi in 20 anni con un investimento di 20 miliardi di euro. Nel piano pluriennale sono previsti i 100 progetti presentati e approvati dall’Anbi per attuare azioni di adattamento ai cambiamenti climatici oltre al Piano Manutenzione Italia, redatto dai Consorzi di bonifica con ulteriori 3.708 progetti per la sistemazione del territorio ed altri 592 per l’incremento dell’irrigazione, capaci complessivamente di garantire oltre 51.000 posti di lavoro.
Il governo di Paolo Gentiloni stabilì di ripartire i 20 miliardi di investimenti in 50 milioni l’anno arrivati sia con il governo giallo-blu sia con quello attuale. «Siamo certi che entro l’anno apriremo i primi cantieri» spiega il direttore generale di Anbi, Massimo Gargano, «ma nel nostro Paese per realizzare un’opera di valore superiore ai 10 milioni di euro, servono mediamente 11 anni: 3,5 anni per la progettazione, 5 per la realizzazione, 1,4 per la gara d’appalto, 1,1 anni il collaudo dell’opera».
Conclude Vincenzi: «In un momento in cui i cambiamenti climatici stanno caratterizzando le popolazioni e le economie del nostro territorio, è importante mettere al centro le politiche ambientali, ma soprattutto analizzare, per esempio questi dati, e indirizzare gli interventi strutturali nell’ambito del Green New Deal» .
Ecco il Green New Deal, ovvero le strategie che l’Ue è intenzionata a mettere in campo, impegnando tutti gli Stati membri, per combattere con urgenti e ambiziosi interventi il cambiamento climatico e le varie sfide ambientali allo scopo di limitare il riscaldamento globale a 1,5º C ed evitare una perdita massiccia di biodiversità. «L’Italia oggi è il Paese mediterraneo più esposto alla crisi climatica e il Green New Deal è una grande occasione di crescita, in primis per le regioni meridionali» sostiene Gargano. «Ma ci vogliono idee chiare su come e dove indirizzare le risorse per andare così incontro a quella sostenibilità ambientale che passa obbligatoriamente dalla sostenibilità sociale ed economica delle imprese». Il direttore generale di Anbi conclude: «Per affrontare le sfide che ci aspettano serve un interlocutore politico forte, altrimenti sarà difficile trasformare una necessità in opportunità».